Lo stesso rischio: edizione bilingue della migliore poesia di Corrado Calabrò (Crocetti editori, Milano 2000)

Nella vasta gamma delle parole inventate dall’uomo a partire dai primordi della sua comunicazione con gli altri simili, si è sempre fatta distinzione tra verbi (azioni) e nomi (oggetti): elementi essenziali di ogni dire. Ma tra le parole i poeti hanno fatto una ulteriore distinzione, dividendole in poetiche e non poetiche, preferendo utilizzarne alcune per scartarne altre e dare una maggiore elevatezza e graziosità alla loro poesia. Tra costoro è certo Corrado Calabrò con la sua ultima silloge, “Lo stesso rischio”, che raggiunge una perfezione artistica non indifferente e una grande comunicazione di emotività. In effetti i termini ricorrenti come vento, mare, luna, stella, cielo, quiete…, per fare solo qualche esempio, lasciano scaturire una profonda sensibilità e soprattutto una quiete ed una pace interiore che si aprono a «effetti sonori variamente screziati e di grande effetto» scrive nella puntuale e profonda prefazione Maria Luisa Spaziani, la quale mette pure in evidenza, quasi in un rapporto biunivoco, l’uomo e il mare. «L’immagine massima della mutazione, del movimento, della metafora, dell’inversione, dell’impossibilità di un attimo di fissità è appunto il mare, questo visibile contraltare del tempo invisibile». In effetti in Corrado Calabrò l’elemento ‘acqua’ è determinante. Esso diventa simbolo ed emblema non solo della vitalità della natura, ma pure del processo interiore dell’uomo tra passato, presente e futuro. Emblematica in tal senso è la poesia “Colpo di luna”, quasi un poemetto all’interno della silloge, dove il mare assume un valore simbolico già a partire dai primi versi: «È vasto il cielo sulla spiaggia tiepida, / vasto di stelle alitanti leggere, / sul regolare respiro del mare…». Il mare non è un essere amorfo, il mare è vita, è sensibilità e sensualità. Non per nulla spesso ad esso è accostata la donna, quale desiderio d’amore e di amicizia, quale entità autonoma che si confronta con i numerosi elementi naturali che evidenziano pace, quiete, sensibilità e sensualità, ma soprattutto luce, calore, vita. Nella stessa poesia “Colpo di luna” infatti, l’altro elemento determinante è la luce: «…attendono prostrare dalla luce / della luna, ch’emerge di tre quarti / levando un po’ la prua sull’orizzonte». Ma parole come spiaggia, acqua, scoglio, àncora, riva, rugiada, lago, onda sono parole che nel loro valore semantico percorrono l’intera silloge, quasi a voler dire l’elemento primordiale da cui l’uomo trarre vita, ma pure le sue emozioni. In questo senso il richiamo all’infinito di Leopardi è doveroso: «Così tra questa / immensità s’annega il pensier mio: / e il naufragar m’è dolce in questo mare». La silloge, tradotta ottimamente in francese da Monique Baccelli, presenta, sia per le sue qualità interne ed espressive che per la disposizione delle immagini, una apprezzabile musicalità, determinata da un verso accurato che, pur andando nell’ambito del verso libero contemporaneo, offre una fortissima presenza di endecasillabi e settenari. Se il verso non è poesia, è certo una parte essenziale dell’espressività poetica per non cadere nella banalità della prosa. A tale intento è giunto Corrado Calabrò, sapendo fondere, in una forma equilibrata, musicalità esteriore e contenuto che travolgono estremamente la fantasia umana. La fusione tra realtà e fantasia, tra mito e storia, riportano ad una grecità che fa da sottofondo a molti poeti meridionali (quale è pure Calabrò), in un terra in cui i Greci hanno lasciata impressa la loro anima e soprattutto la loro spiritualità. Ogni meridionale sente la grecità entro le proprie viscere e Calabrò lo mette bene in evidenza attraverso quell’equilibrio formale che proprio i Greci avevano raggiunto non solo nella poesia, ma in ogni arte. L’amore, la donna, la natura sembrano quasi fondersi tra di loro nell’ultima poesia, anche questa più un poemetto che una lirica, dal titolo “Il vento di Myconos”: «Fu abbandonata da Teseo nel sonno / Arianna, nell’isola di Nasso: / ansavano al vento notturno, / come otri, le vele insaccate… / La verità è che il filo ha un solo capo / e che il labirinto è senza uscita».

Angelo Manitta