Il volto, il fuoco, la neve… d’un sogno d’amore in Destino di Leonello Rabatti (Grafiche Il Ponte-Cascia Regello, Firenze 1995) 

“Destino” di Lionello Rabatti è, come afferma l’autore stesso, la rappresentazione del tentativo di coniugare la scrittura letteraria e la vita, in quanto la scrittura è strettamente legata all’esistenza e la trascende, ricomponendola, in una nuova sensibilità che permette di “sentire” il proprio destino. In particolare un sentimento, l’amore, permette all’autore di apparire, in tal modo, nella sua più compiuta personalità ed espressione (che si connota nello specifico di una silloge poetica con riflessioni in prosa). L’amore, abbagliante intensità, che anche se «non è riuscita a prevalere sul negativo, sul regressivo mare del caos», consente il predominio degli alterni atteggiamenti e della loro conflittualità oppositiva (che si ritrova in tutta la raccolta). Tutti gli effettivi ardori che l’amore permette sono necessari per considerare in modo nuovo la nostra vita e solo in essi è possibile “sentire” l’azione del proprio personale destino, che si rinnova e si solidificava nel tempo.

Con le sue parole l’autore scava «una piccola sorgente, che forma un chiaro trasparente ruscello» e ci sorprende con esse, quando, immerse nelle acque del silenzio, ci donano «una melodia discreta di parole, come liquida fluenza si trasformi in cristalli di mente, anch’essi trasparenti, un po’ azzurri, spesso venati d’impurità». Questo, dunque, non è il frasario consueto delle parole d’amore, ma un linguaggio che cerca di descrivere un’armonia irraggiungibile, tentata tuttavia attraverso una concretezza, una forma che s’intravede nei bagliori del sentimento, di un desiderio, un abbandono permettono di essere dentro di essa, di salvarci da ogni deterioramento del tempo perché così soltanto si è “dentro” la vita: «Ecco: / adesso posso ur-lare, / superare la barriera del linguaggio. / Anche l’urlo si acquista. / Ora è soltanto silenzio./ Silenzio pieno, totale».

In quest’ottica non è facile raggiungere un equilibrio tra la sfera razionale dell’individuo e la sua irrazionalità ed emotività, cioè tra la comunicazione e il linguaggio e le emissioni involontarie dell’inconscio. Pertanto «l’ineffabile si solidifica e si ordina precariamente nell’altera verbalità e l’organismo, il sangue, l’irripetibilità di un’esistenza immersa nel tempo, plasmano questa verbalità». Queste le parole, tra le tante, per affermare questa dicotomica disperazione concreta: «Io sono la tua carne, il tuo cibo, / e laceri il mio corpo, / bevi il mio sangue / nella feroce quotidiana / eucarestia del ricordo». E i ricordi si fanno immagini del pensiero, immagini di un volto impigliato in un fiocco di neve, seguito fino al suo depositarsi a terra, mentre la memoria resta sgomenta e impotente nel seguire i riflessi intermittenti che annullano i contorni. Frugando nel vento appaiono i bagliori di un fuoco, il fuoco dell’amore e le case che bruciano, e da esse ancora l’immagine di un rosso corallo, del volto e gli alberi spogli, le case in fiamme, il cielo bianco e nevoso, un mondo attonito, assurdo. Il poeta sente il canto, “le perle delle parole” che cristallizzano nel tempo e desidera che “il guardiano nebbioso” possa scegliere i pensieri, gli oggetti, i suoni, i colori, le parole da introdurre dentro di sé per fare in modo che la sua vita abbia, in tal modo, un ordine trasparente, possa prendere «forma un disegno leggero, bianco e compiuto».

Franco Dino Lalli