La salvezza degli infedeli nel pensiero di Dante Alighieri
di Santino Spartà

Peccato e salvezza (cap. III) 

Iddio in “sua eternità”(1) liberamente(2) ha fatto scaturire dal nulla(3) per un mistero d’amore(4) tutto l’universo(5). «È ‘l ciel cui tanti lumi fanno bello»(6) esulta nel mistico sorriso della sua luce, e la terra nella sinfonia dei suoi colori è primizia dell’«eterno piacer»(7). A integrazione di questo sacramento cosmico, il divino artista

               fece l’uomo buono e a bene, e questo loco
               diede per arra a lui l’eterna pace(8).

L’uomo era felice nella serenità dell’«eccelso giardini»(9), modulando l’esistenza sull’armonioso ritmo delle sue perfezioni e in un mistero di grazia. Tutte le cose e l’intelligenza umana «splendor di quella idea / che partorisce amando il nostro Sire»(10) ringraziavano il loro Creatore con ‘prefazio’ di lode. Ma per il suo peccato, Adamo «in pianto ed in affanno / cangiò onesto riso e dolce gioco»(1). Con tale “difficoltà”, che ha le ultime radici più che nel «gustar del legno»(12), nella insofferenza «di star sotto alcun velo»(13) nell’ambizione di «ir suso»(14) il primo uomo «dannando sé dannò tutta sua prole» (15), in quanto secondo Dante (16) in piena conformità con S. Tommaso (17) è stato costituito capo ontologico di tutta l’umanità. Se invece

               femmina sola… divota fosse stata
avrei quelle ineffabili delizie
sentite prima e poi lunga fiata(18)

pensava il poeta nella raccolta mestizia dell’intimità, resa più nostalgicamente vibrante dalla melodia che «correa per l’aere luminoso»(19) su un estetico contrasto.

Dante enuclea la dottrina del peccato. Come S. Tommaso(20), anche Dante fa consistere formalmente la colpa di origine nell’allontanamento della creatura umana «da via di verità e di sua vita»(21); motivo dottrinale che viene ora visto nella sua carenza etico-teologica in un continuo accostamento al pensiero tomista, trasformato dall’afflato poetico in patrimonio personale,

vostra natura quando peccò tota
               nel seme suo, da queste dignitadi,
               come di Paradiso fu remota(22),

ora nelle sue conseguenze negativamente spirituali:

               solo il peccato è quel che la disfranga,
               e falla dissimile al Sommo Bene,
               perché del lume poco s’imbianca(23).

Né è trascurato l’aspetto materiale(24) che si restringe nella concupiscenza. La natura umana, forse, la sente con più mordente immediatezza nella sua attualità quotidiana. Se ne era accorto Virgilio, nel canto XI del Purgatorio, il quale chiede alle anime del primo girone la salita meno erta,

               che questi che vien meco per l’incarco
               della carne d’Adamo onde si veste
               al montar su, contra sua voglia è parco(25).

L’uomo ‘infermo’(26) si avviò ‘giù per secoli morti’(27) solo con il peccato avuto per generazione(28) con il tormento di essere la sua intima biografia senza quella bellezza ideale del «quattro stelle /   non viste mai fuor ch’a la prima gente»(29). Mentre l’infelice pellegrino va in cerca di espiazione, il poeta con S. Tommaso considera le sue ferite dolorose(30). La ragione, facoltà razionale dell’ani-ma(31), dono sublime(32)

               la virtù che consiglia
               e de’ l’assenzo de’ tener la soglia(33)

pur continuando a tendere nell’incoercibile concretezza del suo anelito al ‘Primo Vero’(34), suo bene(35) «giacque… in grande orrore»(36).

Il processo dello spirito, che «al sommo pinge noi di collo in collo»(37) nell’appassionante lotta con gli errori e i dubbi, acquista nella III cantica una più calda vicenda di slancio dalla fresca plasticità delle immagini rappresentative. La volontà con il libero arbitrio, anche se dopo il peccato è ancora

               lo maggior don che Dio per sua larghezza
               fesse creando ed a la sua bontade
               più conformato a quel ch’e più apprezza(38),

e resta intrinsecamente integro(39), tuttavia «corre al ben con ordine corrotto»(40). La sua sofferenza con l’implorazione della natura e la necessità del sepolcro appassiscono la carne in un travaglio di angoscia. Questo tormento psicologico e fisico ‘tanto amaro’ per lo ‘ardito gusto’(41) è rimasto lungo il dinamismo temporale come attualità di pena. Non mancano però frammenti di speranza per ridare colore al martirio. E nel canto del Purgatorio, il poeta nell’isolamento da ogni realtà e da ogni dolore, gradualmente assorbendo la potenza di un’intensità visiva, rivive in un alone ideale di armonia, la gioia e la storia del Grifone che non discinde

               col becco d’esto legno dolce al gusto
               poscia che mal si torce il ventre quindi(42).

La temperanza, una delle dodici virtù morali(43) uscì dalla «divina foresta spessa e viva»(44) dove l’arcano senso del divino si accordava con la pacata vastità del silenzio, ferita nel suo specifico ordine(45). Difatti l’anima semplicetta…

               di picciol bene in pria sente sapore;
               quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,
               se guida o fren non torce suo amore(46);

Constatazione empirica questa che, colorita da immagini costantemente pudiche, è presentata da Marco Lombardo. L’uomo con le sue «quattuor vulnera inflita ex peccato primi parentis»(47) trova la sua triste rispondenza allegorica nel «settentrional vedovo sito, / poi che privato se’ di mirar quella»(48). L’uomo, poiché «non potea… ne’ termini suoi / mai soddisfar»(49), sarebbe stato un misto di assoluto e inquietudine e sarebbe naufragato nella più cupa disperazione «…se ‘l Figliuol di Dio / non fosse umiliato ad incarnarsi»(50).

Quando i tempi furono maturi di attesa, Gabriele «…portò la palma / giuso a Maria…»(51) e nel purissimo seno(52) di questa «umile ed alta più che creatura»(53) il Verbo divino prese «il mortal pondo»(54) mentre l’Arcangelo

cantando: “Ave Maria, gratia plena”
               dinanzi a Lei le sue ali distese(55)

in una mistica commozione di riverenza. Così l’opera soteriologica di Cristo, iniziata dall’incarnazione e conclusa col sacrificio cruento sul Calvario, compì «…la vendetta del peccato antico»(56) e soddisfece l’offesa della divinità.

               Se invece il Peccato fosse rimasto in una ipotesi irrealizzabile «mestier non era parturir Maria»(57), anche per Dante valendosi dell’autorità dell’Angelico: «Unde cum in sacra scriptura ubique incarnationis ratio ex peccato pri-mi hominis assignatum, convenientius dicitur, incarnationis opus ordinatum esse a Deo in remedium contra peccatum ita quod peccato non existente incarnatio non fuisse»(56).

               Un’antitesi dottrinale mossa dalla fantasia poetica rivela ancora una volta lo scopo principale della Redenzione. Nell’immaginazione dantesca rivivono due montagne, ambedue colme di drammaticità per un loro specifico significato storico. Sulla montagna del Purgatorio si staglia, dentro uno sfondo pittoricamente lirico, «una pianta dispogliata / di foglia e d’altra fronda in ciascun ramo»(59) e il primo uomo «con vita disonesta»(60) ed Eva «quella ch’al serpente crese»(61) e la stirpe umana «sbiadita di paradiso»(62), invece sulla montagna del Calvario, nella cornice livida di un fosco tramonto, tragica è «la pena… che la croce porse»(63) a colui «che nacque e visse senza pecca»(64), ma «con la morte ch’el sostenne»(65) di nuovo  «aprì le strade tra cielo e terra / onde fu già sì lunga disianza»(66),  anzi

               e poscia e prima tanto soddisfece
               che d’ogni colpa vince la bilancia(67).

Così l’umanità rinverdì senza quelle pieghe che anche «…Maria richiuse ed unse»(68). Per salvarsi però era necessaria la fede nel Cristo venturo e venuto. Dante rifacendosi a S. Paolo(69) e ai teologi medievali(70), specialmente a S. Tommaso(71), afferma che per la salvezza dei bambini «bastava sì ne’ secoli recenti / con l’innocenza… / solamente la fede dei parenti»(72). Una volta passato quel primo periodo storico,

               convenne ai maschi a l’innocenti penne
               per circuncidere acquistar virtute (73)

agli adulti un qualche sacrificio di protesta. Ma quando il «tempo della grazia venne»(74) la circoncisione(75) fu sostituita dal battesimo come mezzo necessario per la salvezza(76).

               Chi crederebbe giù nel mondo errante,
               che Rifeo Troiano in questo tondo
               fosse la quinta delle luci sante? (81)

mentre il lume di colui che «la vedovella consolò del figlio»(82), era il primo “del ciglio”.

Intorno a Traiano era fiorita tutta una letteratura storicamente leggendaria. La liberazione dell’imperatore per le preghiere di Papa Gregorio, tramandata da Paolo Diacono(83) e diffusa da S. Giovanni Damasceno(84), è in netto contrasto con la teoria ascetica del santo Pontefi-ce(85). È pur nonostante il poeta «pel sesto lume»(86) colloca il «roman principato»(87) per l’autorità di S. Tommaso(88) e raccogliendo quella tradizione «come atto di fede popolare nell’infinita misericordia di Dio»(89), a Rifeo applica ciò che di tanti gentili era creduto a suo tempo e ammesso dai teologi(90).

A lui

               Dio … aperse
               l’occhio alla nostra Redenzion futura:
               ond’ei credette in quella, e non sofferse
               da indi il puzzo più del paganesimo(91).

Qui finalmente l’ansia del poeta che ha avuto drammatiche angosce per gli spiriti del Limbo e immediati interrogativi per conoscere l’imperscrutabilità divina, coadiuvata da un fervore affettivo, si placa nella possibilità di salvazione già attuata poeticamente.

Rifeo è l’espressione più matura dell’accorato anelito di tante anime virtuose che non ebbero il cielo perché non credettero in Cristo, «del pria, del poi ch’ei si chiavasse al legno»(92).

In Rifeo, al quale «quelle tre donne fur per battesmo»(93) perché vivo nella melanconica pensosità dell’Eneide(94), si ritrova con tutti i significati precristiani la partecipazione umana di Virgilio ai destini dell’uomo.

(1)Par. XXIX, 16. (2) Par. XXIX, 17. (3) Par. XXIX, 22.24; cfr. Mon. 1-114; Inf. VII, 74. Per le precisazioni: Antonio Piolanti, Dio nel mondo e nell’uomo, Roma-New York, 1959, pag. 9-11. (4) Par. VII, 74; Purg. XI, 3; Conv. III, XII, «Cum totum universum nihil aliud sit quam vestigium quodam divinae bonitatis» Mon. I, VII. (5) Epist. V, 10; Par. I, 1. (6) Par. II, 130. (7) Purg. XXIX, 32. (8) Purg. XXVIII, 92-93; Vulg. Eloq. I,4. (9) Par. XXVI, 110. (10) Par. XIII, 53.54. (11) Purg. XXVIII, 95-96. (12) Par. XXVI, 115. (13) Purg. XXIX, 27. (14) Par. XII, 10; cfr. S. Th. «Primum peccatum primi parentis, ex quo in omnes peccatum emanavit, non fuit in oboedientia secundum quod est speciale peccatum sed superbia, ex qua homo ad inoboedientiam processit» II-II, q. 105, a. 2, ad 3. E altrove dice: «Non tamen ipse bonitas est pulchritudo cibi fuit primum motivum ad peccatum sed potium suasio serpentis, qui dixit: aperientur oculi vestri et eritis sicut Dei: quod appetendo superbia mulier incurrit. Et ideo peccatum gulae derivatum est ex peccato superbiae» II-II, q.163. a. 1 ad 2. (15) Par. VII, 27; «Lapsus primorum parentum diverticulum fuit totius nostrae dannationis». (16) Par. XXVI, 93; Conv. IV, XV, 3; Purg. IX, 10; Inf. IV, 55. (17) «Omnes homines qui nascuntur ex Adam possunt considerari ut unus homo, in quantum conveniunt in natura, quam a primo parente accipiunt» S. Th. I-II, q. 81, a. 1; cfr. De malo, q. IV, a. 1, S. Th. I, q. 92, a. 2. (18) Purg. XXIX, 25-30. (19) Purg. XXIX, 22.23. (20) S. Th. I-II, q. 82, a. 3.  (21) Par. VII, 39; cfr. S. Th. «In peccato primi parentis fuit aliquid formale, scilicet avversio ab incommutabili Bono», De Malo, q. 4, a. 2. E ancora: «De istitutio ipsius voluntatis ab illa rectitudine ad finem qual habuit in istitutionem naturae, in peccato originali formale est; et hoc est privatio originalis iustitiae» II Sent. D. 30, q. 1, a. 3. (22) Par. VII, 85-87. (23) Par. VII, 79-81. (24) «Oh semper nostra natura prona peccatis! Ab initio et nunquam desines nequitratrix» Vulg. Eloq. I-7, cfr. S. Tommaso, De malo, q. 4, a. s; nel Convito IV, v, 3 troviamo sintetizzati i due aspetti della colpa originale. «Volendo la smisurabile bontà divina, l’umana creatura a sé riconfermare che per lo peccato della prevaricazione del primo uomo da Dio era partita e disformata, eletto fu in quell’altissimo e congiuntissimo concistoro divino della Trinità che il figlio di Dio in terra discendesse a fare questa concordia». (25) v. 43-45. (26) Par. VII, 28-29; idem, III, 14-15. (27) Par. VII, 39. (28) Contra gentes, IV, 50; II Sent. D. 31, q. I, a. ad 5; S. Th. I-II q. 83, a. 1; De malo, q. IV, a. I ad 6; Conv. IV, XIV, 3. «Peccatum… originali omnium hominum fuit quidem in ipso Adam, sicut in prima causa principali…, in sermoni autem corporali est peccatum originale, sicut in causa istrumentali; eo quod per virtutem activam seminis traducitur peccatum originale in prolem simul cum natura humana» S. Th., q. 83, a. I. (29) Purg. XXIII, 24. In questo verso tutti i commentatori riconoscono il simbolo delle quattro virtù cardinali. Cfr. Divina Commedia commento di C. Crabher, Purgatorio, Milano-Messina 1961, Cap. I, v. 22-27. Dante stesso in altra parte del poema (Purg. VIII, 8) ci fa vedere sotto l’allegoria di ‘stelle’ le virtù teologali; le une e le altre troveremo al carro di Beatrice, Purg. XXIX, 121-132. (30) De malo, q. IV, a. I, a. 4; S. Th. I-II q.82, a.3; idem q. 73, a. 3 ad 2. (31) Inf. V,39; Conv. III, 2; Par. I, 120, Mon. I-II, 3; cfr. S. Th. I-II, q. 83, a. 3. (32) Conv. II, 9. (33) Purg. XVIII, 62-63; cfr. Conv. III, II, 14; Mon. I, IV, 4. (34) Par. IV, 96. (35) Conv. II, XII, 19; Inf. III, 18; cfr. S.Th. I-II, q. 55, a. 4; idem, q. 57, a. 2; idem I-II, q. 1, a. 3. (36) Par. VII, 28-29. (37) Par. IV, 132. (38) Par. V, 19-20. «Haec libertas, sive principium hoc tutius nostrae libertatis, est maximum donum humanae naturae ad Deo collatum; quia per ipsum hic felicitamur, ut homines; per ipsum alibi felicitamur ut dii» Mon. I, XIV, 7; cfr. Purg. XVIII, 74. (39) Purg. XVI, 70-75. San Tommaso scrive: «Homo peccando liberum arbitrium dicitur perdidisse non quantum ad libertatem naturalem, quae est a coatione; sed quantum ad libertatem quae est a peccato et miseria», S. Th. I, q.83, a. 2. (40) Purg. XVII, 126; Conv. IV, IX, 4; Mon. III, 4. (41) XXXII, 122-123. Si legga a proposito S. Tommaso III sent. D. 19, q. 1, a. 2. (42) VV. 44-45. (43) Cfr. S. Th. II-II, q. 141, a. I. È poi raffigurata in una delle quattro stelle, virtù cardinali, che Dante vide sulla fronte di Catone (Purg. I, 23) e alla sinistra del carro di Beatrice, cfr. Purg. XXVIII, 2. (44) Purg. XXVIII, 2. (45) Si legge in S. Tommaso: «Vulnus concupiscibile naturale habet hoc ut indelectabile secundum sensum tendat; sed secundum quod est vis concupiscibilis humana, habet ulterius ut tendat in suum obiectum regimen rationis; et ideo quod in suum obiectum tendat irrefrenate, hoc non est naturale sibi in quantum est humana, secundum quod tota est sub regimine rationis», II Sent. C. 30, q.  1, a. 1 ad 4. A conferma «alia poena debetur peccato originali, in quantum naturam inficit, sicut necessitas moriendi, possibilitas, rebellio carni sed spiritum et eiusmodi: quae omnia ex principiis naturae causantur», II Sent. D. 32, q.1, a. 2.  (46) Purg. XVI, 91-93; cfr. S. Th. I, q. 63, a. 1 ad 4. (47) S. Th, I-II, q. 85, a. 3. (48) Purg. I, 26-27. (49) Par. VII, 97-98; cfr. S. Tommaso «hominis puri satisfactio sufficiens esse non potuit pro peccato… quia peccatum contra Deum commissum quondam infinitatem habet ex infinitatem divinae maestatis. Unde oportuit ad condignam satisfactionem, ut actus satisfacientis haberet efficaciam infinitam, utpote Dei et hominis existens» S. Th. III, q. 1, a. 2 ad 2. Inoltre idem I-II, q. 109, a. 7 ad 2; idem II-II, q. 164, a. 2. (50) Par. VII, 119-120; idem II, 9. (51) Par. XXXII, 112-113. (52) Conv. IV, V, 5; Purg. X, 42; Epist. XI, 3; Mon. III, 3; Conv. II, V,4; Par. XXXIII, 136. (53) Purg. XXXIII, 2. (54) Par. XXVII, 64. (55) Par. XXII, 95-96. (56) Par. VI, 93, cfr. S. Tommaso: «Christus principalius venit ad tollerandum peccatum originale» S. Th. III, q. 1, a. 4. (57) Purg. III, 39. (58) S. Th. III, q. 1, a. 3. (59) Purg. XXXII, 38, 39. (60) Par. XXVI, 140. (61) Purg. XXXII, 32. (62) Par. VII, 37-38. (63) Par.VII, 40. (64) Inf. XXXIV, 115. (65) Par. XXVI, 59; Purg. XXIII, 74.75. (66) Par. XXIII, 38-39; Purg. X, 36; Mon. XI, XII. Scrive S. Tommaso: «Per passionem Christi liberati sumus, non solum a peccato communi totius humanae naturae et quantum ad culpam, et quantum ad reatum poenae, ipso solvente pretium pro nobis; sed etiam a peccatis propriis singulorum, qui communicant eius passioni per fidem, et charitatem, et fidei sacramenta: et ideo per passionem Christi aferta est nobis panna regni coelestis» S. Th. Q. 49, q. 5. (67) Par. XIII, 41.42; Mon. III; Par. XII, 40. A conferma leggiamo in S. Tommaso: «Christus autem ex charitate et oboedientia patiendo, maius aliquid Deo exibuit, quam exigerent ricompensatio totius offensae humani generis: quid propter magnitudinem charitatis, ex gaia patiebatur… propter dignitaem vitae suae, quam pro satisfactione ponebat, quae erat vita Dei et Hominis… propter generali totius passionis, et magnitudinem doloris anumpti… et ideo passio Christi non solum sufficiens, sed etiam superabundans satisfactio fuit pro peccatis humani generis» S. Th. III, q. 48, a. 2. (68) Par. XXXII, 4. (69) Ad Romanos, c. IV, sg. (70) P. Lombardo: «Queritur autem de viris qui fuerunt ante circumcisionem quod remedium contra peccatum abuerint. Quidam dicunt sacrificia et oblactiones eis valuisse ad remissionem peccati. Sed melius est dicere, illos qui de Abram prodierunt, per  circumcisionem iustificatos… eos vero qui fuerunt ante circuncisionem parvulos in fide parentum, parentes vero per virtutem sacrificiorum… scilicet quam intelligebant spiritualiter in illis sacrificis iustificatos». Sent. IV, 1, S. Gregorio: «Quod apud nos valet aqua baptismi, hoc egit apud veteres vel pro pargulis sola fides, vel pro maioribus virtus sacrifici, vel pro iis qui ex Abrahae stirpae prodierunt misterium circoncisionis» Moral. IV, 2. 71.  (71) Infine S. Tommaso: «A principio humani generis remedium contra originale peccatum adhiberi non potuit nisi per virtutem mediatoris Dei et hominis Iesu Christi. Fides ergo antiquorum cum aliqua protestatione fidei valebat parvulis ad salutem» De malo, q. IV, a. 8 ad 12. (72) Par. XXXII, 76-78. (73) Par. XXXII, 80-81. Il primo verso dantesco (convenne ai maschi) traduce alla lettera l’Angelico: «Et ideo convenienter solis maribus competebant» S. Th, III, q. 70, a. 2 ad 4 e condensa nel verso seguente l’efficacia di questo rito. «In circuncisione conferebatur gratia, non ex virtute circuncisionis, sed ex virtute fidei passionis Christi, cuius signum erat circuncisio, ita scilicet quod homo quia accipiebat circuncisionem profitebatur se suscipere talem fidem, vel adultus pro se vel alius pro parvulis» S. Th. III, q. 70, a. 4; cfr. S. Th. III, q. 68, a. 1. (74) Par. XXXII, 82. (75) Pietro Lombardo: Sent. IV, d. 1; cfr. S. Th. III, q. 70, a. 2 ad 3. (80) Par. XXXII, 22-27, cfr. S Tommaso: «Fides habet alium statum in veteri et in nova lege: nam quod illi credebant futurum nos credimus pactum» S. Th. I-II, q. 107, a. 1; idem II-II, q. 2, a. 7 ad 3. (81) Par. XX, 67-69. (82) Par. XX, 45. (83) Vita di S. Gregorio, I, 4, c. 44. (84) Serm. de defunctis. Almeno si crede che sia suo. (85) Moral. I, XXXIV, c. XVI; Dialoghi IV. (86) Par. XX, 17. (87) Pur. X, 74. (88) «De facto Traiani hoc modo potest probabiliter aestimari, quod praecibus beati Gregori advitam fuerit revocatus, et ita gratiam consecutus sit» S. Th. III; Suppl. q. 71, a. 5. (89) N. Tommaseo, Discorso al canto X del Purgatorio. (90) S. Agostino, De civitate Dei, I, XVIII, c. 47; S. Dionigi: « Multi gentiles per angelos reducti sunt ad Deum» De Hier. I, IX; S. Tommaso: «De omnibus talis similiter dicit oportet, quod non erant in inferno finaliter deputati sed secundum praesentem propriorum meritorum iustitiam, secundum autem superiores causas, quibus praevidebantur ad vitam revocandi, erat aliter da eii disponendum». S. Th. III; Suppl. 71; a. 5; cfr. II-II.q.2,a.7. (91) Par. XX, 122-125. (92) Par. XIX, 105. (93) Par. XX, 127. (94) «Cadit et Ripheus, iustissimus unus qui fuit in Teucris et servantissimus aequi» Aen. II, 426.