Michele Fabbri: Trobar clus (Fermenti, Roma 1999) «Dura
/ parola»: se sfogliando il libro di Michele Fabbri arrivate alla pagina
26 e scorrete i versi del sonetto “Nostra Signora” fino alla seconda
terzina, troverete quel breve sintagma energicamente spezzato dall’inarcatura
e riferito proprio all’autore, alla sua poesia, molto ben qualificata
dall’aggettivo «dura», che si riferisce al contenuto severo o alla
forma difficile. Che sia poesia difficile, oscura, il titolo stesso del
libro, “Trobar clus”, lo lascia ben presagire; e ne è consapevole
l’autore, che nella poesia liminare sembra mettere in guardia il lettore
in procinto di avventurarsi in un’esperienza dalle molte insidie. Anche
se, fra le ventidue poesie, non mancano esempi di una maniera di poetare
dimentica di ardimenti ermetici, quasi sparsi richiami a un possibile trobar leu. Comuque sia, il lettore saggiamente perseverante
nono-stante l’‘avvertimento’ di Fabbri non sarà deluso.
Tutt’altro. Forse potrà giudicare le composizioni di questa opera prima
non tutte di uguale riuscita (anche Davide Rondoni nella premessa accenna,
tra belle lodi, a un «canto faticoso»), ma si accorgerà che
l’interesse, la partecipazione, e il piacere che ne deriva, non vengono
mai meno, grazie alla forza ingenita in un discorso poetico che si fa, per
ognuno, ricerca e coscienza, di sé e dell’Uomo, implicante una compiuta
visione del mondo, attraverso una costante, anche se a volte dissimulata,
tensione etica e metafisica, tra lucida consapevolezza d’una realtà da
rifiutare ma in cui si è immersi (donde l’ironia anch’essa «dura»
di cui parla Rondini) e intimo, ma non sempre possibile, distacco. L’oscurità
dunque non respinge il lettore, attratto anzi dalla singolarità
espressiva di un testo che accoglie umori concreti e si apre verso
imprevedibili spazi di significato. Molte naturalmente le immagini (e che
cos’è la poesia se non immagine, metafora?), rivelatrici di inusuali
connessioni tra forme lontane dell’esistere, talvolta creatrici di aure
surreali. Interessante, la breve silloge, anche sotto l’aspetto
linguistico. Fabbri è studioso di storia medievale, filologia mediolatina,
letteratura esoterica: ‘occupazioni’ di cui rimangono tracce evidenti
nelle pur modernissime poesie del libro, dove lingua e stile inseguono e
sperimen-tano originali e spericolate potenzialità. Da notare anche
l’uso, in alcune composizioni (fra cui due sonetti, uno cau-dato) della
rima, uso oggi purtroppo abbandonato dai più. Ma è bene dare un esempio vivo di questa poesia. Scelgo “L’organo della cattedrale di Chartres”, a mio parere uno degli esiti più alti della raccolta, dalla concentrata potenza descrittiva e dalla complessa profondità metaforica: «Ed è tutta / un fremito di pietra / la cattedrale / che danza al ruggito / della selva di canne. / Con possente, smagliante / pienezza il respiro / dell’organo intreccia / melodie paranoiche, / sconvolte nei meandri del labirinto». Ferdinando Banchini |