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Tutti gli articoli del quotidiano di lunedi 04.12.00
Un ex vigilante dell'ospedale Umberto I e un ex sindacalista. Su queste due figure si sarebbe fissata l'attenzione degli inquirenti che stanno indagando sui cinque attentati incendiari agli ospedali. Il vigilante ha lavorato per anni all'ospedale ma pare non sia più impiegato da qualche mese, forse è stato licenziato. L'ex sindacalista, per le sua attività, avrebbe avuto a che fare con gli ospedali. Ieri il procuratore Vincenzo Luzi, i sostituti Bilotta e Mansi, il capo della Mobile D'Angelo e gli ufficiali dei carabinieri D'Amelio e Fimiani hanno tenuto un summit. «Le ipotesi del racket e del terrorismo — ha detto Luzi — sono da ritenere le meno probabili. Tutte le altre piste sono percorribili». Si indaga anche su strane telefonate giunte alle strutture sanitarie di Ancona prima degli attentati.

La fibrillazione che si avverte da giorni sulla vicenda del piromane degli ospedali porta anche ad una marea di voci, il più delle volte incontrollate. Ieri mattina sembrava certo che polizia e carabinieri, che stanno lavorando in simbiosi a questo caso, avessero fermato due persone. Poi il fermo si è tramutato in sospetti su alcune figure che a quanto pare hanno ruotato negli ambiti degli ospedali cittadini. La chiave che potrebbe aprire la prima porta potrebbe essere proprio questa: sembra infatti che gli sforzi degli inquirenti si stiano concentrando sulla figura di una persona che ha lavorato negli ospedali di Torrette e Umberto I. Ma non si capisce il perchè questo individuo, magari con la complicità di qualcuno, sia arrivato a compere simili gesti di una tale follia. Perchè all'Umberto I e a Torrette? Perchè quattro volte su cinque nel reparto di Gastroenterologia (anche a Torrette uno dei reparti evacuati era quello di Gastro)? Ma allora cosa c'entra l'attentato incendiario a Chiaravalle? Ieri sera si era diffusa anche la notizia che l'attentatore di Chiaravalle fosse stato individuato in modo da spiegare che questo episodio non ha nulla a che vedere con gli altri attentati agli ospedali di Ancona. Ma anche questa storia è stata smentita. Resta solo una certezza: che chi agito conosce molto bene i posti e gli orari.

Il silenzio sulle indagini e il calo di tensione che si avverte in città dopo l'ultimo inquietante attentato di sabato sera al reparto di Gastroenterologia dell'ospedale Umberto I non servono a stemperare il clima elettrico che grava sui cinque fatti criminosi. L'Unabomber della sanità anconetana non è tornato in azione ma i suoi roghi negli ospedali di Torrette, Umberto I e Chiaravalle si sono lasciato dietro una scia di fumo difficile da bucare. Gli investigatori ci stanno provando con tutte le forze. E forse i loro sforzi si sono indirizzati verso una strada precisa.
Sarebbero due le persone al momento sospettate di aver agito: un vigilante che da qualche tempo non lavora più all'ospedale Umberto I ed un ex sindacalista. Mentre i sospetti degli inquirenti sulla prima figura trovano conferma, sulla seconda grava una fitta nebbia.
Una guardia che ha lavoratoall'Umberto I e che da qualche mese non è più all'opera in quest'ospedale c'è. Gli inquirenti avrebbero valutato attentamente la sua posizione, le sue conoscenze, le sue mosse. Ma dall'insieme degli elementi raccolti pare non sia emerso nulla più che un semplice sospetto. L'ex sindacalista potrebbe essere invece soltanto una voce, una delle tante che dall'inizio di questa sconcertante storia si rincorrono. In ogni caso tutto lascia pensare che gli investigatori stiano battendo una pista ben precisa. Le indagini si sono indirizzate verso la figura di uno psicolabile che come dipendente o comunque come paziente ha avuto modo di conoscere molto bene gli ospedali di Torrette e dell'Umberto. Se il corso delle indagini è questo appare evidente che gli inquirenti mettono ormai in collegamento certo gli attentati ai due ospedali della città. Per quello messo a segno a Chiaravalle c'è ancora un grosso punto interrogativo: potrebbe infatti essere vero che questo attentato non abbia attinenza con gli altri, che sia solo l'opera di qualche emulatore o un mitomane in cerca di gloria e di emozioni forti. Se fosse veramente questa la chiave di lettura, come pare che sia, allora troverebbero una spiegazione logica anche le dichiarazioni che il capo della Procura di Ancona Vincenzo Luzi ha rilasciato ieri pomeriggio alla folla di giornalisti che attendevano qualche notizia in tribunale da più di tre ore. Al termine di un vertice a porte rigorosamente chiuse e al quale hanno partecipato i sostituti procuratori della Repubblica di Ancona Mansi e Bilotta, i comandanti del nucleo e del reparto operativo dei carabinieri D'Amelio e Fimiani, il capo della squadra mobile di Ancona Italo D'Angelo e due carabinieri del nucleo «anti-piromane» giunti da Roma, Luzi ha rilasciato una dichiarazione secca, di poche parole. «Tra le varie ipotesi quelle più inquietanti del racket e del terrorismo sono da ritenere le meno probabili. Tutte le altre piste sono percorribili». Ma Luzi ha aggiunto anche un'altra cosa per spiegare la sua posizione: «Siamo giunti ad una conclusione». Parole che di per sè dicono ben poco, ma che assumono un significato importante. Tutto ciò potrebbe voler dire o che gli investigatori hanno in mano elementi certi per dire che non si tratti dell'opera di eversivi o della malavita organizzata o che invece non sanno ancora che pista intraprendere. Di sicuro comunque ci sono i tanti interrogativi che restano ancora in sospeso: perchè attaccare proprio gli ospedali di Ancona? Perchè per tre volte ilreparto di Gastroenterologia diretto dal sindaco-primario Galeazzi?
di Andrea Massaro

E' un clima di attesa quello in cui stanno vivendo i dipendenti dell'azienda ospedaliera «Umberto I». All'ipotesi che la mano incendiaria sia di qualcuno che lavora (o che ha lavorato) in uno dei due nosocomi e che sa bene come muoversi all'interno di questi, i vertici della Rsu rispondono con una reazione pacata e preferiscono che ad investigare siano solo le autorità. Oggi alle 16.30 l'azienda incontrerà i sindacati per metterli al corrente della situazione e per illustrare la nuova organizzazione di quei reparti della struttura di Torrette resi inagibili dall'incendio. Savina Bramucci, coordinatore della Rsu, esclude l'esistenza di casi particolari o di dissapori o di tensioni tra dipendenti e l'amministrazione, riconducibili a quanto è successo. «Niente che possa ricollegarsi a questi fatti — dice Bramucci — siamo in attesa della risoluzione di questa vicenda. Sindacalmente non ci sono problemi tant'è che di recente abbiamo anche sottoscritto due accordi con l'azienda molto vantaggiosi per i lavoratori. Noi pensiamo solo a tutelare i lavoratori». Esclusi i medici sono circa 1.600 i dipendenti dell'azienda. «Certo non possiamo mettere la mano sul fuoco su ognuno di questi — aggiunge il vice coordinatore Rsu Mario Giandomenico — e qualche tensione ci può anche essere, ma niente di rilevante».
La Cgil ribadisce che «non corrisponderebbe al vero una rappresentazione che mirasse a ricondurre, dentro logiche tutte interne ai rapporti di lavoro, le motivazioni che potrebbero aver determinato questi gesti criminali». «Nelle strutture colpite — aggiunge la Cgil — non ci sono né il clima né le ragioni capaci di motivare e scatenare fenomeni come quelli cui siamo costretti ad assistere».
Lorenzo Moroni

Nei giorni scorsi, tra i tanti scenari dipinti per comprendere la matrice degli attentati incendiari, c'è chi si è ricordato dell'allarme lanciato anni fa dal segretario regionale Ds Massimo Pacetti. Una vera e propria segnalazione all'Antimafia nella quale si parlava dell'insorgere del fenomeno della criminalità organizzata e si faceva cenno ai grandi appalti pubblici, ospedale di Torette compreso. Pacetti, quali considerazioni le suggeriscono i gravi episodi di questi giorni?
«Certamente il modus operandi attraverso il quale è stato realizzato l'attentato di Torrette richiama il sistema operativo della criminalità organizzata. Per gli altri episodi mi sembra che lo spirito emulativo possa aver suggerito a qualcuno una «coda» comunque preoccupante».
Criminalità organizzata e strutture sanitarie, ma quale collegamento? «All'epoca della mia denuncia all'Antimafia in questa regione erano accadute delle cose che meritavano di essere segnalate. In pratica sul territorio regionale le tre più pericolose organizzazioni criminali del Paese avevano segnalato la loro presenza con precisi fatti criminosi. Oltre a questo c'erano dei fondati sospetti che la criminalità di casa nostra si fosse raccordata con la Mafia russa e l'arresto di uno dei capi a Fano non face che confermare certe inquietanti ipotesi. Era giusto chiedersi per quali motivi la grande criminalità avesse scelto le Marche e certo i grandi appalti, il settore dell'edilizia che stava per ricevere grandi finanziamenti, erano aree di grande rischio per possibili infiltrazioni». Oggi la gran parte degli appalti relativi al completamento di Torrette sono stati già assegnati... «Questo è vero ed ho ascoltato le parole del direttore generale Montesi che ha escluso un collegamento tra questi episodi ed i lavori nei cantieri. Resta il fatto che il modo in cui si sono mossi gli attentatori di Torrette non è riconducibile al piano di uno psicolabile o di uno sprovveduto. Comunque attendiamo con fiducia il lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura». I lavori di completamento e ampliamento della cittadella sanitaria sono cominciati ben 35 anni fa, con un' interruzione effettiva di 22 anni (dal 1975 al 1997) segnata da riprogettazioni e mancanza di fondi. A vincere la mega-commessa per il completamento (165 miliardi) è stata un' associazione temporanea di imprese, la Cooperativa Lodola 2000, di cui fanno parte le ditte Castelli, Sparaco Spartaco, Borghi e Chiodoni. Ieri abbiamo ascoltato un dirigente di una delle società che ha escluso la possibilità che gli attentati siano legati alle questioni degli appalti: «Non abbiamo mai ricevuto minacce di alcun tipo, stiamo lavorando in tutta tranquillità». Nell'intricata selva delle forniture e dei sub appalti è difficile leggere e non resta che credere alle parole tranquillizzanti dei vertici sanitari.
di Martino Martellini

Entrare in un ospedale e appiccare un fuoco è relativamente semplice. Lo sanno soprattutto le persone che lavorano nei reparti. La paura nasce da questa constatazione del tutto reale. Lo possono confermare in primis i cronisti del Carlino che più volte in questi giorni, per esperimento, hanno girato gli ospedali da cima a fondo senza mai essere fermati o controllati. E lo confermano naturalmente i dipendenti. «Come possiamo stare tranquilli — si chiede Simona Piergattini medico alla Gastro di Torrette — quando non sappiamo assolutamente chi entra e chi esce?». «Sospetti? — dice la caposala Filomena Sopranzetti — e come si fa a dirlo? Paura? In questo momento no. Ma io non ero qui nei momenti peggiori. E oggi c'è parecchio da lavorare per risistemare tutto e per accogliere i nuovi pazienti. Certo, stiamo tutti più attenti, ci guardiamo sempre intorno». Di giorno il reparto non fa paura. Non è ancora orario di visite, ma il corridoio è affollato di tecnici che risistemano la stanzetta andata a fuoco e di giornalisti che sperano di trovare indizi inediti per far luce su tutti i misteri di questa stranissima vicenda. «Adesso non abbiamo paura — commenta Luigia Morelli, un' infermiera che due notti fa era arrivata per prendere servizio una decina di minuti dopo l'inizio del rogo — ma non so come si sentiranno i colleghi che faranno in due il turno di notte». A rabbrividire al pensiero del fuoco non sono solo medici e infermieri. «All'inizio ci veniva da ridere — raccontano Serena e Milena, le giovani addette al bar di Torrette — ma adesso le cose sono diverse. Speriamo che questo matto non se la prenda anche con l'ospedale dei bambini». E la tensione si avverte anche all'Umberto I, dove si sono moltiplicati i controlli agli ingressi e all'interno. Una borsa dimenticata a terra è stata al centro di sospetti e allarmi finchè non è tornato il legittimo proprietario.
Claudia Pasquini

«Più di tanto non è possibile fare». Negli ambienti sanitari della città si spiega con una battuta l'impossibilità di controllare il viavai delle persone che giornalmente accedono alla cittadella sanitaria di Torrette. Si tratta di più fabbricati contigui eretti su un'area di 166 mila metri quadrati dove alle divisioni ospedaliere si affiancano le cliniche universitarie ed i corsi per gli studenti della facoltà di Medicina. Il polo sanitario di Torrette, inoltre, ha valenza regionale ed i pazienti vi confluiscono dall'intero territorio, senza contare gli extraregionali. La disponibilità è di 1.200 posti-letto. In quest'area passano ogni giorno circa cinquemila persone. Per controllarle tutte ci vorrebbe l'esercito. Così il «gigante bianco» resta vulnerabile all'azione dei suoi «nemici» e vanifica l'impegno delle forze dell'ordine nel cercare di controllare la massa degli utenti, nonostante l'intensificarsi della vigilanza disposta dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. Un gruppo di agenti e carabinieri in divisa stazionano all'esterno, un'altra decina si aggira in vestiti civili fra i reparti alla ricerca di presunti sospetti. Del resto le difficoltà della situazione erano state paventate anche dal prefetto, Emilio D'Acunto. «La struttura — ha da parte sua affermato il direttore generale dell'Azienda ospedaliera, Alfeo Montesi (foto) — ha tanti accessi e questo può produrre una condizione di rischio». E così il «filtraggio» degli ospiti avviene «a vista» senza controllo di documenti, un lavoro che avrebbe comportato un'organizzazione da aeroporto. La macchina investigativa è comunque in pieno movimento e si attendono frutti a medio termine. «La magistratura e le autorità di polizia — hanno detto i parlamentari diessini Guido Calvi ed Eugenio Duca, che si sono incontrati con il procuratore capo, Vincenzo Luzi — stanno operando con incisività e con rigore professionale avendo posto in essere tutti gli strumenti investigativi necessari per individuare le responsabilità». Hanno inoltre sottolineato che le «forze dell'ordine, opportunamente coordinate, stanno operando in sintonia; ciò fa sperare che rapidamente possano essere individuati gli autori o l'autore degli atti criminali compiuti».

«Amministrazione provinciale di Ancona-categoria A2323». Sulla valigetta rossa trovata sabato scorso dalle forze di polizia accanto all'ingresso del palazzo della Provincia c'era questa etichetta. La borsa era inoffensiva e soprattutto non era stata posizionata in quel punto strategico intenzionalmente. Qualcuno, sostengono gli investigatori, ha visto polizia e carabinieri armeggiare attorno al contenitore, e ha pensato di sfruttare il momento per dar sfogo ai suoi desideri di protagonismo, ancorché anonimi.

Una storia piena zeppa di precedenti. L'ospedale regionale di Torrette è stato teatro, in periodi diversi, di fatti analoghi, seppure meno gravi, a quelli che hanno messo a soqquadro la sanità marchigiana. I precedenti sono stati resi noti dalla polizia. 26 ottobre 1993. Alle 20 circa un incendio, di origine dolosa, si sviluppa nel deposito della biancheria ospedaliera situato nei sotterranei. Anche in questa circostanza tutti i pazienti dei reparti sovrastanti vengono evacuati. I danni sono stimati in 60 milioni di lire. Nella sua denuncia, il direttore sanitario, Maurizio Sebastiani, racconta di altri due incendi avvenuti nel mese di ottobre del 1993 e nel 1991. In queste due ultime occasioni erano stati incendiati, rispettivamente, un camion di una ditta che effettuava il trasporto dei rifiuti speciali e un locale, sempre nei sotterranei della struttura, vicino al pannello elettrico. Di queste due circostanze non ci sono atti nell' archivio della polizia.
4 marzo 1997. Alle 00.30 un incendio, anche questo doloso e subito domato, si sviluppa simultaneamente in due sale d'aspetto contigue, prospicienti gli studi medici del reparto di neurologia al quinto piano. Il fuoco si è propagato da un cestino-posacenere e da tre poltrone. Per motivi di sicurezza, avendo il fumo invaso il reparto, tutti i pazienti vengono trasferiti in altre zone del nosocomio. 25 novembre 1999. Alle 22.05 ignoti danno fuoco, probabilmente con un accendino, a un volantino appeso nella bacheca che si trovava nel locale antistante il reparto di ortopedia e a un foglio di carta, attaccato con nastro bioadesivo, in prossimità delle porte dell'ascensore dello stesso piano. Rimangono danneggiate la bacheca, una lettiga posta nelle vicinanze e parte della cornice di metallo dell' ascensore. L'incendio è domato dallo stesso personale sanitario, senza danni rilevanti. «Tornare alla normalità» è la parola d'ordine nel reparto di gastroenterologia dell' ospedale Umberto I di Ancona, riaperto ieri dopo avere subito tre dei quattro attentati incendiari avvenuti nei giorni scorsi negli ospedali del capoluogo marchigiano. La parte destinata alle degenze, da cui erano stati evacuati una quindicina di pazienti tre notti fa, dopo che qualcuno aveva appiccato il fuoco ad un armadietto dello spogliatoio del personale, ha accolto sette nuovi ricoverati. Sono tranquilli due degenti appena arrivati da fuori città: il loro ricovero — spiegano — era programmato già da tempo e giudicano molto positivo il fatto che l' appuntamento sia stato rispettato «nonostante tutto quello che è successo», che tutto sia stato risolto, almeno sul piano organizzativo, nel giro di poco di più di 24 ore. Mostra tranquillità anche il primario-sindaco Renato Galeazzi. «Ci stiamo preparando a far tornare in reparto anche i pazienti evacuati e smistati in altre divisioni tra l' Umberto I e Torrette. Sono stati i parenti a insistere per farli tornare qui». Però nel reparto stesso, la tensione è avvertibile, insieme all' odore di fumo che ancora aleggia nell' aria, tra il personale, specie dopo le voci che indicano come presunto responsabile un dipendente o ex dipendente dell'azienda ospedaliera. Su questo nessuno vuole fare commenti, perchè «siamo troppo impegnati». Anche a Torrette dove l'incendio nei sotterranei aveva coinvolto i sei piani della struttura, i reparti sono stati riaperti. Manca all'appello solo quello di «oculistica» che ha subito i danni maggiori. I danni secondo le prime stime ammontano a circa un miliardo e mezzo.