Quinto Orazio Flacco
Ciance di uno zotico seccatore
(Satire I, 9)
Ciance di uno zotico seccatore
Trad. di
Maria Pina Natale
Ibam forte via sacra, sicut meus est mos,
nescio quid meditans nugarum, totus in illis:
accurrit quidam notus mihi nomine tantum,
arreptaque manu: «Quid agis, dulcissime rerum?».
«Suaviter, ut nunc est» inquam «et cupio omnia quae vis».
Cum adsectaretur, «numquid vis?» occupo. At ille
«noris nos» inquit, «docti sumus». Hic ego «Pluris
hoc» inquam «mihi eris». Misere discedere quaerens,
ire modo ocius, interdum consistere, in aurem
dicere nescio quid puero, cum sudor ad imos
manaret talos. «O te, Bolane, cerebri
felicem» aiebam tacitus, cum quidlibet ille
garriret, vicos, urbem laudaret. Ut illi
nil respondebam, «Misere cupis» inquit «abire;
iamdudum video. Sed nil agis; usque tenebo,
persequar. Hinc quo nunc iter est tibi?». «Nil opus est te
circumagi: quendam volo visere non tibi notum;
trans Tiberim longe cubat is prope Caesaris hortos».
«Nil habeo quod agam et non sum piger: usque sequar te».
Demitto auricula ut iniquae mentis asellus,
cum gravius dorso subiit onus. Incipit ille:
«Si bene me novi, non Viscum pluris amicum,
non Varium facies: nam quis me scribere plures
aut citius possit versus? Quis membra movere
mollius? Invideat quod et Hermogenes, ego canto».
Interpellandi locus hic erat: «Est tibi mater,
cognati, quis te salvo est opus?». «Haud mihi quisquam:
omnes composui». Felices! Nunc ego resto.
Confice: namque insta fatum mihi triste, Sabella
quod puero cecinit divina mota anus urna:
«Hunc neque dira venena nec hosticus auferet ensis
nec laterum dolor aut tussis nec tarda podagra;
garrulus hunc quando consumet cumque: loquaces,
si sapiat, vitet, simul atque adoleverit aetas».
Ventum erat ad Vestae, quarta iam parte diei
praeterita; et casu tum respondere vadato
debebat: quod ni fecisset, perdere litem.
«Si me amas» inquit «paulum hic ades». «Inteream, si
aut valeo stare aut novi civilia iura:
et propero qui scis». «Dubius sum, quid faciam» inquit
«tene relinquam an rem». «Me, sodes». «Non faciam» ille
et pracedere coepit; ego, ut contendere durum
cum victore, sequor. «Maecenas quomodo tecum?»
hinc repetit. «Paucorum hominum et mentis bene sanae».
«Nemo dexterius fortuna est usus. Haberes
magnum adiutorem, posset qui ferre secundas,
hunc hominem velles si tradere: dispeream, ni
summosses omnes». «Non isto vivimus illic,
quo tu rere, modo: domus hac nec purior ulla est
nec magis his aliena malis; nil mi officit» inquam
«ditior hic aut est quia doctior: est locus uni
cuique suus». «Magnum narras, vix credibile». «Atqui
sic habet». «Accendis, quare cupiam magis illi
proximus esse». «Velis tantummodo: quae tua virtus,
expugnabis; et est qui vinci possit, eoque
difficiles aditus primos habet». «Haud mihi dero:
muneribus servos corrumpam; non hodie, si
exclusus fuero, desistam; tempora quaeram,
occurram in triviis, deducam. Nil sine magno
vita labore dedit mortalibus». Haec dum agit, ecce
Fuscus Aristius occurrit, mihi carus et illum
qui pulchre posset. Consistimus. «Unde venis?» et
«quo tendis?» rogat et respondet. Vellere coepi
et prensare manu lentissima bracchia, nutans,
distorquens oculos, ut me eriperet. Males salsus
ridens dissimulare; meum iecur urere bilis.
«Certe nescio quid secreto velle loqui te
aiebas mecum». «Memini bene, sed meliore
tempore dicam: hodie, tricesima sabbata: vin tu
curtis Iudaeis oppedere?». «Nulla mihi» inquam
«religio est». «At mi: sum paulo infirmior, unus
multorum. Ignosces; alias loquar». Huncine solem
tam nigrum surrexe mihi! Fugit improbus ac me
sub cultro linquit. Casu venit obvius illi
adversarius et «Quo tu, turpissime?» magna
inclamat voce, et «Licet antestari?». Ego vero
oppono auriculam. Rapit in ius ; clamor utrimque,
undique concursus. Sic me servavit Apollo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per la via Sacra me ne andavo a zonzo
su non so quali inezie meditando
assorto tutto in esse, allorché un tale
che conoscevo soltanto di nome
mi venne incontro e, strettami la mano,
«Come stai, carissimo?» mi dice.
«Sto bene e così spero anche per te».
Poiché mi si accompagna, lo prevengo
e gli chiedo: «Desideri qualcosa?».
Ed egli: «Forse tu non mi conosci;
anch’io son tuo collega e letterato».
«Ma che piacere! Mi sarai più caro».
E disperatamente cerco invano
di staccarmi da quella sanguisuga,
ora andando più forte ora più piano
ora fermandomi e facendo finta
di bisbigliar qualcosa ad un mio servo.
Sento sudori freddi già invadermi
fino alle estremità. E intanto dico
fra me e me: «Beato te, Bolano
dall’indole furbetta e intollerante!»
Intanto il disgraziato a ruota libera
non fa che ciance su città e su borghi.
Poiché da me non gli giunge risposta
«Ho capito - mi fa - tu brameresti
svignartela. Ma sei incappato male.
Io non ti mollerò, stanne pur certo.
Rassegnati: starò in tua compagnia».
«Dov’è che sei diretto?». «Non occorre
che ti disturbi: la persona da chi
mi sto recando tu non la conosci,
è un mio amico ammalato e sta lontano,
a Trastevere, suppergiù nei pressi della villa di Cesare».
«Non ho nulla da fare e trovo igienico
muovermi un po’, perciò verrò con te».
Abbasso il capo come l’asinello
rassegnato e paziente sotto il peso
che gli si impone a forza sul groppone.
«Non faccio per vantarmi» ricomincia
«ma avrai da lodarti della mia amicizia
più di quella che hai con Vario e Visco.
Nessuno al mondo infatti più di me
è bravo a fare versi e in più gran numero.
Nessuno sa danzar con maggiore grazia.
Se canto, faccio invidia anche ad
[Ermogene».
A questo punto mi sembrò opportuno
chiedergli della madre, dei parenti,
di chi ci fosse al mondo che di lui
potesse aver bisogno. «Sta’ tranquillo.
Non ho nessuno al mondo. Tutti morti».
O fortunati loro! O me infelice!
Dico fra me: sono rimasto solo.
Finiscimi, dannato! E così sia.
Io già sapevo che su me pendeva
un destino crudele, rivelatomi
da una donna sabina un dì lontano
quand’ero ancor fanciullo e quella aveva
agitato per me la sfera magica.
«Non veleno, non spada di nemico,
itterizia, podagra o mal sottile
ma solo un rompiscatole sarà,
quando il fato vorrà, causa di morte.
Fatti furbo pertanto e, appena adulto,
dai ciarlatani tieniti alla larga».
Presso il tempio di Vesta nel frattempo
eravam giunti e già era trascorsa
lintera mattinata. E dir che il folle
per quella stessa data era citato
in giudizio in un processo e per esso
aveva dato pur malleveria.
Certo se non si fosse presentato
bell’e perduto avrebbe la sua lite.
«Ti prego – disse – fa’ la cortesia
di venire con me solo un istante».
«Giuro sulla mia vita, non mi reggo.
E poi sono ignorante di diritto
più di una talpa. Inoltre ho fatto tardi
e debbo andare dove già ti ho detto».
«Ad essere sincero, sono in dubbio
se è meglio lasciar te o il processo».
«Ma lascia me, mio caro, è più che
[giusto».
«E invece no» fa lui. E mi precede.
Rassegnato, sconfitto, non mi resta
se non seguirlo. E lui, riattaccando,
«Con Mecenate in che rapporti sei?»
«Beh, Mecenate ha pochissimi amici.
È un uomo riservato, eccezionale».
«D’accordo! Ma è anche un fortunato.
Lo saresti anche tu, se sol volessi
fare di me l’aiutante maggiore
e mi volessi presentare a lui.
Giuro che li faresti tutti fuori».
«Hai idee errate sul nostro 'ménage'.
I rapporti tra noi non sono quelli
che tu ipotizzi. Non c’è al mondo alcuno
onesto più di lui. Nessun casato
più specchiato è del suo. E quanto a me
nulla mi importa se altri sono più ricchi
ovver più dotti. Che ciascun
[abbia il suo».
«Dici davvero? Non ci posso credere».
«È davvero così». «Ma ancor di più
la mia brama solletichi a conoscerlo».
«E perché no? Se vuoi e con l’abilità
[che ti ritrovi
ce la farai senz’altro a entrar nelle
[sue grazie.
Certo gli approcci non saranno facili».
«Sarò all’altezza della situazione.
Cercherò dingraziarmi il personale
con denari e con doni. E se all’inizio
escluso rimarrò dalla sua porta
non mi darò per vinto. Insisterò.
sfrutterò casi di incontro agli incroci.
Mi metterò al suo fianco
[accompagnandolo.
Nulla al mondo si ha senza fatica».
Nel bel mezzo di tutte queste ciance
ci viene incontro tale Fusco Aristio
amico a me carissimo ma anche
dellindole persecutoria edotto
di quel bel tomo che mi sta straziando.
Ci fermiamo e a vicenda ci chiediamo:
«Dove vai? Donde vieni? Cosa fai?».
E intanto a cenni e con ammiccamenti
scuotendo quelle sue braccia insensibili
cerco fargli capire che mi salvi da quella
sanguisuga. Con astuzia satanica ridendo
finge di non capire. E trabocca il mio
[fegato di bile.
«Mi sembra che dicevi di volermi
confidare qualcosa in gran segreto»
dico. E quello: «È vero, ma non oggi.
Oggi è sabato e inoltre novilunio.
Non vorrai a tal punto disprezzare
                              [i circoncisi Ebrei?».
«Non ho nessuno scrupolo in proposito».
«Ma io si. Che vuoi farci? Sono un debole,
uno fra i tanti. Scusami, ti prego.
Appena posso, ne riparleremo».
Ma che giornata nera e sfortunata
doveva capitarmi stamattina!
Se la svignò in un lampo il mascalzone
lasciandomi in balia del mio carnefice.
Per gran fortuna ecco venirci incontro
quel suo avversario nel processo, il quale
a gran voce gli grida da lontano:
«Figlio di Troia, dove stai andando?».
E poi rivolto a me: «Vorresti farmi
da testimone in questa nostra lite?».
Accetto di buon grado e mi ritrovo
coinvolto nel bel mezzo del processo.
Urla, baccano, accorrere di pubblico
da una parte e dall’altra. Ma così
[finalmente
con l’aiuto di Apollo fui salvato.

Quinto Orazio Flacco, uno dei poeti più interessanti dell’età augustea, è nato a Venosa, città posta tra la Lucania e l’Apulia, nel 65 a.C. ed è morto a Roma nell’8 a.C. Benché non potesse vantare nobili origini, trascorse un’infanzia felice tra le cure del nonno, un liberto, e quelle del padre, un esattore di vendite all’asta, che seguì con molta cura i suoi studi, prima a Roma e poi ad Atene. Orazio, influenzato dai suoi maestri, aderì all’ideologia repubblicana e, a seguito dei subbugli av-venuti alla morte di Cesare, si arruolò nell’esercito di Bruto e Cassio. Ma dopo la bruciante sconfitta di Filippi nel 42, si ritirò a Roma, allontanandosi dalla vita politica. Qui fece amici-zia con Virgilio e Varo che nel 38 lo presentarono a Mecenate, grande organizzatore e protettori della poesia e dell’arte. Orazio scrisse Odi, Epodi, Satire ed Epistole. Le Odi, che si richiamano ai poeti greci Saffo e Alceo, trattano i temi della precarietà dell’esistenza umana, del rapporto vita-morte, dell’amore e dell’arte che rende eterni. Esse sono sotto l’aspetto artistico certamente molto elevate, sia per la l’espressività lirica che per il contenuto immediato e profondamente umano. Gli Epodi, che trattano spesso temi politici, hanno il merito di aver introdotto a Roma la forza e la vitalità della poesia del greco Archiloco. Le Satire e il primo libro delle Epistole invece sono più legate alla vita quotidiana. Attraverso un lin-guaggio maturo si va alla ricerca del dialogo e della comunicazione, quasi il poeta volesse scoprire se stesso e il mondo circostante. Le tre epistole del secondo libro invece sono più discorsive e spesso offrono l’occasione a riflessioni artistiche. Interessante da questo punto di vista è la cosiddetta Arte poetica, dove vengono presi in esame i principi essenziali della poetica del mondo classico. Orazio è vicino alla sensibilità moderna sia per la elevata liricità che per la grazia e pas-sionalità che infonde. Egli attraverso le sue composizioni trasmette tutto se stesso, anima e corpo, passioni, sentimenti, risentimenti, vizi e virtù, ma pure il suo sentire quotidiano secondo i dettami epicurei, di cui lui era seguace, come dimostra la satira che si può leggere tra queste pagine tradotta dalla poetessa e scrittrice Maria Pina Natale (Angelo Manitta).

I complimenti della Redazione a
Maria Pina Natale

La nostra collaboratrice Maria Pina Natale, con il suo volume di narrativa “Gotha Uno” (Bastogi, ed. FO), ha raccolto una vera messe di Premi. Si citano i più prestigiosi: “Omaggio alla cultura” (Villa San Giovanni - RC), “Borgo Artisti” (Milano), “Città di Pompei” (Pompei), “Sebastiani” (Minturno), “Letteratura dell’impegno” - Este (PD), “Foemina d’oro” (Marina di Carrara - Massa), “Ronchi apuana – Il litorale”, “Cesare Pavese-Gori” (Torino), “Orso di Biella” (Biella), “Histonium” (Vasto - CH), “Tito Casini 2001” (Firenze), “Iniziative letterarie” (Milano). Si porta a conoscenza dei lettori che è già in libreria il romanzo “Gotha Due” della stessa Maria Pina Natale.