Enzo Di Gregorio in Evasioni dallimpossibile evidenzia uno stato d’animo corroso da dubbi esistenziali (Otma Edizioni, Milano 2001)

Una silloge, quella di Enzo Di Gregorio, che evidenzia una costante, assillante, aspirazione a qualcosa che sembra, ogni volta, sfuggire; l’autore ostenta angustia per il perduto, s’esalta per il ritrovato, si cruccia per il mistificato, si arrovella per l’impossibile. Forse la raccolta è una conferma di uno stato d’animo corroso da dubbi esi-stenziali, per questo è alla ricerca di una sua identità, in bilico fra la certezza del presente e l’incognita del futuro: il dilemma di tutti! Non mancano slanci idilliaci espressi nei momenti di fruizione delle bellezze della natura, ma quasi sempre subito soffocati dall’imprevedibile. Si ha la sensa-zione, leggendolo, che il dubbio lo ossessioni: «Dolce poeta da chi fuggi?» un interrogativo ricorrente sotto forme diverse, ma sempre presente, quasi asfissiante. Trapela da certi versi una soffusa vela pessimistica, contemperata dalla consapevolezza che non si può dare il contenuto all’esi-stenza con la disperazione ed allora ecco… «scriverò una poesia con frasi più brevi / e il significato più lungo…». La frase simboleggia una incontrovertibile qualità di Di Gregorio, quella di farsi ascoltare, farsi comprendere, scendere dal piedistallo aulico per offrirsi a chi gli si avvicina con umiltà.

Evasioni dall'impossibile, titolo quanto mai emblematico, è una carrellata che si prefigge un comune itinerario esistenziale, infatti gli spunti ispirativi sono occasionali, circostanziati, immaginifici, ma pur sempre adatti alla focalizzazione di uno stato d’animo. Stile martellante, conciso, quasi scalpello che vuol scolpire il senso delle cose con una stringatezza efficace. Se ne desume una costante sofferenza interiore, un senso di malcelata rivolta ad una realtà che non è sempre come la si vorrebbe, troppo insensibile ai bisogni altrui. Come dice Desiati nella prefazione, De Gregorio usa «un linguaggio parlato ora bisbigliando-sussurrando, ora gridando frustra-zioni smisurate di una mente avvilita, quasi opposizione all’impotenza consapevole verso una vita «IN VISSUTA». È tutta qui la personalità poetica dell’autore! Nel grigiore di amare constatazioni egli trova la forza di elevare lo sguardo e dal suo animo angosciato si eleva un grido: «Mio Dio, io da / povero uomo, aprirò verso il / sogno tutti i miei desideri. Mio Dio…», accorata invocazione di fede vissuta e non ostentata, di riconoscenza verso il «Sommo creatore» unico rifugio nel procelloso vivere moderno. Un personaggio «di amletico dubbio pervaso», ma anche di meticolosa razionalità fornito. Il filone filosofico che si intreccia è un’altra qualità che impreziosisce la raccolta di Di Gregorio facendone un utile vademecum esistenziale.

Pacifico Topa