La biografia completa di Charlie "Bird" Parker scritta da Arrigo Pollillo, nel suo libro Jazz.
Charlie Parker.
da Jazz di Arrigo Polillo, ottobre 1997, Mondadori (edizione aggiornata a cura di Franco Fayenz).
Di lui, Robert George Reisner ha scritto: "Fu una delle
persone più difficili che abbia mai incontrato. Era soave, astuto, cortese,
affascinante e, in generale, luciferino. Troppo luciferino. Mi adulava, mi metteva
quieto, e poi, tac!, il grande tradimento". E ancora: "Bird fu l'hipster
per eccellenza. Si era fatto le sue proprie leggi. La sua arroganza era enorme,
la sua umiltà profonda".
Nella cartella clinica che lo riguarda, conservata al Camarillo, l'ospedale
psichiatrico dove fu ricoverato nel 1946, Charlie Parker è descritto
come un uomo di "intelligenza superiore", di cui vengono messe in
rilieo le "tendenze paranoiche", le "fantasie sessuali"
e la personalità "estremamente evasiva". Molto simili a questi
sono i termini con cui venne definto nel 1954 dai medici del Bellaveue Hospital
di New York: "notevole intelligenza, ostile, evasiva personalità,
fantasie primitive e sessuali, associate all'ostilità; pensiero di tipo
paranoide in grande evidenza". Questi stessi medici conclusero che il loro
paziente doveva essere considerato schizzofrenico.
Tutti, amici e nemici, dovettero riconoscere di essere stati soggiogati dal
suo singolare fascino, tutti ebbero, prima o poi, qualche motivo di risentimento
nei suoi confronti, e furono da lui traditi. Ma anche chi vide ricambiare col
tradimento le attenzioni, l'affetto, la generosità, finì per perdonarlo.
Perché per tutti loro Charlie Parker era un genio. Di questa parola si
è fatto abuso, nel mondo del jazz. Parker però fu un genio per
davvero: per lo meno come Armstrong ed Ellingron e forse più di loro.
Fu il Picasso dell'arte afro-americana, l'uomo che reinventò la sintassi
e la morfologia della musica jazz e ne deviò il corso. C'è da
domandarsi quali risultati avrebbe potuto raggiungere se il colore della sua
pelle non lo avesse relegato nel ghetto, fra bagasce, trafficanti e drogati,
se Edgar Varèse, che più di una volta si era dichiarato disposto
a prendersi cura della sua educazione musicale, avesse avuto davvero la possibilità
di aiutare quel sassofonista selvaggio e geniale che dormiva tanto spesso vestito
e che fu ridotto alla follia dagli stupefacenti e dall'alcool.
Il suo destino era già segnato quando la sua famiglia, come tante famiglie
negre d'America, si disgregò mentre lui era ancora bambino. Il padre,
uno scioperato guitto che aveva girato per anni con delle compagne di vaudeville
finché non si era arenato a Kansas City, aveva abbandonato la moglie
e il figlioletto quando questi era ancora in tenera età. Charlie lo avrebbe
rivisto soltanto parecchi anni dopo, cadavere, quando tornò a casa per
partecipare ai suoi funerali: l'aveva pugnalato a morte una prostituta.
Il ragazzo ricevette la sua educazione per le strade del ghetto negro di Kansas
City: non la città-sobborgo dello stato del Kansas in cui era nato il
29 agosto 1920, ma l'omonima grande città del Missouri, al di là
del fiume Missouri, dove la famigliola si era trasferita presto. La madre, un'umile
donna delle pulizie, trovò presto un lavoro che la teneva impegnata nelle
ore notturne e Charlie, che frequentò per qualche anno la Lincoln High
School senza entusiasmo, ne approfittò per seguire le proprie inclinazioni,
accompagnandosi con gente della peggior risma del sottomondo di Kansas City,
e intrufolandosi nei cabarets del quartiere negro per ascoltare le orchestre
jazz. A quindici anni era già sposato con una ragazza di diciannove,
Rebecca Ruffin; aveva fatto le sue prime esperienze con le droghe e, avendo
ormai abbandonato la scuola, poteva essere considerato un musicista professionista:
un mediocre sassofonista che aveva imparato a suonare uno sgangherato strumento
compratogli dalla madre. I suoi maestri, per lo più involontari, erano
i grandi sassofonisti di Kansas City e soprattutto Lester Young e Buster Smith,
detto il Professore, che, dopo aver sounato con i Blue Devils, aveva fatto parte
delle orchestre di Bennie Morten e di Count Basie.
Kansas City viveva allora il suo periodo più fulgido, per quanto rigurda
la vita notturna ed il vizio. Il potente Tom Pendergast copriva e gestiva, in
proprio o per interposta persona, ogni sorta di affari, di trafici e di intrighi.
La musica, ed in particolare il jazz, era un ingrediente essenziale di certi
traffici e si poteva ascoltare dappertutto. C'era lavoro anche per certe orchestrine
dilettantistiche di mediocre livello come quella diretta dal pianista Lawrence
Keyes, che dal 1934 in poi ebbe più volte nelle sue file il principiante
Charlie Parker.
Un altro suo caporchestra, in quel periodo di apprendistato, fu Tommy Douglas,
che guidava una territorial band di una certa rinomanza, ma la sua vera
scuola furono le jam session che a Kansas City, allora, erano frequentissime.
Nel 1937 Parker era già un musicista di rilievo, tanto da meritarsi delle
scritture nelle orchestre di Buster Smith e di Jay McShann, due delle migliori
della zona, e in quella di George E. Lee. Il contrabbassista Gene Ramey, che
gli fu vicino sovente in quegli anni, ha ricordato: <<Dal tipo risibile
che era, Charlie si era trasformato in un sassofonista degno di essere ascoltato.
Ora non aveva più quella sonorità dolciastra. Ne aveva una sua
personale: nitida e senza molto vibrato. Le sue ideee erano ancora bizzarre
- roba come i raddoppi del tempo e certe strane modulazioni fuori dalla tonalità
- ma ora avevano un senso. Conosceva a memoria tutti gli assoli di Lester Young.
Suonava quasi come Lester Young, un Lester che suonasse l'alto, ma si avvertiva
già qualcosa di suo. E questo qualcosa faceva molta differenza>>.
Parlando della sua partecipazione a certe jam session, Jay McShann ha detto:
<<Quello che soprattutto contave nelle jam session erano le idee musicali.
Charlie era in grado di reggere il confronto con colleghi più anziani,
alcuni dei quali avevano già anni di esperienza nelle grandi orchestre.
Era uno strano ragazzo, molto aggressivo e informato su ciò che succedeva>>.
Se avesse potuto conoscere allora questi giudizi, Charlie si sarebbe ritenuto
sottovalutato. A detta di chi lo frequentava a quel tempo, era ben persuaso
di essere il più grande sassofonista del modo. Era tanto sicuro di sé
da essere già sulla via di diventare - come lo avrebbe definito Ross
Russell - il <<carismatico egomaniaco>> degli anni maturi.
Era tanto consapevole del suo valore che Kansas City gli parve presto una città
troppo picccola. A diciotto anni aveva moglie e un figlio, ma ciò non
costituiva una buona ragione per farlo restare a casa.
Al contrario. Nascosto in un carro merci, come un hobo, si trasferì
a Chicago, dove suonò per qualche tempo e fu anche ascoltato da Billy
Eckstine; poi si mise in viaggio alla volta di New York, dove era stato preceduto
dal suo vecchio caporchestra e maestro, Buster Smith. Subito si presentò
a lui per avere un appoggio. <<Aveva un aspetto veramente spaventoso quando
venne da me. - ha ricordato questi - Aveva tenuto le scarpe ai piedi per tanto
tempo che le sue gambe si erano gonfiate. Ha abitato in casa mia per un bel
po'... Durante il giorno mia moglie lavorava e io me ne andavo in giro a darmi
da fare e lo lasciavo a stare a casa a dormire nel mio letto. Poi usciva, suonava
tutta la notte da qualche parte e quindi tornava e andava a dormire nel mio
letto. Lo facevo uscire nel pomeriggio prima che mia moglie rientrasse. A lei
non piaceva che dormisse nel nostro letto perché non si spogliava mai
prima di coricarsi. Lui se ne andava al Monroe's e suonava tutta la notte. I
ragazzi cominciavano ad ascoltarlo attentamente.>>
Charlie non fu visto solo al Clarke Monroe's, in quel periodo. Per qualche mese
lavorò al Jimmy's Chicken Shack, un elegante locale di Harlem frequentato
dalle celebrità del mondo negro: Ethel Wates, il pugile Joe Louis, il
giornalista Dan Burley, gente così. I clienti erano intrattenuti da Art
Tatum, non da lui. Lui faceva lo sguattero, per nove dollari alla settimana.
Stava lì soprattutto perché gli piaceva ascoltare Tatum: quando
il pianista se ne andò, scritturato in un locale di Hollywood, se ne
andò anche lui.
Il lavoro che trovò subito dopo era un poco meglio: fu assunto nell'orchestrina
del Parisian Ballroom, una sala da ballo popolare intorno a Times Squares. Ogni
pezzo suonato durava un minuto esatto, che ai clienti, che noleggiavano per
un giro di danza le "ragazze taxi" in servizio nel locale, costava
25 centesimi di dollaro.
Dopo qualche esperienza in locali di terz'ordine dovette tornare a Kansas City,
per prendere parte ai funerali del padre. Si guardò attorno in cerca
di lavoro, ma la città, dopo l'arresto di Pendergast, non aveva più
nulla da offrire a un musicista di jazz. A Charlie non rimase che intrupparsi
nell'orchestra di Harlan Leonard, con cui restà però solo qualche
settimana: giusto il tempo necessario per tornare con quella a New York.
Qaulche mese più tardi era di nuovo nell'orchestra di Jay McShann, e
con essa suonò a lungo, facendosi notare da molti: con quella formazione
compì delle tournées, mise a punto il suo stile (<<l'aveva
in testa assa prima di poterlo materialemtne definire>> ha detto McShann)
e incise i suoi primi dischi, nel 1940 e nel 1941. Fu quello un periodo di grande
entusiasmo per Charlie: <<Viveva per la musica ventiquattro ore su ventiquattro.
- ha ricordato ancora McShann - La sua testa era piena di idee e di melodie.
Tirava fuori lo strumento e cominciava a suonare in albergo e in camerino. Non
aspettava l'inizio del lavoro per prendere gli assoli ed esprimere le proprie
idee>>.
Era già un sassofonista di classe: quando l'orchestra di McShann si esibì
al Savoy di Harlem, nel febbraio del 1942, il critico Barry Ulanov non esitò
a usare l'aggettivo <<superbo>> per definire il suo jazz, e del
resto certe esecuzioni registrate con quella formazione, come Lady be good,
scoperta molti anni dopo e pubblicata sotto le etichette Onyx e Spolite nel
1974, confermano che a vent'anni il jazzman di Kansas City era già in
possesso di uno stile originale, molto simile a quello dell'età matura.
Lasciato McShann quando questi ritornò a Kansas City, nell'estate del
1942, Charlie ricominciò a frequentare la Clarke Monroe's Uptown House
e il Minton's, dove poté rinnovare qualche vecchia conoscenza e farne
di nuove. Viveva alla giornata, e spendeva tutto ciò che guadagnava per
soddisfare la sua tossicomania. Questa gli impedì di prestare il servizio
militare: non c'era posto per un tipo come lui nell'esercito degli Stati Uniti.
Il mondo del jazz era meno schizzinoso. Anche se l'eroina era ancora praticamente
sconosciuta ai jazzmen, chi era abituato, come i musicisti negri, alla vita
del ghetto non ci faceva gran caso. Semmai Parker - ma tutti ora lo chiamavano
Bird, l'Uccello, o Yardbird, uccello da cortile, gallinaceo, e non si è
mai saputo con sicurezza quale ne fosse la ragione - destava qualche curiosità
proprio perché faceva cose diverse da tutti gli altri, perché
era hip. Quello che soprattutto colpiva i colleghi comunque era il suo talento
musicale, che qualcuno giudicava già accezionale. Fra i suoi ammiratori
e propagnadisti era Little Benny Harris, un amicone di Dizzy Gillespie: fu lui
che fece conoscere il giovane sassofonista a Earl Hines, inducendo infine quest'ultimo
ad assumerlo.
L'orchestra di Hines fu, come si è già raccontato, la prima palestra
dei futuri boppers, ma non si deve pensare che Parker, che in quella suonava
il sassofono tenore, abbia dato un contributo rilevante al lavoro comune. Si
distinse, invece, per la suo indisciplina. Una buona metà delle volte
non compariva neppure nel luogo di lavoro, e quando arrivava era quasi sempre
in ritardo. Spesso, sul podio, si appisolava: i suoi collechi assicuravano che
era difficile accorgersene perché continuava meccanicamente a muovere
le dita sul sassofono, come se suonasse. Hines lo multava con regolarità,
ma non lo licenziò mai. Lo ammirava per quello che sapeva fare e lo ricordò
sempre con affetto. Lo tenne con sé per dieci imse, fino a quando Bird
non se ne ancdò spontaneamete, insofferente della disciplina che la milizia
in una grossa orchestra comportava. Avrebbe voluto domiciliarsi a New York,
ma, non avendo ancora la tessera del sindacato locale, dovette adattarsi a lavorare
qua e là in attesa di ottenerla. Fu a Washington, poi a Chicago: finalmente
fu chiamato a New York da Billy Eckstine che stava varando la sua orchestra
bebop, nella primavera del 1944.
Anche con Eckstine, che era un suo ardente ammiratore, Charlie combinò
qualche guaio. Il più grosso lo combinò al Plantation Club di
St. Louis e causò all'orchestra la brusca interruzione della scrittura.
Charlie si era sentito vietare, al pari dei suoi colleghi, il passaggio attraverso
l'ingreso principale del locale: di lì potevano entrare soltanto i bianchi.
Si vendicò passando di tavolo in tavolo, dove erano seduti i musicisti,
e mandando in frantumi, uno dopo l'altri, i bicchieri in cui questi avevano
bevuto. La direzione, spiegava, non li avrebbe più usati perché
erano stati contaminati dalle labbra di gente dalla pelle scura.
Le grandi orchestre non erano fatte, ad ogni modo, per un individualista come
Charlie Parker, che dal canto suo capì presto che il suo destino si sarebbe
giocato nei piccoli complessi che si formavano e si disfacevano nei localini
della 52a Strada di New York. Il locale che avrebbe costituito per lui il trampolino
di lancio fu il Three Deuces, sulla cui insegna spiccavano tre carte da gioco
in una mano e un sassofono rampante. Gli affari andavano bene: aveva scritturato
uno sconosciuto pianista di Pittsburgh, Erroll Garner, che piaceva al pubblico
tanto quanto ai musicisti perché aveva uno stile originale e cattivante,
e in più aveva in cartellone un trio, costituito da un pianista italo-americano,
Joe Albany, dal bassista Curly Pussell e dal batterista Stan Levey. Parker fu
aggiunto al trio, che sarebbe stato completato qualche tempo dopo da Dizzy Gillespie:
nel quintetto così formato, il più straordinario complessiono
allora attivo nella "Strada", Al Haig aveva preso il posto di Albany.
Cominciarono in quel periodo, dal settembre 1944 ai primi mesi del 1945, le
incisioni di Bird con piccoli complessi occasionali. Il primo di questi fu guidato
dal chitarrista di Art Tatum, Tiny Grimes, che qualche giorno dopo l'arrivo
di Parker al Three Deuces lo volle con sé assieme al pianista Clyde Hart
e altri, per registrare per la Savoy alcuni pezzi tra cui Red Cross,
basato sugli accordi di I got rhythm. Poi Charlie si ritrovò al
fianco di Gillespie a incidere per la Guild dei brani che avrebbero suscitato
molto scalpore, Groovin' high, Dizzy atmosphere e All the things
you are, seguiti, a distanza di qualche mese, da Salt Peanuts, Shaw
'nuff, Lover man (con Sarah Vaughan) e Hit house, altrettanti
manifesti del nuovissimo jazz.
Al giugno del 1945 risale una seduta di incisione organizzata da Red Norvo per
un'altra etichetta indipendente, la Comet. Hallelujah, Congo blues
e Get Happy sono le più significative facce registrate in quella
occasione: significative soprattutto per l'apporto di Parker e di Gillespie.
Molto migliori sono però i pezzi incisi in autunno per la Savoy: Koko,
Bille's bounce e Now's the time sono tre gemme nella discografia
di Parker. Per molti Koko è il suo capolavoro.
L'attività abbastanza intensa negli studi di incisione non significava
affatto accettazione della musica di Parker e di Gillespie da parte del grosso
pubblico. Gli unici che applaudissero, allora, erano gli hipster e pochi musicisti
di idee aperte. Quanto agli esponenti dell'Establishment jazzistico, non nascondevano
il loro disgusto per quelli che a loro sembravano soltanto suoni in libertà,
e altrettanto facevano gli impresari. Ma c'era qualche eccezione, come quelle
rappresentate da Symphony Sid, un popolare disc jockey, dall'impresario Monte
Kay e dal giornalista Mal Braveman, che insieme costituirono una alquanto fantomatica
New Jazz Foundation e che, dal maggio al giugno di quell'anno, presentarono
i due primi concerti di bebop alla Town Hall di New York, con Bird e Dizzy come
principali attrazioni.
Parker tuttavia aveva altri modi per consolarsi dell'incomprensione del pubblico
e dei critici. Oltre alle droghe, che gli facevano compagnia giorno e notte,
c'erano, in cima ai suoi pensieri, le donne. Quando era con Hines si sposò
una seconda volta con Geraldine Scott, da cui si separò presto; quando
approdò alla 52a Strada si innamorò quasi contemporaneamente -
amandole alternativamente - di Doris Snydor, che avrebbe sposato più
tardi in Messico dimenticandosi di non aver divorziato da Geraldine, e di Chan
Richardson, con cui visse more uxorio negli ultimi anni della sua vita.
Chan era una ballerina, figlia di un guardarobiera del Cotton Club; benché
bianca, sapeva tutto sul bop e sui suoi profeti, che a ogni ora del giorno e
della notte sapevano di poter trovare ricetto nell'alberghetto da lei condotto
al numero 7 della 52a Strada Ovest: una specie di recapito e di quartier generale
per i musicisti jazz che avessero le necessarie credenziali.
Bird non era un uomo da accontentarsi di due donne, ad ogni modo. Le sue prodezze
sessuali erano motivo di meraviglia per tutti, e così la sua voracità
e la sua sete all'alcool. Mangiava spesso due pasti completi uno di seguito
all'altro, e beveva come un otre. E poiché per soddisfare i suoi appetiti
e i suoi vizi - e soprattutto quello degli stupefacenti - spendeva tutto ciò
che guadagnava, era sempre in caccia di danaro. Scroccava pochi dollari per
volta a chiunque gli capitasse a tiro, si dimenticava di far fronte ai suoi
impegni anche dopo essersi fatto versare degli anticipi e non si preoccupava
del domani.
[Continua]