Scrittura agevole e scorrevole, e analisi densa d’umanità e di comprensione in Le “Novelle della Pescara” di Gabriele D’Annunzio, saggio di Antonia Izzi Rufo. (Eva, Giugno 2001)

Confrontarsi e commentare un’opera come le “Novelle della Pescara” di Gabriele D’Annunzio, opera così controversa e contraddittoria, non è un’impresa da poco. Soltanto la sensibilità e la fine capacità introspettiva di un’autrice come Antonia Izzi Rufo poteva offrirci le chiavi di lettura adatte a provare a rileggere, in termini attuali, e soprattutto a provare a farci apprezzare, dal punto di vista contenutistico e formale, queste novelle così poco accettabili, sotto il profilo umano e sociale, per la nostra sensibilità d’esseri appartenenti ad una società moderna e tecnologica che sembra aver bandito qualsiasi forma di superstizione, d’idolatria, di cieco fanatismo religioso (salvo poi vedere se quest’abbandono non è, invece, una ben peggiore omologazione con miti ben più negativi!).

In questo modo possiamo apprezzare la lettura di questo testo semplice e discreto, senza pretese di documentazione critica dotta, scritto significativamente con una scrittura agevole e scorrevole e con un’analisi densa d’umanità e di comprensione. Appare subito evidente una con-traddizione: l’autrice ci rivela tutte le fonti (anche con un lavoro di sintesi documentaria di ogni novella) per manifestarci il suo sguardo d’ammirazione, di simpatia e d’umanità verso il D’Annunzio. Dall’altro, invece, appaiono evidenti la scabrosità dei temi e delle situazioni narrate nelle novelle, la stridente truculenza, la sensualità arcana dell’animalità primigenia, della ferinità e della potenza barbarica, modi nei quali l’autore si riconosce e si integra. La contrad-dizione si rileva anche nel riconoscere il tradimento della volontà di riferimento al Verga e al Verismo, operata dal D’Annunzio, per la sua volontà di vedere il mondo popo-lare dall’esterno con distacco e superiorità, mentre la Izzi Rufo invera nell’opera tutti i caratteri positivi, da quelli descrittivi e narrativi al linguaggio e al suo uso e alla sua tecnica rappresentativa, perfino alla “poesia” che ella rinviene nell’opera stessa.

A questo riferimento molto significativa, per il livello di spiegazione della dicotomia interpretativa, è l’introduzione “anomala” di Enrico Marco Cipollini, che sapientemente, nella sua sagacia espositiva, rileva tutti i temi contrastanti e le ipotesi di lettura di quest’opera: “senso di fastidio per tale autore” (D’Annunzio) e “per il lavoro curato e acuto della Izzi Rufo” una “carica di simpatia ed ammirazione nonché di umanità difficilmente rintracciabili nei Saggisti”. A me sembra, infatti, per concludere, che il fine di questa breve ricerca della Izzi Rufo sia proprio questo: lo stimolo ad approfondire e a risvegliare l’interesse e la partecipazione ad un prodotto letterario così provocatoriamente discutibile quale le “Novelle della Pescara “ di Gabriele D’Annunzio e che tale fine sia stato raggiunto a pieno, proprio grazie alla semplicità e alla straordinaria capacità poetica ed intellet-tuale di lettura e di partecipazione da parte dell’autrice.

Franco Dino Lalli