il manifesto 24 Febbraio 2000

Il mestiere d'insegnare
Le ragioni di una protesta. Risposte a Rossanda

- PIERO BERNOCCHI -

C ara Rossanda, ci chiedi se è vero quanto hai scritto sulla protesta degli insegnanti. Poichè il testo contiene 25 domande dirette e altrettante indirette, ti dico che sono delle buone domande: ma che, richiedendo le risposte più spazio di esse, ti dovrai accontentare di una semplificazione del tuo impianto ontologico (a parte il "chi siamo" e "perchè esistiamo", ci hai messo tutto). Prima, però, permetti anche a me di fare delle domande: perchè tanta poca generosità e coinvolgimento verso il più grande sciopero di sempre della scuola italiana e gli oltre 50 mila docenti in corteo con i Cobas (altro record: e cifre persino sottodimensionate)? Perchè prendere le distanze subissandoci di domande epocali? Avresti fatto lo stesso con 500 mila operai di fabbrica (queste sono le proporzioni) in piazza contro la privatizzazione, la mercificazione, le gerarchie? Gli avresti chiesto come deve essere un modo alternativo di produrre? Certo, può apparire gratificante che ci si chieda una progettualità più alta di quella operaia. Ma perchè è ritenuto sconveniente per un docente identificarsi con il suo stato di lavoratore mentale in via di proletarizzazione e precarizzazione, o occuparsi di questioni salariali (gli operai parlavano più del salario che della nuova società)? Oppure la scuola è ritenuta assai più importante della fabbrica e bisognosa di ben altra finezza: e anche questo potrebbe inorgoglirci.

Però il dubbio di aver a che fare con una docente severissima con gli studenti di una classe e indulgente con quelli della classe accanto, di vero pedigree proletario, ci resta. Ma veniamo ai tentativi di risposta. Le tue domande si possono raggruppare in due fondamentali: a che serve la scuola? a cosa servono i docenti? Direi che dipende innanzitutto dal soggetto: stiamo guardando i quesiti dal punto di vista del sistema economico-politico dominante, del capitalismo, per essere chiari, o da quello dei futuri lavoratori sottomessi alle sue regole, o ancora dalla prospettiva di un ipotetico individuo non sottoposto al dominio del profitto e della mercificazione?La scuola italiana prova a tener conto di tutti questi punti di vista, ma proviamo a distinguere. Il capitalismo ha oggi una risposta alle tue domande assai più confusa che nel'68. Perchè è impelagato nella classica contraddizione tra impetuoso sviluppo delle forze produttive e "ritardati" rapporti di produzioni. Oggi la produzione abbisognerebbe a qualsiasi livello di lavoratori in grado di ragionare con la propria testa e con un ricco bagaglio culturale; ma i rapporti di produzione non consentono di dare né al lavoratore né al manager tale indipendenza, e la possibilità di "leggere il mondo da soli" entrando in contrasto con una centralizzazione finalizzata solo al profitto. La scuola americana è l'emblema di questa contraddizione: volendo "tenere al loro posto" sia i lavoratori subordinati sia i quadri dirigenti, forma i primi come scimmie ammaestrate e ai secondi insegna la tecnica più "up to date" ma non, sul serio, la filosofia o la storia, la lettura della realtà politico-sociale e delle diverse culture; né tantomeno "istiga" lo studente a leggere la realtà con relativa autonomia. Il risultato, più di un terzo dei lavoratori subordinati negli Usa sono "analfabeti funzionali", cioè abbisognano per ogni operazione di istruzioni a voce, perché non in grado di capire istruzioni scritte, elementari per un qualsiasi studente italiano; e buona parte dei manager, spostati dal loro ambiente naturale, non hanno la duttilità culturale per evitare "infortuni" produttivi - spiega la critica feroce alla quale è sottoposta colà la scuola e il prestigio di cui gode la scuola "mediterranea" e quella italiana in particolare, ritenuta da molti la più adatta per la formazione di quell'individuo con autonomia intellettuale che il capitalismo vorrebbe ma non si può permettere.

I "comandi" che arrivano alla scuola del paese-guida sono dunque confusi e contraddittori. Figuriamoci se può essere chiaro ed egemone il "comando" che la Confindustria dà ai nostri liberisti "di sinistra": che comunque eseguono, seppur nella massima confusione, esponendosi a "debacle" come quella del concorsaccio, inconsapevoli che, mentre si preparano a visitare "lo zio d'America", quello medita di venire da noi.

Altrettanto contraddittoria è la situazione dal punto di vista dello studente italiano, apprendista del lavoro mentale, precario e subordinato ad una produzione sempre più flessibile e volubile. La richiesta che l'"utente" (così la sinistra liberista ci fa chiamare gli studenti) tende a farci, sotto la pressione dell'ideologia di mercato, sarebbe in effetti "insegnatemi un mestiere". Senonchè questo mestiere, ce lo dice il capitalismo flessibile, è evanescente: nessuna impresa sa con certezza cosa farà l'anno dopo, se sarà ancora a Roma o in Slovenia; figuriamoci se può dirigere la scuola. E infatti ci chiede - e Berlinguer ha subito eseguito, con la "riforma dei cicli" che reintroduce l'avviamento professionale e l'apprendistato-scuola - di formare un esecutore senza pretese, abituato alla massima precarietà e flessibiltà (Berlinguer vuole che lo alleniamo fin dalle elementari a cambiare classe, compagni e insegnanti); e lascia disoccupati proprio gli studenti con più alto grado di istruzione (e pretese), rischiando però di avere manodopera incapace di agire nel complesso flusso della produzione globalizzata.

Insomma, oggi nella scuola italiana a subire minori contraddizioni e ad avere le idee più chiare sono coloro che guardano le cose dal terzo punto di vista, quello di un ipotetico (ma più attuale del previsto, stante le esigenze dell'economia, se svincolate dagli "obblighi" dei rapporti di produzione capitalistica) cittadino non subordinato alle leggi del profitto e della mercificazione. Stiamo parlando, cara Rossanda, proprio dei docenti Cobas e di quelli che, come noi, ritengono che la funzione primaria della scuola sia la formazione di individui in grado da soli di leggere il mondo, con i suoi rapporti sociali, economici e politici; di interpretare l'organizzazione della società, le sue leggi e la storicizzazione/non-fissità di esse; e contemporaneamente di leggere la natura, la tecnica e le sue regole. Solo alla fine di questo percorso c'è il lavoratore consapevole, in grado di non farsi schiacciare dall'altrimenti incontrollabile macchina produttiva.Non per caso questi docenti hanno prodotto l'unica cultura di massa antagonista a quella cultura pseudo-liberista di Berlinguer e del suo staff Ds-Cgil (che, se potesse, ci sopprimerebbe uno per uno, con metodologia post-staliniana): scuola-azienda e scuola-parrocchia, istruzione-merce e gerarchizzazione, preside manager e capetti, cottimismo scolastico e insegnanti alla catena informatica, concorsaccio, sono alcuni dei termini-simbolo di un discorso "altro", che parte almeno dal '68, che oggi è fatto proprio da centinaia di migliaia di docenti (e peccato che una osservatrice attenta come Anna Pizzo non se ne sia accorta il 17 febbraio) e che genera insegnanti per niente "stanchi", "incerti", "demotivati", "senza autorevolezza".

A che servono tali docenti, ci chiedi. Direi: ad insegnare saperi con la consapevolezza che nessuna tecnica ti salva, se non sai leggere il mondo e le regole dei rapporti sociali, politici e produttivi. A tal fine, il docente dovrebbe essere artista e tecnico, "consigliere" di vita e politico/sociologo. Insegnare è una tecnica ed un'arte: la prima la si può apprendere, la seconda un po' la si ha nel sangue e un po' la si impara "con l'uso". Dunque, è folle l'idea che una gerarchia tra docenti, prodotta da un ridicolo concorsaccio o meno, serva alla scuola ed elimini i "lavativi". Un "lavativo" vero non sceglie il mestiere di docente: perchè la pressione dell'ambiente è schiacciante, l'insegnante che lavora male è lo zimbello dei colleghi, sbeffeggiato dagli studenti che sanno essere spietati (quanti colleghi ho visto uscire distrutti da classi "feroci"). Esistono invece non pochi insegnanti che, senza un serio aggiornamento, con salari infimi (meno della metà della media europea), ignorati da governi irresponsabili, si limitano al lavoro di routine (comunque faticoso).

Allora ciò che serve è: aggiornamento periodico e obbligatorio per tutti, con anno sabbatico (distacco dall'insegnamento ogni 6-7 anni, partecipazione a tempo pieno alla riqualificazione tecnica, didattica e sociale), uno stipendio europeo, il coinvolgimento pieno nel rilancio della scuola pubblica. Tutto questo, naturalmente, è opinabile. Quello che è certo invece, cara Rossanda, è che D'Alema-Berlinguer hanno imboccato la strada opposta, che persino gli Usa oggi mettono in discussione: parità tra pubblico e privato, balcanizzazione/sgretolamento della scuola pubblica, scuola-azienda e scuola-parrocchia, finta autonomia con conflitto aziendale tra scuole per la sopravvivenza, gerarchizzazione tra docenti, concorsacci, capetti e presidi-manager. Ed eliminazione degli oppositori: perché le cose che sto scrivendo, dall'8 ottobre non le posso più dire nelle assemblee, tolteci da Berlinguer perchè una marea di docenti ne traevano "armi" per contestare la sua linea. Per cui, mentre discutiamo, ti sarei grato se ricordassi al tuo ex-discepolo i guai dell'assenza di opposizione, invitandolo a restituirci almeno le assemblee. Perchè il disastro il ministro se lo è cercato non ascoltando noi e seguendo ciecamente quei sindacati amici, Cgil in prima fila con i suoi 700 quiz risolti e venduti ai docenti, che oggi lo scaricano cinicamente: e Berlinguer insiste diabolicamente nell'errore, convincendosi che i 50 mila erano al nostro corteo per caso, dimenticando che hanno scioperato nonostante lui avesse annullato il concorsaccio e che, tra la Gilda che vuole le gerarchie e il nostro egualitarismo funzionale alla didattica, i docenti hanno scelto, con un rapporto trenta a uno, i Cobas. Se fossimo stati allevatori o benzinai, macchinisti o piloti, medici o commercianti, il governo ci avrebbe chiamato alla trattativa come legittimi rappresentanti della protesta; ma in quanto docenti e Cobas (e parecchi pure sessantottini), il ministro ex-comunista ci darà udienza ma tratterà con altri: fino al prossimo disastro.