Rosario Contarino: la classicità nel moderno nelle sillogi Mestica di aneliti e paturnie, Ponderati epifonemi, Dai nembi mattutini è il ravvisar d’occaso (rispettivamente Giarre 1991, Avola 1995, S. Giovanni La Punta 2000)

 
«Non insegnano, i poeti, che a vivere: la materia è assai difficile da costringere in nuove forme. Spezzare e ricostruire la misura dell’endecasillabo è stato un impulso meditato e svolto durante una generazione». Così scriveva Salvatore Quasimodo nel 1956. La poesia post-pascoliana e le Avanguardie hanno cercato di svellere e modificare completamente i contenuti e le forme della tradizione italiana. L’ermetismo ha avuto certo più successo delle altre correnti letterarie, tanto da condizionare buona parte della poesia del’900. Solo ora a fatica si cerca di ‘liberarsene’. La silloge di poesie del poeta ripostese Rosario Contarino, dal titolo “Dai nembi mattutini è il ravvisar d’occaso”, così come gli altri due volumi di poesie che corrono tra lingua e dialetto: “Mestica di aneliti e paturnie” e “Ponderati epifo-nemi”, va contro la tradizione poetica corrente e riporta la poesia, alta espressione delle attività umane, al classicismo. Le tre sillogi infatti, così come le liriche dialettali, manifestano in tutta spontaneità l’interiorità dell’autore, anche se in una forma metrica curata e tradizionale. Non manca ovviamente il verso libero, ma molte sono le composizioni in rigorosi endecasillabi, senari o ottonari.
L’abbondanza delle figure retoriche, e soprattutto alcuni artifici letterari, evidenziano l’arte del poeta. La poesia “Tempu, valuri e oru” è un caso particolare. L’autore gioca sul suo nome e sul suo cognome in uno splendido acrostico che si avvicina alle composizioni della tarda antichità romana o dell’epoca bizantina. La classicità è comunque intrisa di modernità come si riscontra in parole e morfemi del tutto nuovi ed inusuali, basta semplicemente scorrere i titoli delle sillogi precedenti per rendersene conto: “Mestica di aneliti e paturnie”, “Ponderati epifonemi”, “Equorea plaga” e “Talassomania verseggiata”. Ma ciò è relativo. La poesia per il Contarino è innanzitutto «un hobby» e perciò porge senza scrupoli il suo ghigno ad ogni critica, deprimente o esaltante non importa. E in questo contrasta chi «scrive poesie ‘noumeniche’ / e chi le scrive con mera ‘sobrietà’, / chi le scrive ligie a una ‘tematica’ / e chi ridonda nella ‘libertà’; / chi si cimenta in ‘lingua nazionale’ e chi del tutto ne fa una miscela». Al poeta basta esprimere se stesso e proprio questo suo modo di concepire la poesia lo rende genuino e spontaneo, come quando esprime l’estasi dell’uomo davanti agli eventi naturali nella bellissima poesia dal titolo “Esistenza”: «Tiepida luce / del mattino, / fulgido splendore / del meriggio, / dorato colore / del tramonto, / fioco lume / della sera / misterioso buiore / della notte», dove gli elementi descrittivi vanno oltre il reale, che diventa espressione simbolica dell’esistenza umana. Bellissime sotto questo aspetto sono anche le poesie “Alba”, “Mattino estivo” e “Incombente autunno”. Ma è nella lettura interiore e nella ricerca di se stesso soprattutto che il Contarino giunge all’apice della poesia. Emblematica è la lirica “Introspe-zione”, nella quale egli intuisce che «nel canto degli uccelli / esisto e vivo, / coi lor volteggi, / il cuor / rendono giulivo». La riflessione sull’esistenza umana porta ad un desiderio mistico di una religiosità semplice e sincera. Dio è presente nelle azioni umane e, pur lasciando ad ognuno la libertà delle proprie azioni, si manifesta in tutta la sua potenza di Creatore. È a Lui che con fede sincera ci si rivolge nei momenti di bisogno ed è Lui che si ringrazia per l’aiuto offerto «nell’affrontare gli anni con amore».
La silloge “Dai nembi mattutini…” non comprende però solo poesie in lingua italiana. Ben sette, infatti, sono in dialetto. Nel passaggio dalla lingua al dialetto non c’è uno iato. La poesia non scade di tono e neppure la forma diven-ta banale. Quella classicità che viene mostrata nella poesia in lingua viene mantenuta in quella dialettale, anche se l’argomento è più legato a tradizioni che ormai tendono a scomparire. Bellissime in questo senso sono il “Panegiricu di ’n puvirazzu” e “Sceccu di travagghiu”. Nell’una viene espresso realisticamente il vizio del gioco, mentre nell’altra si fa un canto all’asino, animale ormai lontano dalla vita so-ciale del mondo contadino meridionale, ma il cui ricordo è carico di nostalgia. Ciò che rende accattivante le sillogi del Contarino è anche l’accostamento spesso di un’immagine figurativa ad ogni lirica. In un mondo ormai dominato dal-l’immagine nessuna trovata poteva essere migliore, anche perché il quadro è spesso perfettamente calzante con l’es-pressione poetica. Ad esempio nella poesia “Mattino esti-vo” la gioia degli uccelli dal trillo canoro, espressione del-l’animo umano, non poteva essere meglio espressa che dal-la figura di un padre che porta a spalla il proprio bambino.
Angelo Manitta