Torpignattara

 

La storia

 

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La storia


La regione denominata ad duas lauros rappresenta una delle più importanti testimonianze storico-archeologiche della presenza romana in quest'area della periferia capitolina attraversata dall'antica via Labicana. Tale tracciato (oggi via Casilina), realizzato su solidi strati di tufo vulcanico, rappresentava la principale arteria di comunicazione fra i Colli Tuscolani e Roma e fu in seguito prolungato fino a confluire con la via Latina. La sua importanza è attestata anche dalla presenza nel territorio del complesso ad duas lauros situato a circa tre chilometri da Porta Maggiore.
La denominazione latina deriva probabilmente da due grandi alberi di alloro (lauros), esistenti nella zona, che sarebbero stati lasciati come testimoni di un bosco distrutto, oppure potrebbero trarre origine dalla decorazione di un padiglione imperiale recante un doppio lauro. L'area archeologica consta di un edificio sopraterra, il Mausoleo di S. Elena, di una serie di cunicoli sotterranei, le catacombe dei SS. Marcellino e Pietro, e di una basilica dedicata ai medesimi santi, oggi completamente interrata. Si hanno inoltre notizie dell'esistenza di un cimitero degli Equites singulares, corpo scelto delle milizie imperiali che godevano di particolari privilegi, tra i quali, anche quello della sepoltura nella proprietà imperiale. Diverse ricerche sono state effettuate da Thomas Ashby e Giuseppe Lugli circa la presenza di una villa dei Flavi Cristiani, impiegata come luogo di sosta degli imperatori e del Campo Marzio, zona compresa nelle vaste proprietà imperiali ad oriente di Roma riservato al corpo scelto degli Equites singulares. Il sepolcro delle milizie scelte non è, secondo i ricercatori, l'unico cimitero pagano della zona. Gli stessi Ashby e Lugli sottolineano che, nell'area, esistevano probabilmente tombe e mausolei fin dal tempo di Augusto. "Dal Fosso della  Maranella I- scrivono - fino alle mura di Roma non si incontrano che scarsi ruderi e per la maggior parte sepolcri". La sospensione dell' uso del cimitero degli equites aenne verosimilmente intorno al 313/315, nel periodo costantiniano. Le pietre tombali non hanno consentito la definizione dei confini del sepolcreto, poiché molti di questi reperti sono stati distrutti durante la posa delle fondamenta dell'antica basilica costantiniana. Non è chiaro il rapporto esistente tra il fondo imperiale, il sepolcro dei cavalieri e i reperti cristiani. È certo, comunque, che quando l'area divenne patrimonio dell'Augusta Elena la zona, già santificata dalle sepolture dei martiri cristiani, godeva di particolari attenzioni da parte della madre di Costantino, come dimostrano le ricorrenti donazioni. II territorio assume anche la denominazione "Subaugusta", per indicare i possedimenti imperiali di campagna che si estendevano dal Mausoleo all'odierna Centocelle. Dopo la morte di Elena la proprietà ad duas lauros fu assegnata alla chiesa e che, con papa Fabiano, disegnò nuovamente, per una amministrazione più organica, le zone cimiteriali. Un passo significativo tratto dal Liber Pontificalis relativo alla vita di papa Silvestro (314 - 35) rivela l'esistenza di un fundus laurentus definito possessio Augustae Helenae, che si estendeva dalla porta Sessoriana - attuale Porta Maggiore - fino alla via Latina e, a sud, fino al Mons Gabus, a Centocelle.

GLI EQUITES SINGULARES


Gli Equites Singulares, probabilmente creati da Traiano, erano una scorta a cavallo di 1.000 uomini, e non una propria guardia del corpo degli imperatori romani del II e III secolo d. C. (come riportano altre fonti). Come documentano le iscrizioni, seguivano l'imperatore in battaglia ed è molto probabile che la truppa a cavallo raffigurata nella scena XXXIX della colonna Traiana rappresenti gli Equites Singulares che accompagnano l'imperatore nella battaglia contro i Daci. Gli stessi cavalieri sono i protagonisti della scena LXXIV incisa sulla colonna di Marco Aurelio in occasione della parata imperiale. A Roma gli Equites Singulares coprivano un ruolo fondamentale: garantire la sicurezza dell'imperatore. Occupavano le caserme (castra priora e castra nova) sul Celio e il Laterano e la necropoli nell'area del praedium imperiale ad duas lauros lungo la via Labicana. I soldati venivano scelti dalle unità di cavalleria dislocate al confine estremo dell'impero e precisamente dalle regioni sul Reno e sul Danubio. Dovevano aver maturato un'esperienza di cinque anni negli altri reparti dell'esercito, e il loro servizio durava complessivamente 25 anni. Con il reclutamento essi ottenevano la cittadinanza romana e con essa, come era consuetudine, il nome dell'imperatore regnante. La selezione dai reparti regolari e la concessione della cittadinanza mostrano la volontà dell'imperatore di avvalersi di una truppa di èlite il più efficace possibile. Gli Equites formavano una unità (numerus) che fino ai tempi di Settimio SeveroCippo Funerario era strutturata come un'ala miliaria e da Severo in poi come due alae quingenatiae ognuna con un proprio tribuno ed una propria caserma. L'unità era divisa in Turmae di cento uomini ognuno con i propri graduati: un decurio, un duplicatvus, un sesqu plicatius, un signifer, un armorum custos ed un curato. Venivano generalmente addestrati come specialisti nel mestiere delle armi e spesso trasferiti come decurioni in altri reparti in modo che l'unità selezionata poteva seguire un vero e proprio "corso specializzato" all'interno della cavalleria romana. I tributi degli Equites erano persone di fiducia dell'imperatore e spesso raggiungevano la posizione di prefetto e pretorio, il secondo grado per importanza in tutto l'impero Gli Equites Singurales veneravano gli dei dello stato e dell'esercito romano e quelli dei loro paesi di origine sul Reno e sul Danubio nonché gli dei particolari della truppa: Campestres (per le armi) ed Epona (per i cavalli). Sui loro cippi funerari troviamo molto spesso raffigurate fra due maschere acroteriali, il banchetto funebre ed il soldato su un cavallo decorato con gualdrappa guidato mediante lunghe briglie da un uomo a piedi vestito di corta tunica, immagini che mostrano visioni dell'aldilà proprie dei Traci che ebbero grande influenza sugli Equites e sui cavalieri di altri paesi. Numerosi sono stati i ritrovamenti di iscrizioni riguardanti gli Equites nella regione ad duas lauros, ma le pietre tombali sparse lungo una vasta area ai margini dell'antica via Labicana non hanno consentito una precisa ubicazione del sepolcreto. Moltissime iscrizioni tombali sono state ritrovate durante gli scavi della basilica costantiniana (effettuati dagli archeologi EW Deichmann e A. Tschira nel 1956) nelle fondamenta della stessa, altre invece sono andate distrutte con la costruzione degli edifici scolastici delle Suore della Sacra Famiglia e della chiesa parrocchiale. Tutto questo conferma che il cimitero degli Equites era situato nelle immediate vicinanze del mausoleo di Elena. Non è  infondata la tesi secondo cui la necropoli si trovasse proprio nella zona sulla quale sorse il complesso costantiniano, il che avvalora l'ipotesi del desiderio di vendetta di Costantino nei confronti degli Equites. Le prime pietre tombali, recano indicazioni della gente degli Ulpi risalenti all'inizio del II secolo, l'ultimo nome gentilizio conosciuto è quello di Massimo. Molteplici frammenti di lapidi funerarie, recano dediche a Massenzio e Diocleziano, ma non rendono noto i nomi dedicatori, e non permettono di accertare se tali iscrizioni venissero poste da militari degli Equites o da altri. Alcune pietre tombali, prima fra tutte quella di un certo Flavius Mocianus non possono essere state realizzate prima del CXI secolo. Dalla metà del III secolo non troviamo più riferimenti certi riguardo gli Equites Singulares, forse soltanto per la rarefazione delle iscrizioni sicuramente attribuibili ad essi o per la scomparsa della Truppa a causa della riforma dell'esercito. Tale scomparsa andrebbe posta in relazione con il cessato uso dei Castra del Laterano intorno al 313 - 315 e con la costruzione della basilica costantiniana del S. Salvatore al di sopra della schola equitum singularium. Lo scioglimento della truppa e la distruzione del sepolcreto, può essere considerata la conseguenza di una domnatio memoriae decisa da Costantino nei confronti dei "cavalieri" che nella decisiva battaglia di Saxa Rubra sul ponte Milvio per la conquista dell'impero, si schierarono contro di lui a fianco della guardia pretoriana in favore di Massenzio.

LE CATACOMBE DI SS. MARCELLINO E PIETRO

L' intera regione di Torpignattara, come del resto gran parte della città, subì ingenti distruzioni durante le invasioni dei Goti: la basilica e le catacombe vennero profanate e le epigrafi di papa Damaso spezzate, ma rinnovate in seguito da papa Virgilio (537-544). A poco valsero gli interventi di restauro commissionati dal pontefice Giovanni III (560-74), i danni arrecati dai barbari provocarono una grave perdita per l' intera zona. Solo dopo l' intervento di papa Adriano I il cimiterium rinnovò completamente il suo aspetto. Il sommo pontefice, infatti, fece costruire una scala di accesso alla cripta dei santi martiri, ristabilendo, parallelamente, il tetto della basilica. Proprio il Liber Pontificalis di papa Adriano cita il nome di Tibuzio accanto ai nomi di Marcellino e Pietro. Secondo gli archeologi tedeschi Deichmann S.Pietroe Tschira, Tiburzio, nell' VIII secolo, è annoverato tra i santi della basilica ed è chiaro, quindi, il fatto che le fonti medievali indicavano la basilica come chiesa di San Tiburzio. Ma le reliquie del terzo, per gli studiosi, furono precedentemente traslate dall' originario sito catacombale al sopraterra, se non nella basilica. Nell' anno 827 le salme dei martiri Marcellino e Pietro furono trafugate, in sostituzione delle richieste reliquie di San Tiburzio, e trasferite in Francia e successivamente in Germania nella città di Salingenstadt, presso Magonza. Con ogni probabilità tali furti vennero commissionati dal clero tedesco o franco (siamo in epoca carolingia). Non molto tempo dopo, durante il pontificato di Gregorio IV (827-844) anche Gorgonio e Tiburzio (gli altri due santi sepolti nell' area ad duas lauros) furono traslati in San Pietro. Tali episodi contribuirono ad un decadimento complessivo della regione ma l' intera zona, fin dal IX secolo, conservò la sua tradizione di edificio cimiteriale. Lo stesso mausoleo di S. Elena, seriamente danneggiato, continuò ad ospitare la tomba della santa. Le catacombe dei SS. Marcellino e Pietro, le terze per estensione a Roma dopo quelle di S. Callisto e S. Domitilla, comprendono un' area di circa 18.000 metri quadrati. L' accesso attuale, situato lungo il viale che porta al Mausoleo di S. Elena, fù sistemato nel 1920. Gli Itinerari rievocano i diversi gruppi di martiri: i SS. Marcellino e Pietro, S. Tiburzio, S. Gorgonio (in intehore antro), i SS. Quattro Coronati (Clemente, Semproniano, Claudio e Nicastro, poi traslati al Celio) un gruppo di XXX e XL martiri, tutte le vittime della grande persecuzione di Diocleziano (284-305). Le pitture che affrescano le pareti della necropoli sono di importanza fondamentale per uno studio scientifico degli antichi cimiteri cristiani. Gli studiosi delle catacombe hanno rilevato che le superfici dei cunicoli, ricavati dalla pozzolanella, sono rivestite a volte da un particolare intonaco, altre da una bianca tinteggiatura. Tale pratica mirava a preservare gli strati di pozzolana dal deterioramento dovuto al contatto con l' aria e alle variazioni stagionali di umidità. La necropoli risale probabilmente al periodo anteriore alla grande persecuzione di Diocleziano ed ebbe il suo momento di massimo splendore nel corso del IV secolo. Oltre alle reliquie dei martiri Marcellino e Pietro vi era, come abbiamo precedentemente evidenziato, anche quella di San Tiburzio, al quale venne dedicato nello stesso periodo una cappella absidata a pianta rettangolare posta a circa 70 metri ad ovest del mausoleo di S. Elena e tangente alla basilica costantiniana. I resti della cappella sono oggi inglobati in un edificio sorto sul luogo appartenente alle Suore della Sacra Famiglia. Le catacombe furono abbandonate e dimenticate fino al XVI secolo quando il Bosio se ne interessò direttamente portando alla luce testimonianze in base alle quali riuscì a disegnare una pianta verosimile dell' antica catacomba. La rete sotterranea è molto estesa e si svolge su due piani, articolandosi in varie regioni. Quella principale comprende i sepolcri dei due martiri al primo piano, l' unico ad essere stato identificato con certezza. Nella cripta si distinguono tre livelli: la galleria primitiva, dove i santi martiri furono deposti in due semplici loculi; il piano risalente al IV secolo, dove fu eretta una piccola basilica absidata ottenuta mediante l' abbattimento di gallerie preesistenti (qui venne deposta l' epigrafe elogiativa di papa Damasco); infine il piano attuale del VI secolo. Al centro vi è il sito con i loculi dei due martiri. Le pareti della cripta e delle gallerie adiacenti sono ricoperte da graffiti tracciati dai pellegrini che si recavano a visitare il sepolcro. A sinistra dell' abside, in un cubicolo che forma il retro sanctos, è situata l' iscrizione ove è riportata l' indicazione che rivela l' appartenenza del cimitero ad duas lauros al titolo di S. Eusebio. Particolarmente interessante per la pecularietà tipologica è la volta decorata con pitture (la necropoli è considerata tra le più ricche) che rappresentano, al centro, il Salvatore nimbato (ai lati del limbo le lettere x e o), con il libro dei Vangeli, seduto in trono fra S. Pietro; sotto, l' agnello sulla collina, dalla quale nascono i quattro fiumi dell' Apocalisse: Fison, Geon, Tigri ed Eufrate. Ai lati sono raffigurati i quattro martiri venerati nel santuario con i rispettivi nomi accanto: Gorgonius, Petrus, Marcellinus, Tiburtius. In uno degli antri delle catacombe gli studiosi hanno individuato il luogo dove furono sepolti i due martiri. La cripta è un luogo ampio, con un' abside che ricorda una piccola basilica. Questa storica area di culto fu abbandonata quando le salme di Marcellino e Pietro vennero trafugate. Si è potuto, comunque, ricostruire l' ambiente dove venivano celebrate le funzioni: i fedeli si raccoglievano attorno ad un altare ricavato sopra i loculi sepolcrali dei martiri ed è possibile, ancora oggi, individuare le mensole per le lucerne e i resti di marmo delle antiche iscrizioni. Attualmente sopra la piccola basilica è situata la cappella delle Suore della Sacra Famiglia.

Note: Accedendo dalla vicina Chiesa dei SS. Marcellino e Pietro, è possibile visitare le splendide catacombe, ufficialmente aperte una sola volta l' anno (la prima settimana di giugno); in questo caso rivolgersi alla parrocchia in via Casilina 641. La visita è anche possibile, per gruppi di studio, scuole, ecc. Se ci si rivolge alla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra: via Napoleone III n. 1. Per informazioni circa il restauro del Mausoleo di S. Elena, rivolgersi a: Sovrintendenza Archeologica - Palazzo Alteps - P.zza S. Apollinare n.8.

 

LA BASILICA COSTANTINIANA

La Basilica Costantiniana
Il Liber Pontificalis relativo alla vita di papa Silvestro (3143-335) ha rilevato importanti notizie riguardanti la presenza di una basilica dedicata ai SS. Marcellino e Pietro situata nella regione ad duas lauros:
EISDEM TEMPORIBUS FECIT AUGUSTUS COSTANTINUS BASILICAM BEATIS MARTY- RIBUS MARCELLINO PRESBYTERO ET PIETRO EXORCISTAE, IN TERRITORIO INTER DUAS IAUROS ET MYSELEUM UBI MATER IPSIUS SEPULTA EST HELENA AUGUSTA,
Via LAVICANA, MILIARIO III. Nello stesso periodo Costantino Augusto eresse una Basilica in onore dei beati martiri Presbitero e Pietro esorcista nella zona duas lauros (tra i due allori) e il mausoleo dove era stata sepolta Elena Augusta la madre dell'imperatore stesso, al terzo miglio di Via LABICANA.
L'indicazione del libro papalino e' stata determinante poiché tanto gli antichi itinerari, quanto le storie ecclesiastiche non segnalavano specificatamente la presenza di una chiesa paleocristiana nella regione. Inoltre non erano presenti alcune tracce nel territorio, di conseguenza si tendeva a identificare il mausoleo con l'edificio cristiano. La basilica funeraria sorse probabilmente intorno al 32 d.C., in epoca costantiniana     presentava caratteristiche architettoniche simili ad altre basiliche romane quali quelli di San Lorenzo Fuori Le Mura, San Sebastiano e quella della Villa dei Gordiani. Lo stesso imperatore Costantino fece realizzare l'edificio nel lato sud - ovest del Mausoleo di S. Elena, con il quale si legava attraverso un atrio - cortile di forma rettangolare di ampie dimensioni (m 9,50 x 28,40). L'antica planimetria venne ricostruita in seguito agli studi avviati alla fine del 1800 da Enrico Stevenson. Gli scavi furono interrotti più volte fino al 1950 quando Deichmann e Tschira, dopo aver individuato alcuni allineamenti murali, riuscirono a localizzare le parti essenziali di fondamenta della basilica. Le parti murarie ancora visibili, di opus listatum, erano eseguite alternando due strati di tufo e uno di mattoni. Nonostante i ritrovamenti, gli scavi si svolsero tra molte difficoltà: il terreno di studio, infatti, era per un lungo tratto occupato da un'intensa coltivazione che ostacolo' le indagini. L'edificio paleocristiano, orientato ad est, aveva il suo asse maggiore parallelo all'antica via Labicana (oggi via Casilina), misurava 65 metri di lunghezza (col nartece), 29 metri di larghezza (compresa la muratura), presentava la tipica pianta a forma di circo, divisa in tre navate da una serie di pilastri. La forma, la tecnica di costruzione come pure l'uso dello stucco quale materiale decorativo, confermò l'affinità con S. Sebastiano e, proprio tenendo presenti le caratteristiche della basilica sull'Appia, fu possibile ricostruire verosimilmente SS. Marcellino e Pietro. Cosi' come a San Sebastiano anche intorno alla basilica ad duas lauros sorsero una serie di mausolei: uno di questi, sul lato meridionale, si trovava in corrispondenza della sottostante tomba dei due martiri. In un periodo non identificato si verifico un'importante opera di restauro che interesso' tanto la basilica quanto il Mausoleo di S. Elena, scoperta dagli studiosi grazie al rinvenimento di una malta rossastra distinguibile dalla malta grigio - verde delle murature più antiche. Uno studio più accurato ha, invece, indicato la realizzazione dell'intero complesso posteriore all'Editto di Milano il quale sancì la libertà di culto dei cristiani. L'antica basilica, minata dallo scavo di alcune gallerie nelle catacombe, giunte fino alle sua fondamenta e, lasciata senza manutenzione, a meno di presunti restauri al tetto e ai porticati, eseguiti sotto il pontificato di Benedetto IV (855-858), si avvio' alla definitiva rovina.

IL MAUSOLEO DI S.ELENA

 

Il monumento posto sulla facciata orientale della basilica attribuito ad Elena, madre di Costantino, denominato popolarmente "Torpignattara", rappresenta una delle più interessanti costruzioni del periodo tardo - romano. La sua origine risale intorno agli anni 326-330, posteriore quindi alle catacombe e alla basilica, come testimoniano tanto i bolli laterizi quanto una moneta ritrovata nella malta datata 324-326. L'utilizzo delle anfore (pignatte) era consueto nell'ingegneria romana, la loro funzione era quella di favorire il processo di presa della malta all'interno delle possenti masse murarie. Tra gli antichi edifici realizzati con tale tecnica ricordiamo il Circo di Massenzio, il Mausoleo di Valerio Romolo, la Sala decagona del Ninfeo degli Orti Liciniani e la Sala ottagonale della Villa dei Gordiani. Secondo alcuni studiosi l'imperatore Costantino avrebbe fatto costruire il Mausoleo per se e per la Casa Imperiale, prima che egli decidesse di trasferire a Costantinopoli la capitale. Ciò è confermato dal fatto che sulle pareti esterne del sarcofago sono riprodotte scene di guerra, senz'altro più attinenti all'imperatore che non a sua madre. Costantino, infatti, stimava a tal punto le sue truppe da desiderare di essere sepolto accanto a loro. Inoltre, dopo la sua conversione, nutriva insieme ad Elena una grande devozione per i SS. Marcellino e Pietro sepolti nelle vicine catacombe e per i quali aveva fatto costruire una basilica. Il grande sarcofago di porfido dove Elena fu sepolta era situato nella nicchia più grande dal mausoleo prima del suo trasferimento in Laterano avvenuto nell'XI secolo. Oggi si trova nella sala denominata "la Croce Greca" nei Musei Vaticani. Flavia Iulia Helena, nata in Bitinia intorno al 250 d.C., era una donna di umili origini. Concubina di Costanzo Cloro (prima moglie secondo alcune fonti, ripudiata in un secondo tempo, secondo altre) da cui ebbe Costantino, venne proclamata Augusta dopo il 324 ed ebbe grande influenza sulla politica religiosa del figlio. Secondo la leggenda intraprese un viaggio in Palestina dove avrebbe cercato e ritrovato la vera croce di Gesù, una parte della quale sarebbe stata da lei portata a Roma e collocata nella basilica appositamente fatta costruire. La Chiesa le attribuì molte virtù e la proclam santa molto tempo dopo la sua morte avvenuta nel 330. Il suo zelo religioso la indusse ad erigere, oltre alla basilica cimiteriale ad duas lauros e il Mausoleo, diversi luoghi di culto a Costantinopoli, a Roma (S. Croce in Gerusalemme) e a Betlemme (Basilica della Natività. Il Mausoleo, oggi in parte crollato, e una grande rotonda realizzato con materiale laterizio proveniente in parte dalla officina summae reifisci Domitiana, fornace fondata da Diocleziano. Originariamente era alta 25,42 metri, larga 27,74 metri di diametro esterno e 20,18 metri di diametro interno. La sua pianta circolare comprendeva nel cilindro inferiore otto nicchie, alternativamente rettangolari e semicircolari, una delle quali costituiva l'ingresso. La nicchia principale, di fronte all'antico atrio, larga 5,50 metri, ospitava il grande sarcofago della santa ed è posta ad est, mentre altre otto finestre si aprono in corrispondenza delle nicchie poste nell'anello superiore. Nel rinfianco, così come nella copertura a cupola erano annegate le pignatte, tutt'ora visibile per il crollo parziale dell'edificio, utilizzate, come evidenziato in precedenza, per diminuire il peso dei carichi laterizi gravanti. Data la superficialità degli esecutori in fase di costruzione, il Mausoleo subì presto infiltrazioni di acqua piovana che minarono lo stato di salute del monumento. Benché colpito e rovinato, continuò ad ospitare la tomba della santa fino all'XI secolo. All'erosione dei fenomeni atmosferici si aggiunse però l'intervento umano, pietre e marmi appartenenti all'edificio vennero utilizzati come materiale da costruzione. Nell'VIII secolo il Mausoleo divenne una fortezza difensiva e, nel contempo, venne realizzato l'odierno ingresso dalla via Casilina. Per una ricostruzione storica del monumento si dovrà attendere il XVI secolo quando, grazie all'intervento di alcuni studiosi, fu avviato uno studio più accurato dell'edificio. Antonio Bosio, per esempio, nel 1594 nel visitare il Mausoleo rilevò che al suo interno erano presenti alcune figure di santi con tracce di diademi in mosaico. Da qui fu avallata l'ipotesi che quando il monumento passò in proprietà della Basilica della San Giovanni in Laterano, era già adibito a luogo di culto cristiano.

IL PARCO DEI GORDIANI

 

L'area occupata dal parco è compresa tra il II ed il IV chilometro della Prenestina ed è divisa in due dalla stessa via, che qui corrisponde pressoché esattamente all'antico tracciato della strada. Nella parte destra del parco, ancora inesplorata da scavi sistematici, emerge, tra gli altri resti, una grande cisterna in laterizio a pianta quadrata, a due piani con sei ambienti intercomunicanti, importante per la conservazione del sistema idraulico e chiaramente destinata al servizio di una grande villa, alla quale doveva fornire la necessaria quantità d' acqua. La cisterna è datata dal Lugli tra la fine del III e l'inizio del IV secolo d. C. Vi si trovano inoltre, lungo la via, alcuni sepolcri, tra cui il più significativo è il colombario situato all' angolo con via Olevano Romano, attualmente protetto da una costruzione in tufo. La camera sepolcrale a pianta quadrangolare è incassata nel terreno, presenta cinque ordini di loculi sulle quattro pareti e la scaletta di accesso. Costruita in opera reticolata tra la fine del sec. I a.C. e gli inizi del sec. I d.C., era coperta a volta e presentava una interessante iscrizione metrica latina dipinta sull' intonaco, in ricordo di Iunia Formosa, attualmente all' Antiquarium Comunale. Nella parte sinistra del parco, esplorata da scavi condotti dalla X Ripartizione del Comune di Roma tra il 1954 ed il 1960, troviamo i ruderi monumentali della cosiddetta Villa dei Gordiani, i resti di un importante mausoleo e quelli di una basilica cristiana di età costantiniana.

VILLA DEI GORDIANI

 

Tale denominazione è stata data alle strutture che di essa fanno parte sulla base delle notizie tramandateci da Giulio Capitolino nella "Historia Augusta" (Gordiani III, 32), secondo il quale la nobile famiglia dei Gordiani possedeva una villa sulla Prenestina, che fu restaurata con gran lusso da Gordiano III (imperatore dal 238 al 244 d.C.), tanto che vi si ammiravano un portico di 200 colonne di marmi pregiati, dalle terme sontuose e tre basiliche. Tuttavia l'attribuzione del monumento a detta famiglia non è fondata su elementi certissimi, in quanto la fonte antica parla genericamente di villa situata sulla via Prenestina senza fornire una ubicazione precisa. D'altra parte, l'imponenza e la maestosità dei resti attuali e l'assenza di simili avanzi in altri posti della via stessa, sembrano giustificare tale attribuzione. Va ricordato che secondo alcuni studiosi la villa si estendeva su entrambi i lati della via. Il fatto si spiega in base all'ipotesi che i due corpi di fabbrica appartenessero ad unico complesso ricadente in un' unica proprietà venuta a far parte del demanio imperiale. Dal punto di vista architettonico, come accade per le altre ville del suburbio, la villa testimonia varie fasi costruttive alcune delle quali non organicamente collegate alle precedenti. Alcuni resti della costruzione sono stati interrati, al fine di preservarli, nel momento in cui il parco fu sistemato nella veste attuale ed utilizzato come pubblico giardino. Tuttavia il comprensorio dei Gordiani, anche per la decisa battaglia condotta dalla X Ripartizione del Comune di Roma per la salvaguardia della sua integrità, non è stato intaccato, nella sua area originaria, dalle profonde e deturpanti fratture subite da altri complessi archeologici. Unica occupazione di suolo che non si è potuto contestare e disattendere è stata quella richiesta dall'impianto di alcuni servizi pubblici indispensabili, quali scuole e campi da gioco. Il prezzo di tale iniziativa è stato comunque alto, in quanto parte delle rovine è stata interrata e quindi non è visibile. La parte interrata comprende il nucleo più antico, ossia una costruzione ad atrio di età repubblicana, con ambienti ad essa collegati, un corpo sostruttivo con criptoportico; ambienti vari, alcuni di uso termale (questa villa repubblicana potrebbe essere divenuta parte, pur rimanendone distaccata, di quella costruita e successivamente ampliata nell'età imperiale). Altri resti, i più monumentali della villa, sono attualmente in superfice. Questi sono:
1. un complesso di conserve idriche;
2. un'aula absidata;
3. una caratteristica aula ottagonale.
Complesso di cisterne: Si tratta di un complesso di conserve idriche della metà del sec. II d.C., costituito da una grande cisterna quadrangolare in opera mista a due piani, con contrafforti esterni e pareti intermedie leggermente concave. Il primo piano, con funzione sostruttiva, è diviso in due ambienti coperti a volta, comunicanti per mezzo di due aperture ad arco; il secondo piano è un unico ambiente quadrato, anticamente coperto da volta a crociera, con il pavimento e le pareti rivestiti di signino per impermeabilizzazione. Addossata a questa è visibile un'altra cisterna più piccola, semisotteranea, di forma rettangolare e costruita in opera laterizia.
Aula absidata: Tra i resti in superficie si distingue anche un'aula che presenta un duplice aspetto: il lato Ovest, rivolto verso l'esterno, e rettilineo, mentre il lato interno, rivolto ad oriente, e curvilineo, con tre nicchie di cui la centrale retta. L'aula conserva buona parte della volta in stucco, foggiata a conchiglia. Diverse sono state, da parte degli studiosi, le interpretazioni sulla funzione di tale aula, che potrebbe essere parte di un complesso termale; intorno ad essa affiorano al suolo alcuni muri, probabilmente appartenenti ad alcuni ambienti di rappresentanza.
Aula ottagonale: E l'ambiente, di notevole grandezza, più caratteristico di tutto il complesso, a pianta ottagonale e con pareti interne che presentano nicchie alternativamente rettilinee e curvilinee. Nelle nicchie rimangono avanzi di stucchi, costituiti da cerchi intrecciati con animale fantastico al centro. Grandi archi di scarico sormontano le nicchie e sorreggono la cupola emisferica (in gran parte crollata), costruita con anfore di terracotta (olle) immerse nell'interno della muratura in opera cementizia, con lo scopo di alleggerire il peso della volta. L'edificio, del quale resta solo una metà, costruito in opera laterizia, era illuminato da grandi occhi circolari. Gli studiosi hanno concordemente datato l'aula alla meta del sec. III d.C. (cioè all'età dei Gordiani). Il Nibby ed il Canina ritengono che l'ambiente avesse funzione termale; il Lugli lo considera un ninfeo, facente parte di un complesso di ambienti testimoniati da strutture murarie superstiti. La costruzione, rispetto alle altre del complesso, ha particolare importanza storica in quanto, per la sua posizione elevata ed isolata, fu prescelta per innalzarvi, nel Medio Evo, una torre che dominasse la campagna circostante e costituisse un asilo sicuro per i potenti signori del tempo. Della torre è rimasta solo un alto tratto di parete a blocchetti di tufo frammisti a scaglie di marmo ed un pilastro al centro dello stesso materiale, abbastanza ben conservato, che doveva servire come sostegno della parte superiore dell'edificio o come perno per le scale di accesso ai vari piani. La torre è documentata a partire dal sec. XIII, col nome di "monumentum", nella Bolla di Onorio III del 1217 e ricordata infatti la "turrim quae dicitur monumentum". Nei pressi della torre si accamparono, nel 1347, le truppe dei Colonna, che muovevano da Palestrina verso Roma per combattere Cola di Rienzo. II casale del monumento fu poi acquistato dai Colonna nel 1422 e da questi ceduto nel 1457 al cardinale Domenico Capranica nel 1517; il monumento fece parte dei beni di Vincenzo Rossi dello Schiavo: da questa famiglia derivò la denominazione "Tor de'Schiavi", data al complesso, che sostituì l'antico nome. Secondo alcuni studiosi la denominazione di "monumentum", molto usata nel Medio Evo per indicare un rudere di ragguardevoli dimensioni, e quella di Tor de'Schiavi spetterebbero al mausoleo rotondo.

IL MAUSOLEO


Si tratta di un edificio a pianta circolare, in opera laterizia, a due piani, di cui il sotterraneo è a forma di corridoio, con nicchie alternativamente curvilinee e rettilinee, disposto ad anello intorno ad un robusto pilone centrale. Esso, coperto da una volta a botte ed illuminato tramite finestre a feritoia, era adibito alla deposizione dei defunti.Il Mausoleo Il piano superiore, destinato alle cerimonie funebri, presenta uguale alternanza di nicchie ed è ricoperto da volta a cupola con grandi occhi circolari per l' illuminazione. La cupola, che rimane in parte nascosta dal muro esterno che si alza oltre la spinta della volta, era dipinta. Sulla superficie esterna del muro sono ancora visibili cornici e fasce decorative in mattoni e una serie di mensole in marmo. L' edificio era preceduto da un piccolo portico a colonne con ampia gradinata frontale, sul tipo del Pantheon. La tipologia della costruzione era la stessa del Mausoleo di Romolo, figlio dell' imperatore Massenzio, sulla via Appia, della stessa epoca. L' esame accurato dell' opera e il ritrovamento di alcuni bolli laterizi risalenti all' inizio del sec. IV d. C. hanno consentito di attribuire il monumento all' età costantiniana. L' edificio non aveva quindi alcun collegamento strutturale e funzionale con la Villa dei Gordiani, rispetto alla quale è posteriore, né si conosce a chi fosse dedicato.

BASILICA CRISTIANA
e catacomba sottostante

 

Immediatamente ad Est del mausoleo si trovano i resti di una basilica cristiana. Essa e' stata erroneamente ritenuta, per lungo tempo, un piccolo circo o uno stadio, da alcuni anni e' stata, pero', accertata la sua natura di basilica cristiana di età costantiniana. La sua tipica pianta a forma di circo, divisa in tre navate mediante una serie di pilastri in muratura per la maggior parte quasi totalmente distrutti fino al piano di spiccato, ci riporta immediatamente a quelle altre basiliche di Roma della stessa epoca, quali S. Sebastiano, SS. Marcellino e Pietro. Costruita in opera vittata, misura m. 67 x 33 e presenta, come le altre basiliche sopra menzionate, la facciata rivolta ad oriente, leggermente obliqua all'asse principale dell'edificio. Come per il mausoleo, si ognora a chi fosse dedicata, a differenza delle basiliche anzidette, per le quali abbiamo abbondanza di notizie storiche e continuità del culto della memoria dei Martiri cui furono dedicate. È probabile che ci fosse una relazione tra il mausoleo e la basilica vicina, pur non sussistendo, come accade per la basilica dei SS. Marcellino e Pietro ed il Mausoleo di Elena sulla via Labicana, un materiale collegamento tra loro. Anonima e pure la piccola catacomba sottostante, a due piani, oggi inaccessibile, di cui si intravede solo l'imboccatura in corrispondenza di via Rovigno d'Istria e della quale non è stato possibile accertare neppure il carattere cristiano, per mancanza di prove storiche ed archeologiche. Infatti, quando fu esplorata, la catacomba fu trovata interamente devastata. Nei pressi della basilica si trovano resti di colombari del sec. I d. C. attualmente interrati, dei quali si scorgono solo alcune strutture murarie affioranti dal terreno. II complesso si presenta dunque come una vasta zona sepolcrale caratterizzata da una basilica funeraria in prossimità di un grande mausoleo e di un esteso cimitero. I resti del Parco dei Gordiani hanno affascinato numerosi studiosi ed artisti di varie epoche, come il Piranesi, il Nibby, il Canina ed altri ancora, i quali li hanno riprodotti o descritti interpretandone, secondo le proprie vedute soggettive, la natura e la funzione.