Poesia impegnata e interiorizzata, quella di Paolo Salamone e Diana Franca Ferraro in Maschere (Greco e Greco Editori, Milano 1999)

Prendendo tra le mani il volume di poesie di Paolo Salamone e Diana Franca Ferraro, balza subito agli occhi il titolo, “Maschere”, che evidenzia non solo il contenuto della silloge, ma presenta quasi un legame con Pirandello. Infatti l’autore di Girgenti ha intitolato “Maschere nude” l’insieme delle sue opere teatrali, proprio perché l’uomo è come se portasse una maschera sul volto per nascondere la realtà che sta all’interno. In questo rapporto tra apparenza e realtà corre pure la silloge ‘Maschere’ dei due autori catanesi di Palagonia, che presentano «noi uomini come attori stanchi sopra il palcoscenico della vita. A forza di recitare, e di patire ‘le mille sofferenze che ci lacerano la carne’ (Shakespeare) mutiamo la nostra espressione in quella di maschere dalla cera indurita» scrive nella prefazione al libro il giornalista Mario Furlan.

Paolo Salamone, corrispondente della “Sicilia” di Catania, ha collaborato con diverse riviste, curando rubriche specifiche. Numerosi sono i riconoscimenti che ha ottenuto nell’ambito letterario. Dina Franca Ferraro invece è insegnante di francese ed ha al suo attivo diversi primi premi di poesia. La poesia di Salamone se da una parte evidenzia una liricità profonda, nel solco quasi della liricità classica greca, come nella lirica “Ragazza sullo scoglio” (e il pensiero corre subito a Teocrito), quasi una Galatea che aspetta il suo Aci: «Solitaria / su uno scoglio / guardi l’orizzonte / in attesa di qualcosa / di qualcuno / d’un segno / che faccia sperare…», dall’altra parte notiamo una particolare attenzione alla tematica sociale ed umana non solo peculiare della Sicilia (come nella liriche “Ragazza di Sicilia”, “Terra macchiata”, “Alla deriva…”), ma soprat-tutto tematiche a carattere universale legate ad eventi di primo piano, come ad esempio “Atlanta”, sulla strage del 27 luglio 1996, oppure Pedofilia, Bambini, Ragazzo down, Tangentopoli, AIDS, Barbone. La poesia di Salamone non è quindi vaga e astratta, fatta solo di parole e di espressioni poetiche, ma riesce ad incidere profondamente nell’animo del lettore. Emblematici sono i versi: «Sguardi smarriti, / teste trafitte / da schegge impazzite / chiazze di sangue, / gridi inumani / piedi su corpi riversi».

La poesia di Diana Franca Ferraro corre sulla stessa scia. Se parte da una solitudine interiore, che spinge l’uomo alla riflessione come ad esempio nella lirica “Solitudine”, «Ferma sulla spiaggia / naufraga / il tuo sguardo / tra onde autunnali… / le mani in tasca / ti fanno più sola», giunge anch’essa alla presentazione di una tematica sociale molto toccante. Interessante in questo senso è la lirica “Extracomunitario”, ma nella Ferraro si nota un maggiore abbandono al lirismo e soprattutto ai profondi sentimenti materni. L’autrice si vede prima d’ogni cosa una madre e poi si abbandona alle riflessioni interiori: «Ho sentito in quei momenti / passi inchiodati sulle ossa / pianti disperati di bimbi / strappati alle madri». In effetti questa poesia non vuole essere ermetica, come dichiarano gli autori della prefazione alla silloge, ma vuole dire «cose importanti con un linguaggio piano e, nello stesso tempo, non banale». In queste liriche manca quindi «l’artificio fine a se stesso, vuote parole che non vogliono dire nulla, gusci vuoti di noci o mitili senza polpa», ed è proprio qui il nocciolo della loro poesia.

                        Angelo Manitta