Di
TORRE FARO

Le sirenne chissà dove sono sepolte... In quale cimitero marino... Supremo era il loro canto... Adesso è sparito nel verde brillante dei monti Peloritani... dissolto nell'azzurro del cielo stretto sopra una lingua di mare misterioso, profondo, a picco tra due scogli. Uno alto e maestoso con una buia spelonca al centro... antro intestino cupo baratro maligno... caverna di cagna latrante, mostro aberrante a sei lunghi colli e spaventose teste con enormi bocche a tre fila di denti neri... L'altro più piccolo e così vicino che, se lo avesse voluto, Odisseo avrebbe potuto fare un ponte con unico tardo ben piazzato al tronco del grande fico che lo sovrasta... Tra le sue enormi radici si aprono le fauci della funesta Cariddi che ingoia acqua,salsa di mare, pesci e sangue d'omoni disgraziati che dopo il pasto in tre volte vomita a brandelli, schiumando e terribilmente rombando.
Ormai da tanti anni non si sente più il loro canto stregante, tenuto da Circe sovrana... Non si odono i loro suoni mielosi e calamitanti, che Ulisse riuscì sfuggire grazie alle robuste corde achee che lo legavano stretto all'albero della tormentata nave. Sono sparite. Una dopo l'altra. Ammazzate dalle reti metalliche... dalle turboeliche... dalle borse bottiglie scatolette di terribile eterna galleggiante indistrutibile plastica.
Sono scomparse le sirene da millenni... E' rimasto un solo diretto discendente. Non ha la coda le pinne le squame il canto la voce... ma ha il loro sorriso occhi labbra e soprattutto ha il fisico da ibrido marino perfetto: corpo e cervello d'uomo, cuore e polmoni d'anfibio.
Di nome cola, come il nonno paterno, vive nell'acque dello Stretto tutto l'anno.
A febbraio è bianco come il grande ventre delle sue amiche orche... ad aprile è giudice supremo dei pescespada maschi impegnati in cavallereschi tornei amorosi... a settembre bruno brillante nella luce nostalgica del tramonto... a dicenbre stella marina che guida e consiglia i pescatori... Oggi si va, il tempo regge... oggi si resta a parlare narrare criticare attacare riconoscere temere l'onnipotenza di Poseidone.
Cola, insomma, è più pesce e per il resto uomo. Ultimo testimone vivente di una specie ormai estinta; ultimo anello biologico che unisce gli esseri terrestri a quelli marini. Non si sa quadto è nato, però in giro si crete che vivrà quanto il mondo.
Da molti secoli, da quando dopo un terribile terramarecielomoto una delle tre colonne su cui poggia Messina e il Peloro si è rotta e un'altra è gravemente e irrimediabilmente lesionata, vive quasi sempre negli abbissi dello stretto... dritto sul fondale roccioso e tremolante... tenendo sulle possenti spalle l'enorme capitello della colonna distrutta.
Sta sempre lì sotto, attento a seguire i movimenti della terra, ad evitare il crollo che potrebbe provocare la frequente fibrillazione dell'Isola del Sole.
Renato Guttuso
  Colapesce di Torre Faro

Accadde molti, molti anni fa,
non si sa di preciso,
è un segreto tra Dio
e il giovane, taciturno e aitante, Cola
Cola, dal sano e indifeso ventre,
viveva in una città
di sole pulito e di mare cristallino.
Una città, dove le notti
come i limoni sono perfette,
racchiuse ciascuna in se stessa.
La città, che come un grido di cometa
aveva attraversato i tempi,
con il largo clamore ritmato
di voce intonata da scrosci,
era Messina.
Cola sapeva bene
che ogni goccia di mare
è oceano,
rugiada,
lacrima d'infinito,
e così adornava la piana
delle maliziose onde di estasi.
L'acqua fioriva di sogni
e l'autira del riso divino.
Cola diventato per tutti,
compresa la madre astiosa, Colapesce
sgocciolava virtuosi sentieri

lasciandosi rapire corpo e anima.
Gli amici pesci
gli scivolavano intorno a grappoli.
Gli si appaiava il delfino fratello,
con un piccolo incendio di gioia.

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FATA MORGANA