Alberto Palmucci 

 

J E N N Y

 

   C'è stato sempre un momento della mia vita che, destandomi all'alba, ho inteso le cose come un presagio. Allora nulla accade ch'io non tenga per sempre. Possono essere avvenimenti dall'apparenza più o meno grande, ma tutti sembrano avere uno scopo conseguente. Non ch'io ne abbia la coscienza immediata, ma sento la pienezza di ogni istante, felice o infelice, e sento che qualcos'altro deve accadere. E se alla fine della vicenda penso l'ultimo suo momento, sento che tutto il corso della mia vita, fatti di istanti e di sensazioni disperse e dimenticate, s'addensa e crea l'ultimo evento.                           

                   ***

 Quando mi svegliai erano le tre e un quarto del pomeriggio.

 <<Accidenti>> dissi, <<ho fatto tardi>>.

 Mi alzai ed andai a lavarmi perché ero matido di sudore. Faceva caldo per Giugno quell'anno.

  Finii, presi i libri ed uscii. Le strade erano assolate e deserte. Guardai l'orologio: venti minuti alle quattro.

 <<Quaranta minuti di ritardo>> pensai.

 <<Ciao Jack>> m'intesi salutare.

 Non so perché gli amici mi hanno sempre chiamato Jack.

 <<Ciao Giulia>>.

 <<Dove vai?>>.

 <<Dovrei andare a lezione. Gli esami sono prossimi, ed io sono in ritardo sui programmi. E tu?>>.

 <<Vado in su,>> disse <<a studiare. Ho bisogno di aria fine. Sono esaurita>>.

 <<Anch'io. Cosa studi?>>.

 <<Italiano. Sono indietro e ho paura. A noi privatisti ci mazzuolano>>.

 <<A chi lo dici. Ho ventidue anni ormai, e non vorrei esere respinto>>.

 Subito mi pentii di aver detto la mia età. Giulia aveva trent'anni, si era messa a studiare a ventotto, ed ora si preparava per il esami di Ragioneria.

 <<Tu sei forte in Italiano>> disse. <<Vieni con me. Prepareremo qualcosa insieme>>.

 Guardai l'ora: le tre e tre quarti.

 <<Vengo con te>> risposi.<<Ormai è tardi per la mia lezione di matematica>>.

 C'incamminammo, e Giulia mi parlò delle sue apprensioni per gli esami. La strada era lunga e ripida.

 Già i grandi palazzi della città rimanevano alle nostre spalle. Piccole case e osterie ci venivano incontro. Sorpassammo un orto, poi la caserma della Scuola di Guerra; infine salimmo sulla collina del convento dei Cappuccini. La facciata del monastero era assolata. Noi ci sedemmo sotto la croce dell'obelisco ai margini del piazzale dove c'era un po' d'ombra. Un frate si avvicinò.

 <<Auguri>> ci disse.

 <<Ma padre,>> gli risposi <<siamo venuti a studiare>>.

 Ci guardò incredulo.

 <<Dio vi benedica>> disse, e se ne andò nel sole.

 Ridemmo.

 Giulia tirò fuori dalla borsa l'antologia italiana, e cominciammo a ripassare Leopardi.

 <<Leggi tu>> disse.

 Cominciai: <<Silvia rimembri ancora

              quel tempo della tua vita mortale,

              quando beltà splendea

              negli occhi tuoi ...>>

 <<Ridenti e fuggitivi>> continuò Giulia, e mi guardò fissa negli occhi.

 Io pensavo a Milena che s'era sposata. Giulia mi passo un braccio sulle spalle. Mi intesi imabarazzato. Continuai a leggere:

             <<... Mirava il ciel sereno,

               le vie dorate e gli orti,

               e quinci il mar da lungi e quinci il monte.

               Lingua mortal non dice

               quel ch'io sentiva in seno ...>>

 Giulia m'interruppe.

 <<Sono tanto infelice>> disse e passò le dita fra i  miei capelli.

 Stupidamente le chiesi: <<Cos'hai?>>.

 Lei senza rispondere mi abbracciò, ed io restai fermo.

 <<Sto diventando una puttana>> disse.

 Allora, non so per quale inibizione,

 <<Giulia,>> le dissi <<smettila. Non parlare così>>.

 Continuava a baciarmi sul collo.

 <<Smettila>> le dissi ancora.

 <<Sto diventando una puttana>>.

 <<Finiscila. Non devi parlare così. Vieni via. Su, andiamo a farci una camminata>>.

 Non so perché la respinsi, però la condussi sempre più lontano dalla città..

 Andammo in su, per le mulattire fiancheggiate dai rovi; e, giunti sul colle della Ficoncella, ci sedemmo. Eravamo stanchi. ci togliemmo le scarpe, e ci bagnammo i piedi nelle acque solfuree.

 Stesi sull'erba, guardavo le nuvole che dal mare andavano verso Tarquinia. Là un giorno m'ero innamorato. Giulia mi venne sopra. Io non mi mossi. Cominciò a baciarmi dappertutto.

 <<Sto diventando una puttana>> disse.

 Ora, le nuvole invadevano le valli, e Tarquinia diventava sempre più confusa nella mia mente.

  ***

   Giulia rimase supina, con gli occhi spenti. Per un po' non parlammo. Continuammo fino a sera; e, quando le nuvole minacciarono seriamente, tornammo in città. Nella notte feci sogni inquieti. Al mattino seguente mi svegliai col mal di testa. Avrei dovuto studiare, ma non feci niente. Uscii.

 In via Cencelle, gruppi di giovani sedevano annoiati sui gradini del mobilificio Pierucci. Lì, trovai gli amici e sedetti. Si parlò senza calore. Stavamo con gli occhi rivolti in basso. Solo quando passava una ragazza, qualcuno sollevava gli occhi, e mandava qualche fischio.

 All'ora del pranzo tornai a casa stanco. Mangiai, dormii, alle sei mi alzai perché doveva venire Rosetta. Con la scusa di insegnarmi musica, amoreggiavamo un po'. La sera, poi, tornai con Giulia, e la giornata passò così. Non avevo studiato. Dopo cena uscii ed andai al Bar Nazionale dove gli amici facevano comunella. Gianni, il proprietario del locale, era un ragazzone simpatico. Parlai un pò con lui, feci una passeggiata ed andai a letto.

 Passarono i giorni senza che combinassi niente, finché giunse il venti di Giugno. L'indomani avevo gli esami. Solo allora mi resi conto di quanto poco avessi studiato. Dapprima fui preso dal panico, poi mi intorpidii.

 Avevo fatto domanda di esami a Roma. Mio zio, che ci abitava, mi aveva invitato a trascorrere da lui i giorni delle prove. Quindi, la sera del venti partii in treno da Civitavecchia.

 Avevo portato con me tutti i libri. In treno, cercavo di studiare, ma il ritmo delle ruote mi infastidiva. avevo dinanzi una donna grassoccia. Guardava continuamente intorno e, di quando in quando, mi fissava. Le stava accanto un'altra donna assorta nei propri pensieri. La guardo. Non mi piacciono le sue scarpe. Salgo con lo sguardo lungo le gambe. Lei le accavalla e lascia vedere le ginocchia, poi le copre. Ha in po' di pancia e il seno calato. La fisso e vorrei che se ne accorgesse. L'uomo che mi è accanto è forse suo marito. Fuma, e l'aria spinge il fuma verso di me. Volto la faccia dall'altra parte, e guardo fuori dal finestrino. Piove. Tutto è grigio. I caseggiati di Civitavecchia si allontanano sempre di più, e sempre più astratte appaiono le luci gialle del porto.

 

        <<Meglio a chi il senso smarrì dell'essere,

          meglio quest'ombra, questa caligine>>.

 

 M'erano venuti in mente i versi del Carducci.

 <<Accidenti>> pensai. <<Non so nemmeno guardar le cose con i miei occhi>>.

 Roma mi stordì. Quella sera andai a letto molto tardi perché avevo cercato di studiare. Nella notte dormii un sonno inquieto e senza sogni.

 L'indomani, la prova scritta di Italiano andò bene. Il fatto mi diede fiducia. Nel pomeriggio studiai. La sera andai a passeggiare per le vie del centro. Camminai a lungo. Mi piaceva guardare la gente. Entrai al Brodwey dove stavano girando il film Buonanotte avvocato con Alberto Sordi. Un gran pezzo di figliola ballava un mambo indiavolato. Le mie viscere si commossero. Poi il regista mi cacciò via. Tornai a camminare finché giunsi in Piazza delle Esedra. Ero stanco. Mi appoggiai alla colossale fontana. guardavo in su lungo il getto d'acqua che si rivolge al cielo, e non vedevo più i caffè della piazza, né il traffico di Via Nazionale. Solo il ritmo di un jazz accompagnava il mio sguardo. Considerai le naiadi della fontana. Leda col cigno. Pensai al peccato di quelle donne. Leda era lì con le sue forme nude, impudica nella stretta del cigno; ma l'acqua che le scendeva sui seni sembrava lavarla.

 Anche le prove scritte di Latino e di Matematica andarono bene. Proprio perché non avevo studiato, questi successi mi insuperbirono al punto che, nei dieci giorni che intercorsero per gli orali, non combinai niente.

 Ero tornato a Civitavecchia. Passavo tutto il tempo dormendo e passeggiando sul mare. Guardavo le ragazze, e non studiavo.

 Il giorno degli orali del gruppo scientifico, andai a Roma al mattino e ritornai la sera stessa. In matematica me l'ero cavata con una buona dose di intuito, ma in Fisica ed in Scienze ero crollato. Nel complesso non ero scontento. Puntavo tutto sul gruppo letterario.

 Passò un'altra settimana, e il diciannove Luglio mi presentai agli esami.

 La testa mi doleva. Mi ero alzato presto al mattino. Il giorno avanti avevo studiato fino a notte tarda. Avevo letto tutta la letteratura latina, tutta la storia e dieci canti del Paradiso. Però, nell'attesa di essere interrogato, i miei nervi crollarono. Era mezzogiorno. Dalle otto aspettavo. Appoggiato alla finestra, quelle ore m'erano sembrate un tempo così lungo che mi smemorava. Ad ogni istante che passava sentivo che i miei nervi si indebolivano. Avevo perso fiducia, ed ero ansioso di venire alla fine. Accesi una sigaretta. Era la decima nella mattinata.

 Pian piano i miei nervi si stesero, ma ero preso da una perplessità nella quale salivano e navigavano vaghi strati emotivi sospesi e dimenticati. Guardo fuori la finestra. In una specie di allucinazione mi appare il mercato di Campo di Fiori ed il traffico di Corso Vittorio; al di là, Piazza Venezia, l'Altare della Patria; più in su, Via Veneto, Via Nazionale, Piazza Esedra con la fontana, Leda col cigno, ma così lontana. Un giorno, guardano le stelle, volevo morire.

 Qualcuno mi chiama. Un compagno mi scuote.

 <<Chiamano te?>> disse.

 <<Chi?>>.

 M'intesi chiamare di nuovo.

 <<Presente>> risposi ed andai verso il tavolo dei professori. Sedetti. M'interrogarono.

 M'ero ormai ripreso. Questionai con il professore di filosofia.

 <<Non posso pormi come puro spirito>> gli dicevo.

 Lui mi disse: <<E allora Dante? Non concepì puri spiriti nel Paradiso?>>.

 Gli argomentai che in Dante quei puri spiriti vivono di concretezza artistica.

 Alla fine, il professore barbugliò qualcosa che non capii, ma quando mi alzai dalla sedia per passare al banco di Latino, sapevo che mi avrebbe promosso.

 Le altre materie andarono bene. Incantai le professoresse di Latino e di Italiano dicendo loro che non condividevo la traduzione di un verso di Orazio fatta dal commentatore del testo. In proposito, raccontai come sorpreso, nella traduzione, dalla bellezza del verso, mi ero lasciato trasportate da un'onda di immagini, ed avevo composto una mia poesia. Me la fecero recitare, e così finirono gli esami.

 Uscii per le strade che tutto mi sembrava bello, ma una nausea sottile cominciava a prendermi lo stomaco. Avevo fumato troppo.  Presi il Sessantaquattro per la stazione Termini; e, quando passai per Piazza Esedra, la fontana era secca. Gli spazzini raschiavano quella poc'acqua rimasta in fondo alla vasca. Sotto il sole rovente di Luglio, Roma bruciava. Leda, immobile nel bronzo calcinato di sole, sembrava una prostituta.

 Volevo tornare a Civitavecchia, ma invece andai da mio zio. Presi il Trentanove per i Parioli, e mezz'ora dopo ero seduto a pranzo.

 Non avevo fame. Dopo i primi bocconi avvertii dei conati di vomito. Un'altra forchettata di spaghetti e avrei rigettato.

 <<Non ho fame>> mi scusai. <<Ho studiato molto in questi ultimi tempi, e sono stanchissimo. Sarà bene che torni a casa>>.

 Ma in effetti non ne avevo voglia. Roma mi piaceva troppo.

 <<C'è un treno che passa da Trastevere alle sedici e tre>> disse mio zio. <<Se fai presto, lo prendi>>.

 Cinque minuti dopo era sul C, e alle sedici sul treno.

 Era un accelerato, e questo mi indisponeva: si sarebbe fermato ad ogni paesino.

 La stazione era gremita di gente che andava al mare: famiglie, gruppi di giovani, qualche lavoratore.

 Quando il treno partì mi trovai in mezzo a una comitiva di allegroni che mi infastidiva.

 <<Come se non fossi capace di far meglio di loro>> pensai.

 <<Ciao moro>> mi disse una di quelle ragazze che avevano i pantaloni corti.

 <<Ciao piccola>>.

 <<Perché mi chiami piccola? Siamo mica nel Texas>>.

 <<Sembra di sì>>.

 <<E perché?>>.

 <<Le cow-girl portano i pantaloni>>.

 La ragazza sorrise.

 <<Dovresti portarli sempre>> le dissi.

 <<Si? Ti piacciono?>>.

 <<I pantaloni?>>.

 <<E che altro?>>.

 <<Le gambe>>.

 Lei rise. Mi sedetti dalla sua parte.

 <<Dove scendi?>> mi chiese.

 <<A Civitavecchia. E tu?>>.

 <<A Fregene>>.

 <<Mi dispiace>>.

 <<Hun>> fece lei.

 Il treno fermò alla prima stazione.

 <<Magliana>> gridò il ferroviere.

 La comitiva si riversò sui finestrini.

 <<Hai belle gambe>> dissi alla ragazza sfiorandole il ginocchio con una mano.

 <<Fermo!>> mi disse in un grido soffocato.

 Il treno ripartiva. Tutti tornarono ai loro posti.

 La ragazza sembrava non considerarmi più. Non mi guardava, e se parlavo non rispondeva. Allora, mi buttai sullo schienale cercando di assopirmi. Passò un po' di tempo, ed intesi che, nel rullio del treno, il ginocchio della ragazza batteva sul mio. Mi sollevai e vidi che lei fingeva di dormire. La comitiva s'era afflosciata. Ognuno sonnecchiava in un angolo. Molta gente era scesa alle stazioni passate. Mi avvicinai col viso e le dissi:

 <<Andiamo via da qui>>.

 Non mi rispose.

 <<Vieni>>.

 <<Ma dove?>>.

 <<Vieni>>.

 Ci alzammo e percorremmo tutto il treno fino al vagone di coda. Non c'era nessuno. Ci mettemmo sull'ultimo sedile al di là del quale non c'era che una lunga fuga di rotaie.

  ***

   Quando il treno ripartì da Fregene,

 <<Ciao moro>> mi gridò di là dal marciapiedi.

 <<Ciao picc ... . Come ti chiami?>>.

 La ragazza gridò forse il suo nome, ma già il treno ripartiva, e il rumore degli stantuffi coprì la sua voce.

 Andai a sdraiarmi su un sedile e m'assopii.

 Il sole era ancora alto quando mi svegliai. Nei sedili accanto s'erano accomodati un contadino e due suore.

 Guardai fuori dal finestrino. Il mare brillava come acciaio liquido sotto i raggi del sole, e le onde scivolavano cautamente sulla secca fino agli scogli bruni della riviera.

 Se dal mare non fosse arrivata la brezza, c'era da crepar di caldo nel vagone. Il contadino dormiva, le suore sbuffavano qualche Ave Maria. Cambiai posto. Non restava che attendere di arrivare.

 Passarono le ultime stazioni, Santa Severa, Santa Marinella, poi finalmente vidi lontana Civitavecchia. Sulla via Aurelia, gruppi di giovani tornavano dagli stabilimenti balneari; e, appena fui a Civitavecchia, incontrai degli amici che ritornavano. Feci con loro un po' della strada, poi li lasciai al semaforo di via Cencelle e me ne andai a casa.

  ***           

 Il giorno dopo mi svegliai tardi ed andai a passeggiare lungo mare. Il caldo mi opprimeva, ma non avevo voglia di fare il bagno. Dal muretto vidi gli amici sulla spiaggia. Scesi, ed essi mi festeggiarono.

 <<Non fai il bagno?>> mi domandò Tonino.

 <<No. Sono fiacco. E poi sono bianco, e non ho nemmeno il costume>>.

 Tony tornava a riva con un gruppo di ragazze.

 <<Ciao Jack>> mi gridò

 <<Ciao>>.

 <<Beh, non fai il bagno?>>.

 <<Non ne ho voglia>>.

 <<Buttiamolo a mare>> gridarono le ragazze.

 Me la squagliai, ma poco dopo tornai. Sapevo d'aver fatto una figuraccia.

 Una ragazza mi disse: <<Sei così permaloso?>>.

 <<Oh, no>> mi scusai. <<E' perché sono senza costume>>.

 <<Ehi>> dissi a Pippo, <<dove hai pescato tante ragazze?>>.

 <<Io no. Loro hanno pescato me>>.

 Risero tutti.

 Dopo un po' tornammo a casa.

 Nel pomeriggio andai con Giulia. Mi chiese dei miei esami, mi parlò dei suoi. Forse anche lei ce l'avrebbe fatta. Ci arrampicammo su per le strade che vanno ai monti, ma io guardavo, al di là, verso Tarquinia.

 <<Cos'hai?>> mi chiese Giulia. <<Sei distratto>>.

 <<Sono stanco per gli esami>> risposi.

 Giulia mi baciò. Io le morsi le labbra: "non verrò più con te". Il sole tramontava, e Tarquinia era una macchia scura sull'orizzonte.

 La notte ci sorprese fra le stoppie.

<<Guarda! Le lucciole>> disse Giulia.

<<Sì>>.

 Erano assurde. Non per Giulia le avevo sognate.

 L'indomani lei mi cercò sulla spiaggia, ma io ero andato a pescare fuori città. Passarono alcuni giorni, e quando mi dissero che non veniva più al mare, tornai fra gli amici.

  ***  

 M'ero svegliato coi primi rumori che salivano dal mercato del pesce. Udivo il rimbalzo dei carretti sulle buche della strada, e già dalle bancarelle partiva il primo richiamo dei venditori.

 <<Pesciuhu vihivoohoho>> gridarono i Pozzuolani.

 Quando mi alzai, il sole era già alto sui monti di Tolfa. Attraverso la finestra della stanza di rimpetto vedevo una ragazza che si lavava. Udivo persino il risucchio dell'acqua, ma non riuscivo a vederla più giù del seno. Rimasi in agguato e, quando si sollevò dalla vasca, la vidi un attimo nuda prima che  l'accappatoio la coprisse.

 Cominciai a farmi la barba. Lo specchio appeso all'imposta del davanzale rimandava le immagini della stanza.

 La ragazza passò nella luce della finestra. Era in vestaglia stavolta. Non distinguevo bene il suo viso, ma i suoi capelli erano biondi.

 Alle otto, udii il fischio di Tony che mi chiamava da sotto la finestra. Lui passava sempre a prendermi, ma non saliva in casa, fischiava. Insieme andammo al porticciolo della Lega Navale dove c'era il suo cutter. C'inguazzammo i piedi nell'acqua scura di alghe marcite, fra gli scogli di protezione e la fogna che serviva pure da banchina. Alberammo le vele, e via, verso quella meta azzurra che è l'orizzonte.

 Avevo una mano nell'acqua, e mi piaceva guardare la scia che lasciava.

 <<Accidenti>> mi gridò Tony. <<Sfido io che la barca pende! Togli quella mano>>.

 Mi stesi a prua sotto il sole che mi bruciava. Tony cominciò a cantare:

 <<Quell'erba nascosta nel fondo del mare

   valla a cercar.

   Stanotte scendi in fondo al mar,

   si chiama oblio...>>

 <<Tony>> gli dissi sfottendolo, <<cosa devi dimenticare>>?

 <<Niente. Mi piace il mare>>.

 Navigando verso il largo andavamo incontro ad onde lunghe sulle quali la barca prima si alzava e poi ricadeva con un tonfo. D'un tratto, decidemmo di ritornare.

 A riva trovammo gli amici al completo. Andammo tutti al Pirgo a fare il bagno.

 La spiaggia era affollata, e il mio sguardo cercava soprattutto il corpi delle ragazze stese nel sole. Dopo il bagno, ognuno affondò nella rena, ognuno coi suoi desideri.

 Il sole m'aveva asciugato la pelle, ma gocciole di sudore mi cominciavano a calar dalle tempie e dai fianchi. Abbandonato nella rena, sentivo come se tutto il mondo si riposasse. Il mare fluiva appena sulla riva, e lisciava i sassi affioranti. Erano per lo più mattoni provenienti dagli scarichi di macerie del dopoguerra, che il mare aveva roso e riportati a riva.

 Fu allora che Tony mi presentò Jenny.

 <<Piacere, Jack>> dissi.

 <<Sei inglese?>> mi domandò la ragazza con una strana pronuncia.

 <<No>>.

 <<Io ... sono ... americana>>.

 <<My name is Robert>> dissi, <<but the friends call me Jack>>.

 Jenny sorrise.

 <<Can you understand if I speak English?>> disse.

 <<A little, if you speak very slowly>>.

 Tony era seccato perchè non  capiva.

 <<Mi sta domandando>>, lo informai <<se parlo inglese>>.

 <<Prefisco parlare italiano>> interloquì Jenny. <<Vorrei imparare bene la vostra lingua>>.

 <<Resterai molto in Italia?>> le chiesi.

 <<Credo tutta l'estate>>.

 Le sorrisi e lei mi guardò con uno sguardo che non capivo. Aveva quella bellezza che solo le donne del nord hanno se solo belle.

 All'ora del pranzo tornammo tutti a casa, ma prima accompagnammo l'americana.

 Al portone le chiesi:

 <<Can I go to you in this night? We can go to cinema>>.

 Lei sorrise del mio cattivo Inglese, e nel modo più semplice mi rispose: <<Yes, with pleasure>>.

 Credevo che nessuno ci avesse capiti, invece quando quella sera al cinema arena Bernini, vidi arrivare tutti gli amici a prendermi in giro, mi diedi dello scemo. Per maggior disgrazia c'era anche Giulia.  

****  

 <<Ieri gli amici mi hanno preso in giro>> dissi a Jenny.

 <<Perché?>>.

 <<Perché ero con te>>.

 <<Non capisco. Forse non mi vogliono?>>.

 <<Oh no, non é questo>>.

 <<E perché allora?>>.

 <<Vedi? I mei amici sono fatti così. Non devi avertela a male. Sono fatti così>>.

 Non disse più niente.

 Giulia si avvicinò:

 <<Ciao Jack>>.

 <<Ciao>>.

 <<Ti sei fatto la fidanzata?>>.

 <<No>> risposi. <<Ma tu dove sei stati tutti questi giorni?>> le chiesi con ipocrisia.

 Lei non rispose e mi guardò male. Si lisciò le mani sul vestito e raggiunse un gruppo di amici.

 Non era il caso di fare il bagno. Grossi nuvoloni salivano da ponente e già oscuravano il sole.

 <<Un temporale>> dissi a Tony che si avvicinava.

 <<Accidenti>>, bifonchiò, <<non è nemmeno Agosto, e già il tempo si guasta>>.

 Ma quel giorno non piovve. Dal mare soffiava un vento caldo e umido che appiccicava addosso la polvere dei cumuli di macerie che si trovavano ancora in certi angoli a ricordarci i bombardamenti subiti dalla città. Nella sera si videro lampi sull'orizzonte; e, al mattino seguente, piovve.

 Stavo al riparo sotto l'ampio cornicione del mobilificio Pierucci guardando sulla strada l'acqua che s'ingorgava fra le serraglie delle sentine, e pensavo a Jenny che la sera avanti avevo baciato.

 <<Cio Jack>> mi gridò un giovane sconosciuto che arrancava nell'acqua della strada per raggiungere il riparo del mobilificio.

 <<Ciao>> risposi. <<Ma ..., perbacco, ... Giorgio!>>.

 <<Come stai Jack?>>.

 <<Bene. Ma tu, piuttosto, come mai sei qui?>>.

 <<Sto un paio di giorni da mia nonna>>.

 Giorgio viveva a Roma, e faceva il giornalista. Sedemmo sui gradini. Avevo un sacco di cose da dirgli, ma non ne feci nulla. Fu lui, invece, che mi portò un argomento dimenticato.

 <<Jack>>.

 <<Hum>>.

 <<Jack>>.

 <<E parla!>>.

 <<Che fine hai fatto con ... . Come si chiama?>>.

 <<Chi?>>.

 <<Ma sì ... , accidenti, ... Milena>>.

 <<Oh, và al diavolo>>.

 <<Non sono tornato per litigare con te>>.

 <<Ma io non litigo. Sei tu che rompi>>.

 Tacque un momento, poi mi ridomandò:

 <<Beh. Milena?>>.

 <<S'è sposata>>.

 <<Lo so>>.

 <<E come lo sai se nemmeno la conoscevi? Lei stava a Tarquinia>>.

 <<Da molto non la vedevi?>>.

 <<Sì>>.

 <<Ascolta. Jack, ho da raccontarti qualcosa>>.

 Tacqui nell'atteggiamento di chi attende. Giorgio esitò. C'era molta gente intorno. Continuava a piovere. "Accidenti", pensai. Ci mettemmo in un angolo, lui tutto circospetto, io con la mente ansiosa ed assorta.

 <<Mi sono fidanzato>> disse.

 <<Complimenti! Ma per dirmelo occorreva tanta cautela?>>.

 <<No, ma ascolta. La mia ragazza è tarquiniese>>.

 Mi feci più attento.

 Giorgio continuò: <<Ho saputo qualcosa da lei che ti riguarda>>.

 <<Mi conosce?>>.

 <<No, ma conosce Milena>>.

 <<Insomma, che c'è>>.

 <<Per non sposarsi tentò di uccidersi>>.

 La mia mente si svuotò:

 <<Chi?>>.

 <<Milena, per te>>.

 <<Per me?>>.

 <<Sembra>>.

 <<Non può essere>>.

 <<Perché>>.

 <<Perché era tanto tempo che non la vedevo>>.

 <<L'amavi?>>.

 Ebbi pietà di quella parola: <<Sì>>.

 <<Anche lei ti amava>>.

 <<No>>.

 <<Ma perché?>>.

 <<Senti, Giorgio, non imbrogliarmi. Ora io ho da dirti qualcosa>>. Lo trascinai sotto la pioggia al più vicino portone. <<Ascolta, Giorgio, e non contarmi balle. Quella ragazza non m'interessa più>>.

 <<Dici così perché sei ancora cotto>>.

 <<Forse sì. M'è rimasta una malattia, ma quel che dico è vero. Ascolta,  Giorgio, io non l' ho mai toccata quella ragazza>>.

 <<Questo non c'entra>>.

 <<Giorgio, non rompere. Quando lei si sposò non era fidanzata con me, ma con un'altro. Se voleva morire l'avrà fatto per lui. M'han detto che lei a Roma conobbe un inglese che la portava in America, e dopo una settimana lo sposò. Poi si lasciarono. Ora, dicono che lei vive a Roma con un tipo, non so chi sia>>.

 <<Ti voleva bene>>.

 <<Un accidenti! Le scrissi pure. Perché non ha risposto?>>.

 <<Questo non lo so. Ma tu non cercasti di vederla?>>.

 <<Sì, andavo sempre a Tarquinia, ma diventavo un idiota se la vedevo, e poi non la trovavo mai. Era sempre fuori>>.

 <<Mi fai pena>>.

 <<Non ho bisogno della tua pena>>.

 <<Fai pena perché badi alle chiacchiere come una serva>>.

 <<Giorgio, >> gli dissi più calmo <<non io ho ascoltato le chiacchiere, ma tu. Sentimi bene. T'ho gia detto che era fidanzata con un altro quando sposò. Se ci uccise lo fece per lui>>.

 <<Ma come possono dire che lo fece per te?>>.

 <<Queste sono chiacchiere. Tutti sapevano che ne ero innamorato; e qualunque cosa Milena abbia fatto, avranno pensato che l'ha fatta per me>>.

 <<Eppure la mia ragazza è amica di Milena>>.

 Anche quello era un fatto, ma non poteva esser vero.

 <<Beh>>, dissi a Giorgio, <<fumiamoci una sigaretta>>, e gliela porsi.

 <<Grazie>>.

 Spioveva ormai, e sotto l'ultime gocciole uscimmo a prendere un caffè.

 Quella sera non cercai gli amici. Scesi lungo il mare a guardar le lampare, ma trovai Jenny.  

***  

 Sull'isolotto del Pirgo, l'Hot Club Jazz suonava da un pezzo. L'aria era immobile e il sole tramontava quando arrivai con Jenny. Sulla pista trovammo gli amici. C'era Pippo, Giorgio, Tonino e tutti gli altri. C'era anche Giulia.

 Rosetta ebbe un guizzo quando mi vide:

 <<Ragazzi, Jack s'è innamorato>>.

 Per fortuna Jenny non capì o sembrò.

 Io per far finta di niente chiesi un ballo a Rosetta. Poi Giorgio venne a ricordarmi Milena, ma lo scansai. Mi trovai solo. Gli altri ballavano tutti. Anche Jenny ballava.

 Passai al bar a prendere una birra, m'appoggiai sugli scogli e bevvi. L'orchestra eseguiva Somethig's gotta give: "da te voglio qualcosa". Dalla spiaggia le alghe marcite mandavano forte odore di  mare, e il caldo velava le stelle lontane.

 Venne Jenny e mi disse: <<Balliamo>>.

 Sorrisi: <<Something's gotta give>>.

 Dopo un po' eravamo tutti smontati: faceva troppo caldo. Ci buttammo sulle sedie addosso ai tavoli a bere birra. Poi, per uno di quei casi così frequenti in comitiva, ci trovammo per le mani una bottiglia di Cognac che nessuno aveva pagato. Cominciammo a berla.

 <<Basta>> diceva Maria. <<Fa male>>.

 Ma di lì a pocò beveva anche lei. Fu così che un sorso dopo l'altro vuotammo la bottiglia. Eravamo fradici di sudore.

 Tony mi guardo fisso e sbotto a ridere.

<<Cameriere>> chiamò. <<Ci porti cognac>>.

 Bevemmo e ballammo ancora. Il caldo ci soffocava. Le danze si protrassero fino a tarda notte. Ci trovammo stanchi e ubbriachi lungo le strade della marina. Sedemmo sulle aiuole di Borgo Odeschalchi, poi scendemmo a cantare sulla scogliera.

 Era l'alba, e il sonno ormai ci vinceva. Udii di lontano la voce di Tony:

 <<Ragazzi, a casa>>.

 Ma la testa di Jenny s'era posata sulla mia spalla

 <<Something's gotta give>>, le dissi.

 Jenny sorrise, e la baciai mentre chiudeva gli occhi quasi addormentata.  

***  

 A mezzogiorno, quando a casa mi svegliai per il pranzo, avevo Jenny nel sangue.

 Dopo mangiato uscii mentre il sole batteva a picco sull'asfalto della città. Mi fermai al chiosco a bere una gassosa, poi andai dove abitava Jenny.

 Quando la padrona di casa venne ad aprire mi disse che la signora dormiva. Insistetti, e lei quasi mi cacciò via. Ma, intanto Jenny s'era svegliata. Udii la sua voce che diceva:

 <<Faccia entrare>>.

 Lei si presentò nell'ingresso ancora insonnolita e in vestaglia da camera.

 <<Vuole mangiare?>> le chiese la padrona.

 <<Vorrei solo del caffè freddo>> rispose <<e qualche biscotto>>.

 Mi fece entrare nella sua stanza.

 <<Perché sei venuto ?>> mi disse.

 Io non risposi.

 Venne la padrona con il caffè e i biscotti.

 Quando la donna se ne andò, Jenny mi abbracciò, e dopo esserci baciati le dissi:

 <<Chiudiamo la porta>>.

 Stavolta fu lei che non rispose. Imbarazzata andò allo specchio a ravvivarsi i capelli. Io chiusi a chiave la porta.  Jenny si voltò lentamente verso di me e mi guardò senza parlare. Ora le ero accanto. Lei mi abbracciò. Lentamente. Senza parole. La vestaglia s'era aperta sul seno. Lentamente. C'era il canto delle cicale. La vestaglia era in terra. Jenny sul letto.

 <<Jack>>, gridò, <<o Jack!>>.

 Per me. Per te. Questo. Solo questo. E' tutto.  

***  

 Jenny era ancora calda. Restrava nuda coi capelli appiccicati di sudore alla fronte; bionda, gli occhi chiari eccitati. Dove il sole non l'aveva bruciata, la sua carne era bianca. Stava supina, e mi guardava sorridendo, poi prese un lembo del lenzuolo e si coprì tutta. Allora mi chinai sul suo orecchio e le dissi qualcosa che non ricordo.

 Lei divenne un attimo triste, poi si levò sulle ginocchia a fu nuda. Ci alzammo per andare alla finestra che da lontano guardava il mare. Per il caldo umido, le cose più lontano tremolavano come se l'aria fosse acquosa, e il cielo sembrava riflesso da uno specchio bagnato. Facemmo una doccia fredda e tornammo sul letto.

 Così per più giorni non vedemmo gli amici.

 Al mattino andavamo sulle spiagge fuori città; e la sera, col fresco, salivamo sulle colline, e facevamo all'amore dietro un rovo o in un fosso.

 Un pomeriggio andammo alla spiaggia di Sant'Agostino. Ci distendemmo sulla rena. Jenny era abbronzata dal sole.

 <<Prendiamo una barca>> disse.

 <<E' una buona idea>>.

 <<Vado io a cercare un noleggio>> disse e si allontanò un po'.

 Rimasi solo. Intorno molti bagnanti. Un bambino raccoglieva ciottoli e li lanciava in mare facendoli rimbalzare sul filo dell'acqua. Il colore del cielo era intenso quel pomeriggio. Il sole era già all'orizzonte, e si allungava in lunghi riflessi di luce fino alla spiaggia.

 Forse fu quel bambino. Ora pensavo a Milena quando ragazzo la rincorrevo sui ciottoli del mio paese. A quel tempo m'ero accorto che il cielo si tingeva di rosso al mattino, e che quando le nuvole salivano dal mare fuggivano dietro i monti. Ora l'avevo perduta, ma senza rimpianto.

 Jenny tornò, ed io m'accorsi di amarla solo da quel momento. Lei mi indicò una barca, e

 <<Presto!>> mi disse. <<Che‚ il sole tramonta>>.

 Ci spingemmo al largo, e lei volle che facessimo il bagno nudi. Nuotammo a lungo e ci rincorremmo sott'acqua. L'amavo per quel suo corpo nudo e sereno, la sua volontà di vivere, il suo piacere e il suo amore.

 L'amavo, ed ora l'avevo fra le braccia, e la barca oscillava e intorno era buio.

 <<Jack,>> mi disse <<per sempre>>.  

***  

  Puntualmente, Tony ogni mattina era passato a fischiare sotto la mia finestra. Mia madre gli diceva che non sapeva dov'ero. E un giorno Tony decise seriamente di capirci qualcosa.

 L'indomani al mare riunì gli amici, e chiese se avevano più visto Jack. Ma nessuno sapeva niente. Uno disse:

 <<Avrà sposato>>. E tutti risero.

 <<E chi?>> chiese Giorgio con negligenza.

 <<Ma?... L'americana>>.

 L'insinuazione tormentò Tony per qualche girono. Certo, non credeva che avessi sposato, ma il fatto dell'americana gli sapeva di bruciato.

 Proprio allora Tony s'era preso la cotta per una ragazza che da poco era entrata in comitiva. Tony è lungo di mano, così un pomeriggio lo trovai in un fosso a far l'amore mentre  tornavo con Jenny dalla campagna.

 Ci guardammo fissi, e Tony voleva sfottermi, ed io volevo sfottere lui, ma ci trovammo abbracciati morti dal ridere.

 <<Tony!>>.

 <<Jack!>>.

 Tornammo in città tutti e quattro insieme. Tony aveva fatto le presentazioni con Milly, così chiamava la sua "piccola". Da principio Milly era rimasta imbarazzata per quell'incontro, poi la vidi prender confidenza con Jenny.

 Andammo al cinema, e fu solo dopo cena che Jenny disse a Tony:

 <<Partirò fra qualche giorno>>.

 Io non avevo ben capito:

 <<Cosa?>>.

 Jenny cercò di non guardarmi:

 <<Devo tornare in America>>.

 Non dissi niente, ma più tardi quando la accompagnai a casa, volli capire, e solo allora seppi che era sposata. Jenny mi abbracciò e disse:

 <<Non c'è niente da fare, Jack, la missione in Italia di mio marito è finita. Torniamo in America>>.

 <<Ma allora...>>.

 <<Allora niente, Jack. Parto. Non posso far niente>>.

 Ora piangeva sulla mia spalla.

 <<Quando?>> le chiesi.

 <<Il cinque Settembre devo trovarmi a Roma>>.

 <<Abbiamo ancora una settimana>>.

 La settimana non era scaduta, e Jenny ricevette un telegramma dove il marito le diceva di procrastinare al diciannove l'incontro a Roma a causa di nuovi impegni.

 Passavano i giorni, e ormai l'estate declinava senza che una nuvola portasse in po' d'ombra. Quella stagione fu la più lunga e calda ch'io ricordi nella mia vita. Jenny era sempre più bella, al colmo di un amore che si prolungava oltre il confine di un'avventura.

 Jenny mi disse:

 <<Voglio sposarti>>.

 Non risposi.

 <<Non mi vuoi? Divorzierò da mio marito>>.

 Ma un giorno fu come destarsi col cuore improvvisamente invecchiato. Quel cielo, quel mare non ci appartengono più. Non è più estate. Le spiagge dono deserte. Ognuno è tornato al lavoro. Solo noi restiamo coi nostri sogni a guardare il mare che batte e scivola sulle seccaie.

 Dissi a Jenny:

 <<Jenny, se io lavorassi, se potessi darti qualcosa>>.

 Lei mi abbracciò:

 <<Ma questo non ha importanza. Capisci?>>.

 <<Non dirmi niente, non parlare, ti prego, se m'ami non parlare, rimani così, senza parlare, come fosse per sempre>>.