La
dinastia di Ramesse I durò circa 200 anni, dal 1295 fino al 1069 A.C.
Suo figlio Seti I diede vita ad un’era di prosperità e, dopo di lui,
venne Ramesse II. Questi salì al trono tra i venti e venticinque anni,
dopo essere stato principe reggente dall’età di 10 anni. Con lui
l’Egitto riuscì a recuperare il controllo della Palestina e della
Siria e, dopo il matrimonio con Nefertari, diede inizio ad una vasta
costruzione di tutto l’Egitto. Ma chi era Nefertari? La sua origine è
tuttora incerta, qualcuno sostiene che sia originaria della regione di
Tebe e che non sia di sangue reale, altri, invece, fanno risalire la sua
parentela e la sua bellezza a Nefertiti, in quanto entrambe considerate
figlie di Ay, penultimo faraone della XVIII dinastia e quindi, secondo
questa ipotesi, erano sorelle. Pare
che le nozze con Ramesse II fossero state celebrate da sei a otto anni
prima dell’ascesa dell’imperatore. Nefertari è sempre apparsa
accanto a Ramesse II ed era molto amata da tutti, lo si comprende dagli
appellativi che riceveva: “Sposa del Dio”, “Signora delle due
terre”, “Madre di Dio” e “Sovrana
dell’harem”. Il suo nome significa “la migliore”, “la
più bella di tutte”, ma fu anche chiamata “quella che possiede
grazia, dolcezza e amore e che occupa un posto speciale nel tempio di
Amon”. Nefertari diede a Ramesse II, oltre al primo figlio, anche il
terzo, l’undicesimo, il sedicesimo e la quarta e quinta figlia.
Ramesse ebbe oltre duecento figli e figlie e visse più di 90 anni. Nefertari morì giovane, circa sui quarant’anni. Aveva un ruolo molto importante nel regno, sicuramente per la sua intelligenza, per la sua determinazione e volontà e non ultima per la sua bellezza.
Nefertari
gioca a Senet,
riproduzione di B. Tamburrini. (acrilico su tavola 84x83x63) Horo (con testa di falco e
doppia corona) conduce Nefertari
alla presenza di Ras-Haractes e Hathor-Imentit,
raffigurati sui loro troni. (Acrilico
su tavola 40x90)
Aveva anche un ruolo diplomatico non indifferente e lo si deduce dalla lettera di auguri alla regina Ittita Pudukhepa. Ramesse II le dedicò un tempio ad Abu Simbel e si leggono queste parole in una iscrizione: “Alla regina prima sposa reale Nefertari Mert-en Mut, per la quale brilla il sole”. Il significato di Mert-en-mut (aggiunto probabilmente dalla stessa Nefertari) vuol dire: “Colei che è amata dalla dea Mut” (Mut era la consorte del dio di Tebe Amon). La
bellezza di Nefertari era sorprendente e lei svolgeva il ruolo di essere
la controparte del Faraone nella creazione e nel sostegno del mondo
cosmico. Ad Abu Simbel la regina viene vista per l’ultima volta ed era
in occasione
del viaggio di Ramesse II per celebrare la fine dei lavori di
costruzione dei templi. Da allora di
Nefertari si
perde ogni notizia e,
fino agli inizi del secolo scorso, neppure
la sua mummia viene ritrovata.
A scoprire il sepolcro di Nefertari, che si trova
nella valle delle regine, è Ernesto Schiapparelli nel 1904. La sua
tomba è piccola in confronto a certe tombe della valle dei re che sono
di dimensioni imponenti. «Vi
si accede attraverso una scala che porta verso la prima anticamera. La
tomba arriva ad una profondità di circa 12 metri all’interno della
roccia calcarea ed è divisa in sette spazi architettonici di diverse
misure e destinati a funzioni diverse, divisi in due parti unite da una
scala»
(Fondazione Memmo, Nefertari luce
d’Egitto, pag. 27). Un
tempo la tomba era interamente
coperta da dipinti,
ora in buona parte (circa
il 20%) spariti.
Il tutto è espressione della vita oltre la morte: i sarcofagi, il libro
dei morti, le statue. Gli Egiziani rappresentavano perfettamente
l’ambiente del defunto, proprio per permettergli di continuare la
stessa vita nell’aldilà. Nelle tombe vengono rappresentati anche gli
oggetti di vita quotidiana, i capi di abbigliamento. Nel libro dei morti
erano raccolte le formule magiche che avevano lo scopo di far fronte a
qualsiasi pericolo si fosse presentato nell’altra vita. I bellissimi
dipinti nella tomba di Nefertari hanno lo scopo di facilitare il viaggio
della regina verso la resurrezione e la vita eterna.
Ciò che colpisce nella
sua tomba è il fatto che la regina appare sempre
da sola nel suo viaggio verso l’aldilà, viene accompagnata dalle
divinità, ma non c’è il faraone Ramesse II,
che compare solo nel titolo principale della
regina “La grande sposa del re”. Manca anche il suo cartiglio,
mentre in altri templi la regina è
sempre a fianco del faraone. L’età della morte di Nefertari probabilmente è intorno al 1255 a.c. Nella tomba non ci sono riferimenti ai suoi sette figli e non ci sono immagini che richiamino alla memoria la vita terrena della regina. Il tutto è proteso verso l’aldilà, verso la vita ultraterrena. Vengono riprese le iscrizioni geroglifiche del libro dei morti e si ripetono le formule che assicurano la salvezza. «I testi e le immagini si basano sui miti relativi alla morte e alla resurrezione di Osiri, il dio della fertilità, del sole e dell’oltretomba» (op.cit pag 73). Nella tomba vengono raccontati gli incontri di Nefertari con gli dei, presentando una visione religiosa del mondo. La camera funeraria della regina, scoperta da Schiapparelli, era stata saccheggiata dai ladri e rimanevano solo pochi resti: «Il coperchio, ridotto a tre quarti circa, del sarcofago esterno in granito rosa del quale si rinvennero abbandonati sul pavimento della sala medesima tre grandi e molti piccoli frammenti, alcuni frammenti di legno rivestito di foglia d’oro, pertinenti probabilmente al sarcofago interno e pochi elementi, non tutti integri, del corredo, in tutto 34 “ushabti”: statuine funerarie di colore nero perché ricoperte da una sostanza resinosa scura, una specie di bitume e considerata dagli Egizi una sostanza divina, capace di proteggere l’oggetto e garantirgli la possibilità di vivere nell'Aldilà (op. cit. pag. 194), due coperchi di cofanetti e altri elementi di mobilio, una statuetta lignea di ibis modellata assai finemente, che purtroppo manca del capo e delle zampe, alcuni vasi, in gran parte frammentari, porzioni di tessuti e di corde, e un paio di sandali di fibre vegetali realmente usati dalla sovrana. Al suo corpo appartengono forse i resti mummificati di due gambe rinvenuti ancora in situ. Chiuso in una nicchia nella parete di fondo della sala del sarcofago si rinvenne un amuleto “djed”(1) di finissima fattura»(2). (1) Il pilastro “djed” è simbolo
osiriano di stabilità e di durata ed è stato trovato in una piccola
nicchia occultata nella parete di fondo della sala del sarcofago. Si
evocava il seguente rito: venivano racchiusi quattro amuleti in un
“mattone magico” di terra cruda e secondo un preciso orientamento:
all’interno della camera funeraria c’erano: un piccolo “ushabti”
rivolto a nord, una torcia a sud, un Anubi sotto forma di sciacallo a
est e il “djed” a ovest. Ciascun amuleto aveva un preciso compito
che era quello di proteggere la tomba da eventuali pericoli. |