I sapori e la magia dell’infanzia in Armonie (Poesie bambine) di Giuseppe Risica (Montedit, Milano 2000). 

Sfogliare un libro come questo “Armonie (Poesie bambine)” di Giuseppe Risica è come aprire lo scrigno incantato di un mago dal quale si sprigiona un vapore lieve e soffuso che pervade il nostro essere e lo fa lievitare con la sola e semplice forza dello stupore infantile. Sincerità, dunque, nel senso di spontanea naturalezza in queste poesie “Bambine”. È d’altronde già dall’asserzione dell’Autore stesso, nella nota introduttiva al testo, che ciò si evince in modo inequivocabile: «Ho sempre amato scrivere», dice Risica, e alla proposta di alcuni amici maestri di elaborare delle poesie per gli alunni delle elementari, dopo l’iniziale titubanza, ecco affiorare in lui il caro ricordo di quelle poesie “incerte e semplicissime” scritte da bambino: «Com-presi allora che l’albero, sia pure il più grande e rigoglioso, non può scordare il piccolo seme indifeso che era prima. Accettai convinto...». Ma dissetiamoci insieme con qualche stilla di queste trasparenti gocce di rugiada. In “Maestrina”, il forse obsoleto ma immancabile amore per un’altra mamma «è davvero molto buona / carismatica e bellina, / la campana adesso suona: / a domani, ciao maestrina!», ricorda il nostro primo impatto con la scuola (sembra di rivederli i nostri visi spaesati e sbigottiti) e “La nuvoletta” «che in silenzio, dispettosa, / nel grigiore il giorno getta». Ma “alla terra” dà “la vita”; la contentezza di Dio, la stessa dei bambini, per il gesto pietoso di un cavaliere ne “L’estate di San Martino”; le mura dei “nonni” dentro le quali ascoltare le fiabe «per non smettere di sognare»; il nome del mio cane, «ci ho pensato e ve lo dico: / io lo chiamerò amico!». Che dire ancora, la cosa più bella l’ha detta l’Autore «oltre che per loro... le ho scritte per il fanciullo dimenticato che c’è dentro ogni uomo».

                        Sandro Angelucci