Dal dolore alla redenzione: analisi di un viaggio «senza confronti» nell’universo di Anna Manna
 
di Carmelita Randazzo Nicotra

Ho conosciuto Anna Manna in Campidoglio in occasione di un premio letterario che lei stessa aveva organizzato. Era il 1994. L’ho vista in seguito sempre a Roma, a convegni di poesia di un certo livello, dove ho ricevuto in dono i suoi libri. Tornando in Sicilia ho meditato a lungo gli scritti di Anna (poesie: «La Madonnella al porto», «Fragole e latte», «A largo della polveriera»; racconti: «I Cocci in bocca»; interviste: «Noi donne fallibili e degne di miracoli»). È stata una lettura lunga, coinvolgente e intermezzata da pause in cui, anche a distanza di settimane, mi balenavano in mente, improvvisi, i suoi versi. Non mi trovavo dinanzi ad un libro da recensire, né all’interno di una biblioteca, ma per strada o nel parcheggio del supermercato abituale, da cui si vede, meravigliosa in tutto il suo splendore, la Montagna, come i Catanesi chiamano l’Etna, capace di risvegliare emozioni primitive e incredibili. Così accanto alle voci impetuose dell’Etna, agli umori e alle bizzarrie di questi giorni d’estate (come vestirsi di neve), guizzavano in me, come onde di lava, i versi di Anna.

Lo stile contraddistingue il poeta già dalle prime battute, non occorre leggere un poema. Oggi di poeti ce ne sono tanti. Ma il poeta, quello vero, non ha bisogno di molte parole per fare poesia. Poeta è colui che con stile proprio sa coniugare l’amore e il dolore, sa cogliere il respiro delle cose, interpretare i sogni, vivere l’eternità nellattimo che il filo d’erba danza nel vento o il sole nel sorriso di un bambino. Il poeta firma la sua opera già dai primi versi, qualunque siano i bagagli e i vissuti culturali, il linguaggio, il genere e l’argomento e raccontandoci i sogni, le emozio-ni, i sentimenti, li rende palpiti vivi, veri, inalterabili al tempo e per questo immortali. Ho meditato, centellinato, sedimentato dentro di me la scrittura di Anna, ho colto il respiro del suo universo e l’esigenza del suo scrivere, quasi un bisogno essenziale di redenzione maturata attraverso le fasi della sconfitta, del compromesso, della finzione, dei personaggi che narra fino al raggiungimento di una catarsi assoluta. La poesia ha decantato il tempo dei miei silenzi, leggendo ho compreso che non un libro qualsiasi avevo tra le mani ma un universo da scoprire.

Ho letto e riletto «Fragole e latte» e tutte le volte Il Naufragio dell’Arca” mi conquistava, mi incatenava alla nave, mi scuotevano l’indugio della partenza e la certezza dell’apocalisse… Il naufragio dell’arca traduce il travaglio dell’uomo quando l’essere e il non essere drammaticamente si scontrano. Da questo disagio, da questa sorta di tormentato dualismo, prende vita uno scenario in cui l’uomo non riesce a risolvere il problema più importante della sua vita. L’arca costituisce un mezzo di salvezza, ma è anche il grido sofferto del poeta che lancia il suo SOS al mondo: «Salvate la cattedrale di Assisi, Santa Chiara… / non lasciateli a riva!… / Prendete i sogni dei bambini… / Si - sento urlare - prendete tutti / i giovani sull’arca! Li vediamo arrivare / sono una processione lenta / gli occhi coperti da occhialini tondi. / Vanno insieme / verso il niente. / La tempesta è vicina / la nave traballa / il carico è leggero / scricchiola ogni gancio. / È il naufragio, / - sento gridare - / è il naufragio». È forte in questi versi lo scoramento… Il naufragio incombe in modo totale e l’uomo indugia a salpare… Larca è la speranza dell’umanità, la strada della redenzione è una strada difficile perché il naufragio incombe, ma è anche una via di riscatto per disdegnare con nuovi itinerari, la mappa di una possibile felicità. Nell’annuncio del naufragio si coglie la dimensione di una tragedia cosmica, non solo umana, dei giovani, della storia, della cultura, dell’intelligenza, che è soprattutto storia di decadenza, ma paradossalmente anche storia della rinascita. Non sappiamo se e quando l’Arca riuscirà a salpare, lungo è il cammino e tante le tempeste, e tra queste le più temibili sono quelle che oscurano la ragione e il discernimento. Così accade che le margherite continuino ad arrossarsi del sacrificio delle vergini e che Abele, dopo migliaia di anni, cada ancora colpito dalla mano di un fratello assassino. È allora che la voce di Anna Manna diventa il grido di tutte le donne contro la quotidianità dei misfatti, contro la scelleratezza, contro il dissolvimento della ragione, un grido di dolore che, tuttavia, si trasforma piano piano, fino a diventare supplica amara, quasi preghiera: «Spingi la barca, Signore mio, ora siamo rimasti soli / qui nell’oceano senza orizzonti / tu ed io».

«I Cocci in bocca» è invece una raccolta di racconti dove la prosa, elegante, incisiva, fluida, acquista vigore e autonomia fino a dilatarsi all’infinito e confon-dersi. Non c’è più suddivisione tra figura e sfondo, è un tutto unico in cui il dramma dei sentimenti emerge in tutta la potenza con un ritmo suggestivo e poetico che rapisce il lettore, gli toglie il respiro, lo coinvolge. Il dramma è iter del dolore ma riesce a diventare, talvolta, anche storia di redenzione e di riconciliazione con la vita, storia di rinascita quindi, in cui i protagonisti ritrovano una dimensione umana più giusta e più vera. Così accade ad Amalia che, dopo aver percorso tutte le fasi di un doloroso calvario, riuscirà a riconciliarsi con la vita grazie agli affetti familiari. I racconti, curati con un linguaggio forte ed incisivo, sono lo spaccato di un mondo che mette a nudo le proprie debolezze, le proprie mediocrità, i propri limiti, le proprie paure. Essi hanno il sapore del vento che scuote l’isola (la Sicilia), gonfia le erbe e ne risveglia i profumi, le valli, i precipizi fioriti di ginestre. L’autrice, con un’analisi psicologica raffinatissima, mette in luce i paesaggi dell’anima, ne scandaglia il fondo per dipanare, nellintricata matassa dei sentimenti, la verità del cuore. Il paesaggio dell’isola e il paesaggio dell’anima talvolta si identificano, perché l’isola, come un essere vivente, partecipa alla gioia e al dolore dei suoi abitanti. L’isola con i suoi profumi, i suoi colori, i suoi paesaggi aspri e incontaminati, diventa luogo della rinascita per chi, spogliandosi delle sovrastrutture mentali, attraverso la redenzione riesce a trovare la propria catarsi. L’opera narrativa solo apparentemente dà la sensazione di un forte scontento, l’amarezza per una vita fittizia senza valori, senza significati e senza gioie. Ma è solo un istante. Il dramma tra il falso e il vero per lo scontento di quanto è stato sacrificato sull’ara del compromesso, dà voce alle creature di Anna. Creature fragili, vulnerabili, assetate d’amore, ma creature che sapranno trovare alla fine la loro ‘isola’ di redenzione.