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Tutti gli articoli del quotidiano di lunedi 04.12.00
In mezzo alla strada nella notte fredda e nebbiosa, con gli occhi rossi dal pianto e allucinati dai lampeggiatori dei pompieri e dai flash dei fotografi c'erano le vere «vittime» dello sconosciuto che sta mettendo a soqquadro la città. I pazienti del reparto di gastroenterologia. Da tre giorni vivono nella paura. Sabato notte all'improvviso si sono trovati avvolti in un fumo denso, con la puzza acre e pungente di bruciato nel naso e nei polmoni e con il terrore di venire inghiottiti dalle fiamme. Chi poteva è fuggito a piedi attraverso il corridoio. I più anziani, immobilizzati nei letti, con le flebo attaccata al braccio, sono stati portati fuori in barella dagli infermieri e dai soccorritori e sistemati nelle ambulanze per non prendere troppo freddo. Qualcuno, in vestaglia e pantofole, si affacciava sulla strada per vedere da lontano, separati dai nastri bianchi e rossi, i parenti preoccupati che chiedevano «Stanno bene? C'è pericolo? Dove li state portando?» senza ricevere risposte. Sotto choc Monica Mandolini di Senigallia che si è trovata davanti alle fiamme per ben tre volte in due giorni. «Non ne posso più — diceva tra le lacrime — voglio andare via da questo inferno. Non dormiamo più, non ci sentiamo al sicuro, abbiamo rischiato per tre volte di morire. Fuori c'è mio marito, ma non posso parlargli... Sarà preoccupatissimo. Voglio tornare a casa con lui. Non voglio più stare qui». «Sono arrivata in ospedale alle 21.45 circa — raccontava una signora —. Dovevo portare la televisione a mia suocera. Ho trovato la porta del reparto di gastroenterologia aperta. Mi sono subito allarmata. Come mai, mi sono chiesta, con tutto quello che sta succedendo la porta del reparto è aperta visto che l'orario delle visite è terminato da un pezzo? In quel momento mi ha visto l'infermiera e anche lei si è allarmata e si è messa a discutere con il collega ad alta voce. Non mi sentivo per niente tranquilla e ho cominciato a guardare nelle stanze dei malati, finchè non ho visto il fumo uscire dal guardaroba e ho dato l'allarme». Il nuovo incendio è stata l'occasione per alimentare le solite «leggende metropolitane». Tra le tante gira quella dello sconosciuto con la stampella. L'uomo sarebbe stato visto girare nel reparto alle 15.30 circa del pomeriggio di sabato. Voci di corridoio riferiscono di averlo visto più tardi allontanarsi dall'ospedale e salire su un autobus con la stampella sotto il braccio. Da una parte dunque i pazienti e i loro timori, dall'altra la fatica e le notti altrettanto insonni dei soccorritori. In tutta questa vicenda un ringraziamento va sicuramente ai vigili del fuoco e ai volontari della Croce gialla che si stanno prodigando negli interventi convulsi che si susseguono in continuazione tra allarmi falsi e reali.
Claudia Pasquini e Simona Montecchiani

«Non possiamo militarizzare gli ospedali»: lo ha detto il prefetto di Ancona, Emilio D' Acunto, dopo il quinto attentato alle strutture sanitarie della città, precisando che la sorveglianza predisposta è «adeguata» e per il momento non c' è bisogno di incrementare ulteriormente la vigilanza. Per D' Acunto, insomma, non ci sono stati «buchi» nella rete di sicurezza, nonostante il piromane abbia potuto agire indisturbato per la quinta volta. «D' altra parte — ha detto — non disponiamo di 2.000 auto, nè possiamo usare i carri armati. All' interno degli ospedali è stata attivata e rafforzata la polizia privata di vigilanza, e sono state installate le videocamere. Inoltre, è un fatto significativo che l' ultimo episodio sia avvenuto in una struttura presidiata». Un elemento che, a suo parere, restringerebbe il campo dei sospetti: probabilmente a un dipendente dell' ospedale o a una persona che si è lasciata chiudere nel reparto, tanto più che proprio ieri le serrature erano state cambiate. «Un altro elemento su cui riflettere — ha aggiunto il prefetto — è l' accanimento contro gastroenetrologia: forse è proprio questo reparto l' obiettivo del piromane». Non ha bisogno di chissà quali congegni l' unabomber degli ospedali per appiccare gli incendi: la sua arma è un semplice accendino. Ne sono convinti i vigili del fuoco, sulla base delle prime perizie sui resti trovati nei locali presi di mira dal piromane. Un semplice accendino e, come forse nell' ultimo tentativo di rogo, alcol o altro liquido infiammabile e carta, tutto materiale facilmente reperibile in ospedale. Solo le analisi chimiche permetterebbero di individuare il liquido usato, ma per il momento i vigili non sono stati incaricati di produrre una perizia tecnica. Ricostruire il modus operandi dell' incediario, aiuterebbe a capire anche se ad agire sia stata una sola persona o più d' una. «Forse a Torrette — azzarda il comandante dei vigili del fuoco, Adriano Pallone — il piromane si è fatto aiutare da qualcuno». Pure in quel caso, comunque, non sarebbe stato difficile per qualcuno spostare da solo il carrello con i camici e trascinare nei sotterranei un sacco di immondizia.

C'è l'ombra della Mafia degli appalti dietro gli incendi negli ospedali? L'altro ieri il Resto del Carlino aveva fatto questa ipotesi ricordando il dossier presentato all'Antimafia dal segretario regionale Ds Massimo Pacetti dopo gli incendi del '94. Ora la pista della criminalità organizzata viene presa in considerazione da Ugo Ascoli, sociologo e consigliere regionale dei Democratici: «L' ipotesi dello psicopatico incendiario data in pasto all' opinione pubblica è un tentativo di chiudere la porta a interrogativi più preoccupanti. Se per ipotesi — osserva — domani mattina arrestassero il pazzo dietro l' angolo potremmo dire, «ecco, il pazzo c' era, il caso è chiuso». Ma accendere roghi così devastanti in tre strutture sanitarie di due diverse città, Ancona e Chiaravalle, «non è un' operazione semplice, e difficilmente fa pensare a una vendetta individuale per presunti torti subiti». Forse, riflette il sociologo, «ci troviamo davanti alla volontà di intimidire aziende cruciali dal punto di vista economico, che muovono risorse ingentissime. Non l' opera di un folle dunque, ma un piano più articolato di soggetti organizzati, entrati in contrasto con chi gestisce appalti, approvvigionamenti e commesse della sanità». Ad Ancona, una città di 100.000 abitanti (300.000 con il comprensorio), l' Azienda asl è l' impresa più grande. Solo l' appalto per l' ampliamento del nosocomio regionale di Torrette (il primo preso di mira dall' Unabomber) è stato aggiudicato a un' associazione temporanea di imprese per 125 miliardi di lire, non senza strascichi polemici, che anchel'altra notte hanno fatto dire al sindaco ds Renato Galeazzi «forse vogliono colpire me per aver dichiarato guerra alla logica delle mazzette». Scenari assai poco rassicuranti vengono ricomposti da Ascoli in un puzzle che già da mesi «ha aperto una fase nuova per Ancona e le Marche, segnate da un aumento di rapine, tentativi di penetrazione di culture criminali e intimidazioni». Tutti segnali che inducono a ragionare sulla «fine di una stagione, quella delle Marche «isola felice», e dovrebbero far riflettere chi ha responsabilità pubbliche sull' urgenza di riorganizzare il timone di questa società e ritessere fili di un tessuto sotto stress». Un disagio più diffuso del previsto, che traspare anche dalla «creatività mitomane» scatenata dalle gesta di Unabomber. La pioggia di telefonate anonime che segue la sovraesposizione di Ancona nei tg apre uno squarcio su «un modello prolungato di benessere che crea tensioni sociali e psicologiche ramificate, al di là dei problemi di incremento dello sviluppo industriale o della globalizzazione». Quanto agli appalti, il direttore generale dell' Azienda ospedaliera, Alfeo Montesi, ha ripetuto anche ieri, riferendosi ai ricorsi a suo tempo presentati, che «tensioni residue» in questo settore non ve ne sono, «anche se — ha aggiunto — abbiamo fatto grossi appalti e i servizi globali per la manutenzione degli impianti movimentano tantissimi miliardi». «Bisogna dire chiaramente una cosa: il terrore non corre sul filo...ad Ancona». Il presidente della Regione Marche Vito D' Ambrosio, magistrato in aspettativa, non ama il termine usato da qualcuno per descrivere l' atmosfera in cui sarebbe piombata la città dopo gli attentati dell' unabomber degli ospedali. «Qualcuno — dice, cercando di tratteggiare la figura del piromane — che sta perseguendo non so che tipo di finalità e facendo quanto meno cose di nessuna utilità per se stesso, ammesso che voglia denunciare in questo modo un suo disagio. Sì — ammette — potrebbe voler colpire il sistema sanitario, ma restiamo sempre al fatto del perchè. La nostra sanità vive periodi di difficoltà come nel resto d' Italia, ma non è una sanità malata, a parte i problemi di natura fisiologica.».

Renato Galeazzi non vuol parlare di un complotto ai danni di Ancona ma di «un attacco alle istituzioni, alla figura del sindaco — medico e ad un' amministrazione comunale che ha lavorato bene questo sì». Il primo cittadino, sindaco ds alla scadenza del suo secondo mandato non intende sposare tesi investigative o fomentare il clima di allarme creato dagli attentati incendiari agli ospedali, ma intravede «un disegno preciso, una strategia» dietro i raid dei piromani. «Penso a una reazione organizzata, non di stampo terroristico o legata alla grande criminalità, ma volta a destabilizzare e forse a vendicarsi di qualcosa. Questa amministrazione ha completato le opere incompiute, ha appaltato lavori, aperto strade. Forse — si chiede Galeazzi — abbiamo inibito qualche «affare», o «tenuto a digiuno» troppa gente?». Fin da venerdì, dopo il raid a Torrette, in via di completamento entro il 2002 grazie a un appalto affidato dalla giunta a un consorzio temporaneo di imprese partecipato da colossi quali General Electric e la Castelli, si sono ipotizzati avvertimenti di stampo criminoso. «Tutto può essere — chiosa Galeazzi — anche se il Tar ci ha dato ragione contro tutti i ricorsi». Di sicuro quest' anomala strategia della tensione non spingerà il sindaco a dimettersi: «non ci penso nemmeno», assicura. Che mirino alla sua figura professionale (Galeazzi è primario di gastroenterologia all' Umberto I) e insieme politica «è possibile, ma d' altra parte — riconosce lui stesso — la campagna elettorale è di fatto cominciata in tutta Italia, non solo qui».

«Che il piromane sia un fan di Galeazzi?» Scherza, ma non troppo, David Favia consigliere comunale di Forza Italia, che commenta aspramente l'uscita pubblica del primo cittadino ieri pomeriggio in piazza del Papa. «L'inaugurazione della piazza — afferma Favia — non è stata altro che una manifestazione elettorale della sinistra allo sbando, nella quale il delirio del sindaco è stato pari solo all'incapacità di concepire un'opera pubblica bella, funzionale e poco costosa. Devo stigmatizzare con fermezza il comportamento di Galeazzi che in occasione del discorso d'inaugurazione si è mostrato come novello fruitore della strategia della tensione. Ha addirittura ipotizzato di essere l'obiettivo degli attentati incendiari del piromane ospedaliero. Un tentativo squallido di attirare la pietà e la benevolenza degli anconetani che non ne possono proprio più di questa amministrazione che dopo errori e lunghissime sofferenze inflitte a cittadini e commercianti, ha presentato ieri una piazza non fruibile nè dagli anziani, nè dalle mamme con il passeggino, nè dai disabili in carrozzella. Non c'è, provare per credere, un "sanpietrino" che stia al pari di quello vicino. Non c'è modo di sedersi ed ammirare la facciata della chiesa. Oltre due miliardi buttati al vento nei quali non sono compresi i 42 milioni sprecati per una festa con dieci minuti di belle immagini e buona musica. Nulla di più». In effetti, la festa di ieri pomeriggio è stata un po' sottotono nonostante la presenza di una vera e propria folla che ha intasato le vie principali della città sia a piedi che in auto. Il primo cittadino, seguito costantemente dai carabinieri, nell'esprimere la propria soddisfazione per la fine dei lavori, non ha potuto fare a meno di commentare i fatti di questi giorni. «Un attentato contro i malati, gli ospedali, la città e il suo sindaco» ha detto. E una certa tensione si respirava anche tra il pubblico puntaggiato dalle divise scure delle forze dell'ordine attente ad ogni rumore estraneo alla festa.