il manifesto 15 Febbraio 2000
SCUOLA
Non eludiamo il nodo della qualità
ALBA SASSO *
A zzerare le procedure per il concorso, per un
loro radicale ripensamento è il messaggio che il ministro della pubblica
istruzione rilancia al mondo della scuola.
Forse mai come in questo
periodo si discusso tanto di insegnanti, del loro lavoro, del loro modo di
essere. E sarà molto positivo se questa discussione riuscirà a produrre un
efficace effetto di straniamento, una capacitàdi prendere le distanze anche da
noi stessi, per un sereno, profondo ripensamento nel merito dei
problemi.
Perché - molti ci chiedono - voi che non fate che valutare gli
altri ve la prendete quando qualcun altro vuole valutare voi? Uno sguardo
esterno semplificatore sicuramente non riesce a cogliere la grande complessità
di un luogo dove ogni giorno si confrontano, apprendono, insomma vivono milioni
di persone. Un mondo dove niente è automatico o lineare, una realtà che non è
ordinatamente consequenziale: in cui non sempre possibile prevedere gli effetti
di ogni decisione o di ogni scelta. Sappiamo bene come nella difficile
quotidianità della scuola non sia facile far quadrare gli slogan in cui tutti
crediamo - "una scuola pi efficace, una scuola in cui tutti imparino di più" -
con i comportamenti concreti, e sappiamo anche che a comportamenti rigorosi e
positivi non sempre corrispondono risultati felici; sappiamo quanto pesino sugli
esiti le situazioni e i contesti.E allora mi sono chiesta se il disagio e il
rifiuto degli insegnanti, in queste ultime settimane, non nascessero anche
dall'accavallarsi di diverse questioni.
Con le procedure concorsuali
previste dal contratto si intendevano certificare le competenze professionali
acquisite o valutare la qualità del lavoro docente? E fino a che punto possibile
valutare la qualità di questo lavoro? Si valuta l'impegno, l'assiduità o il
risultato? E non c'è una parte di questi risultati leggibile solo in tempi
lunghi, anzi lunghissimi? E chi è oggi il "bravo docente"? E se è cambiata in
questi anni la professione docente, per l'urgenza dei tempi, per la capacità dei
singoli di rispondere a problemi sempre nuovi, è tuttavia cambiata in modo
carsico: non sempre e non dappertutto con le stesse modalità, con gli stessi
tempi.
Esiste in questo momento un'idea condivisa di professionalità? Non
occorre anche ragionare del progetto culturale della scuola che si intende
costruire? Perché è rispetto a questo che si può ragionare di cosa significhi
oggi essere insegnanti, delineare quali debbano essere i saperi, le pratiche,
non solo individuali, di un lavoro efficace nella scuola.
Così come c'è
ancora molta confusione sui vari aspetti della valutazione: la valutazione di
sistema - i livelli di apprendimento, le carenze, i problemi, i bisogni -,
lettura che può servire per orientare il lavoro; la valutazione e
l'autovalutazione delle singole scuole, prevista dall'autonomia; la valutazione
dei singoli docenti.
E qui torniamo al nodo vero del problema oggi in
discussione. Perché le questioni e le difficoltà sono nate quando si è tentato -
se ne discute da sempre senza trovare soluzione - di segnalare una diversità
qualitativa.
Ragioniamo di questo apertamente, mettiamo pure tutto in
discussione, parliamo anche di un'articolazione della professione, proviamo a
intrecciare il ragionamento su qualità e quantità con quello su una diversa
organizzazione della scuola, facciamo e ascoltiamo proposte, prendiamoci il
tempo che serve senza accelerare soluzioni, ma, per favore, non spostiamo il
cuore della discussione.
Siamo veramente convinti che sia altrove la
soluzione del problema: in una formazione degli insegnanti tutta spostata fuori
dalla scuola, in una full immersion in luoghi - forse l'università - che non
hanno né le strutture né forse le competenze per rispondere a una domanda così
estesa numericamente e così specialistica riguardo al sapere e al saper fare
nella scuola? Proprio nel momento in cui, con il regolamento dell'autonomia
didattica e organizzativa, le scuole dovrebbero diventare laboratorio di ricerca
e di riflessione sulla didattica, e per questa strada luogo di crescita della
capacità professionale dei docenti?
Un'ultima questione. Io non credo che
tutto quanto riguarda la professione in un mestiere che oscilla tra i vincoli di
un "impiego" e la necessità di lavorare da liberi professionisti, artigiani di
alto livello dell'insegnamento/apprendimento, possa essere contrattualizzato o
proceduralizzato. E se questo continua ad avvenire penso che sia anche una
conseguenza della debolezza di una categoria troppo maltrattata, negli anni, per
essere consapevole della propria "forza" professionale.
Anche di questo
occorre ragionare. Può servire un'authority professionale? Un consiglio
superiore della pubblica istruzione profondamente ripensato che possa validare,
tra l'altro, ipotesi e scelte riguardo a tutte le questioni della valutazione e
della professione docente? Scelte e ipotesi che non possono essere consegnate
solo alle singole scuole, o ai tempi lunghi dei contratti?Prendere atto che il
mondo della scuola non vuole e non può accettare passivamente nessuna scelta che
tocchi la delicatezza e la difficoltà del lavoro docente può essere interpretato
come una resa o come un atto di saggezza. Molti si eserciteranno su
questo.
Io credo invece che questa vicenda debba servire a capire, a
distinguere, ad aprire una discussione vera, a confrontarsi con le tante sensate
proposte che vengono dagli insegnanti, al di l delle prove di forza e delle
compatibilità dei tavoli contrattuali. Una discussione franca e forte, dentro e
fuori la scuola.
* presidente nazionale Cidi - Centro
di
iniziativa democratica
degli insegnanti