Dall’attualità del presente all’ancestralità della vita in La semplice vita: esercizi di poesia leg-gera di Antonio Noto (Polistampa, Firenze 1999) 

Antonio Noto, già insignito del Premio speciale della giuria nell’edizione 2001 del Concorso internazionale “Il Convivio”, ci aveva favorevolmente impressionati per il suo tocco signorile, per il suo fare modesto e ironico al tem-po stesso. Nativo di Vittoria, in provincia di Ragusa, laureato in Giurisprudenza presso l’Ateneo catanese nel 1952, è uno dei tanti “figli del profondo Sud” trapiantati per lavoro in Continente, che non hanno mai rinnegato, né troncato, i legami con la propria terra d’origine. Dopo avere ricoperto varie e rilevanti cariche politiche, non esclusa quella di Sindaco, nella città natia, ed avere esercitato la professione di notaio in vari comuni, è approdato infine a Montecatini Terme, dove vive attualmente, e da pensionato ha potuto serenamente dare libero corso alla propria vena poetica.

Il volume La semplice vita, che, a detta dell’Autore «vuole proporre un possibile raccordo con una linea minoritaria della poesia italiana del Novecento…», si suddivide in due sezioni: “La foce”, contenente poesie in lingua, e “A test’e l’acqua” che comprende componimenti in dialetto siciliano, anzi vittoriese: un per-corso a ritroso nel tempo, dunque, dall’attualità del presente all’ancestralità delle radici. Quel che sorprende, accostandosi alle rime di Antonio Noto, è la distanza che egli interpone tra sé stesso e i suoi versi, atteggiamento questo a metà tra l’autoironia di chi non voglia prendersi troppo sul serio, e una sorta di pruderie nel non voler troppo scoprire i propri sentimenti. Franco Manescalchi, curatore della presentazione, rileva come le poesie che compongono il volume «vivono di vita propria ed autosufficiente, presentandosi ognuna come testo da antologia; eppure sono collegate fra loro come anelli di catena in un disegno poematico in cui è tessuto un vero e proprio percorso affettivo di presenza e di memoria che dalla foce torna alla sorgente»: ovvero, dalla poesia degli affetti maturi, del sentire adulto, alle radici, ai ricordi d’infanzia, alle notazioni del luogo d’origine che si perdono e sfumano nella leggenda.

Due sole citazioni, in un percorso poetico che, viceversa, sarebbe da leggere e gustare per intero. Quanto c’è di pudore e ironia in questa Premonizione: «Chissà che stella era / - e chissà se era una stella – / che s’intravedeva / fra il canniccio della balera. / Con mille altre stelle ci attese / in una sera come tante. / Simile ad altre mani, la mia mano prese / la tua mano similmente tesa. / Un ballo uguale ad altri / senza parlare, / ma a guardare / fra il canniccio della balera / quel punto lucente che una stella / come mille altre pareva / e non era». E ancora, per la sezione dialettale, pur se l’Autore ci avverte di non essere un dialettologo, ma bensì un “dialettante”: «…Cciù ccunfusu ristàu ca pirsuasu / u niputieddhu; ma ra discussioni / na cosa l’à ccaputu: n-funnu n-funnu / a virità nunn-è ccosa ri stu munnu» (da: U munnu a virità). Antonio Noto, cauto ulisside, ci offre spesso figure di alto valore simbolico, come in Boscopiano, «dove – come in una favola – si narra della nascita, della formazione da un bosco del paese d’origine, Vittoria, e di come nel tempo, altri lupi abbiano preso ad aggirarsi fra gli uomini». Sono tutti componimenti notevoli. Si prenda ad esempio La bisnonna, dall’andamento narrativo ispano-americano che ci offre uno dei dati caratteriali ereditati dal poeta, o Chi si guardò si salvò dove propone la bella figura del drago marino la cui coda genera delle vorticose bufere.

                             Maristella Dilettoso