La
poesia di Franco Ligi tra
satira, ironia e moralità in Un
treno senza orario (Edizioni Pagine, Roma 2001) Con
l’europeizzazione, in un mondo in cui si parla di globalizzazione e
antiglobalizzazione, dove una lingua universale può permettere agli
uomini di comunicare tra loro, potrebbe sembrare che i dialetti siano
destinati a scomparire. Invece no. Il dialetto nei prossimi anni assumerà
una funzione maggiore e determinante all’interno delle culture locali e
questo lo dimostrano non solo le numerose opere dialettali che ancora oggi
vengono pubblicate, ma pure la silloge di poesie del romano Franco Ligi,
dal titolo “Un treno senza orario”. In effetti i dialetti si stanno
modificando, questo è vero, ma la poesia e la storia che essi contengono
non muta ed è eterna. Il dialetto di oggi non è quello di ieri, né
quello di ieri è quello di due secoli fa. Il romanesco di Ligi non è più
quello di Gioacchino Belli, ma molto spesso le situazioni sono analoghe.
Nell’uno e nell’altro, infatti, è spesso un mondo popolare ad
emergere, un mondo quotidiano espresso con ironia e sobrietà, sia sotto
l’aspetto sociale che politico. Emblematica è la lirica iniziale, nella
quale si vuole spiegare la creazione con un esempio semplice: «Inzomma
‘sta torto-rella / co’ du’ ova / più mejo de ‘na predica / ce
spiega la creazione». Si tratta di riflessioni spesso che esprimono la
quotidianità dell’uomo comune, ma Franco Ligi esprime anche i suoi
sentimenti, esprime desideri di speranza, di pace, di serenità e di
moralità: una moralità antica, che comunque non è per nulla superata.
L’autore raggiunge una elevata liricità, sia attraverso l’esposizione
di concetti molto profondi, sia attraverso espressioni liriche tratte dal
mondo della natura. Il mare e il cielo, nell’ambito di questa
intro-spezione psicologica, hanno una parte determinante. Dalla liricità
il poeta sa passare anche attraverso varie tonalità ironiche alla
politica. Per lui la politica è onestà e perciò si schiera contro
Machiavelli che «ha scerto pe’ modello / quer fijo de ‘na mignotta /
del duca Valentino». Nella sua opera però appaiono varie tematiche,
soffuse sempre di ironia, come in “La psicanalisi”, dove l’uomo che
non trova nessuno che lo ascolti, si cerca uno psicanalista. Certo costa
molta, ma almeno ha qualcuno con cui parlare. Oppure nella “Lettera a
Garibaldi” dove scrive al ‘caro Peppino’ che sì, l’Italia è
fatta, ma i Savoia sono stati incapaci a governarla. Se la prende anche
con Prometeo che ha dato il fuoco agli uomini. Da quel fuoco ne sono
provenuti tanti danni e il poeta gli chiede: «Allora stamme bene a sentì
– Prometè – quer foco lo rubberesti ancora?», soprattutto ora che la
civiltà e il progresso si riflettono contro l’uomo. La storia umana è
vista sotto un’ottica particolare, quella della sua decadenza morale
come nella lirica “Na sete antica com’er monno”, pur tra l’ironia
e la satira. E l’ironia non viene meno anche quando si sfiora la liricità:
«Oggi er mare / carmo come ‘n lago / lustro come ‘no specchio / cià
‘n colore strano / griggio perla /… Du’ barche a vela sospireno /
p’er vento che nun c’è. / ‘N pescatore va cercanno le vongole / che
stasera ce veranno a trovà suli spaghetti». La poesia di Franco Ligi è
appassionante, bella, musicale, ma soprattutto divertente, anche se a
volte in fondo trapela un certo senso di amarezza per la vita che se ne
va. Angelo Manitta |