Alberto Palmucci
J E N N Y
Quando mi
svegliai erano le tre e un quarto del pomeriggio.
<<Accidenti>> dissi, <<ho fatto tardi>>.
Mi alzai
ed andai a lavarmi perché ero matido di sudore. Faceva caldo per Giugno
quell'anno.
Finii,
presi i libri ed uscii. Le strade erano assolate e deserte. Guardai l'orologio:
venti minuti alle quattro.
<<Quaranta
minuti di ritardo>> pensai.
<<Ciao
Jack>> m'intesi salutare.
Non so
perché gli amici mi hanno sempre chiamato Jack.
<<Ciao
Giulia>>.
<<Dove
vai?>>.
<<Dovrei
andare a lezione. Gli esami sono prossimi, ed io sono in ritardo sui programmi.
E tu?>>.
<<Vado
in su,>> disse <<a studiare. Ho bisogno di aria fine. Sono
esaurita>>.
<<Anch'io.
Cosa studi?>>.
<<Italiano.
Sono indietro e ho paura. A noi privatisti ci mazzuolano>>.
<<A
chi lo dici. Ho ventidue anni ormai, e non vorrei esere respinto>>.
Subito mi
pentii di aver detto la mia età. Giulia aveva trent'anni, si era messa a
studiare a ventotto, ed ora si preparava per il esami di Ragioneria.
<<Tu
sei forte in Italiano>> disse. <<Vieni con me. Prepareremo qualcosa
insieme>>.
Guardai
l'ora: le tre e tre quarti.
<<Vengo
con te>> risposi.<<Ormai è tardi per la mia lezione di
matematica>>.
C'incamminammo,
e Giulia mi parlò delle sue apprensioni per gli esami. La strada era lunga e
ripida.
Già i
grandi palazzi della città rimanevano alle nostre spalle. Piccole case e
osterie ci venivano incontro. Sorpassammo un orto, poi la caserma della Scuola
di Guerra; infine salimmo sulla collina del convento dei Cappuccini. La facciata
del monastero era assolata. Noi ci sedemmo sotto la croce dell'obelisco ai
margini del piazzale dove c'era un po' d'ombra. Un frate si avvicinò.
<<Auguri>>
ci disse.
<<Ma
padre,>> gli risposi <<siamo venuti a studiare>>.
Ci guardò
incredulo.
<<Dio
vi benedica>> disse, e se ne andò nel sole.
Ridemmo.
Giulia tirò
fuori dalla borsa l'antologia italiana, e cominciammo a ripassare Leopardi.
<<Leggi
tu>> disse.
Cominciai:
<<Silvia rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ...>>
<<Ridenti
e fuggitivi>> continuò Giulia, e mi guardò fissa negli occhi.
Io pensavo
a Milena che s'era sposata. Giulia mi passo un braccio sulle spalle. Mi intesi
imabarazzato. Continuai a leggere:
<<... Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi e quinci il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch'io sentiva in seno ...>>
Giulia
m'interruppe.
<<Sono
tanto infelice>> disse e passò le dita fra i
miei capelli.
Stupidamente
le chiesi: <<Cos'hai?>>.
Lei senza
rispondere mi abbracciò, ed io restai fermo.
<<Sto
diventando una puttana>> disse.
Allora,
non so per quale inibizione,
<<Giulia,>>
le dissi <<smettila. Non parlare così>>.
Continuava
a baciarmi sul collo.
<<Smettila>>
le dissi ancora.
<<Sto
diventando una puttana>>.
<<Finiscila.
Non devi parlare così. Vieni via. Su, andiamo a farci una camminata>>.
Non so
perché la respinsi, però la condussi sempre più lontano dalla città..
Andammo in
su, per le mulattire fiancheggiate dai rovi; e, giunti sul colle della
Ficoncella, ci sedemmo. Eravamo stanchi. ci togliemmo le scarpe, e ci bagnammo i
piedi nelle acque solfuree.
Stesi
sull'erba, guardavo le nuvole che dal mare andavano verso Tarquinia. Là un
giorno m'ero innamorato. Giulia mi venne sopra. Io non mi mossi. Cominciò a
baciarmi dappertutto.
<<Sto
diventando una puttana>> disse.
Ora, le
nuvole invadevano le valli, e Tarquinia diventava sempre più confusa nella mia
mente.
In via
Cencelle, gruppi di giovani sedevano annoiati sui gradini del mobilificio
Pierucci. Lì, trovai gli amici e sedetti. Si parlò senza calore. Stavamo con
gli occhi rivolti in basso. Solo quando passava una ragazza, qualcuno sollevava
gli occhi, e mandava qualche fischio.
All'ora
del pranzo tornai a casa stanco. Mangiai, dormii, alle sei mi alzai perché
doveva venire Rosetta. Con la scusa di insegnarmi musica, amoreggiavamo un po'.
La sera, poi, tornai con Giulia, e la giornata passò così. Non avevo studiato.
Dopo cena uscii ed andai al Bar Nazionale dove gli amici facevano comunella.
Gianni, il proprietario del locale, era un ragazzone simpatico. Parlai un pò
con lui, feci una passeggiata ed andai a letto.
Passarono
i giorni senza che combinassi niente, finché giunse il venti di Giugno.
L'indomani avevo gli esami. Solo allora mi resi conto di quanto poco avessi
studiato. Dapprima fui preso dal panico, poi mi intorpidii.
Avevo
fatto domanda di esami a Roma. Mio zio, che ci abitava, mi aveva invitato a
trascorrere da lui i giorni delle prove. Quindi, la sera del venti partii in
treno da Civitavecchia.
Avevo
portato con me tutti i libri. In treno, cercavo di studiare, ma il ritmo delle
ruote mi infastidiva. avevo dinanzi una donna grassoccia. Guardava continuamente
intorno e, di quando in quando, mi fissava. Le stava accanto un'altra donna
assorta nei propri pensieri. La guardo. Non mi piacciono le sue scarpe. Salgo
con lo sguardo lungo le gambe. Lei le accavalla e lascia vedere le ginocchia,
poi le copre. Ha in po' di pancia e il seno calato. La fisso e vorrei che se ne
accorgesse. L'uomo che mi è accanto è forse suo marito. Fuma, e l'aria spinge
il fuma verso di me. Volto la faccia dall'altra parte, e guardo fuori dal
finestrino. Piove. Tutto è grigio. I caseggiati di Civitavecchia si allontanano
sempre di più, e sempre più astratte appaiono le luci gialle del porto.
<<Meglio a chi il senso smarrì dell'essere,
meglio quest'ombra, questa caligine>>.
M'erano
venuti in mente i versi del Carducci.
<<Accidenti>> pensai. <<Non so nemmeno
guardar le cose con i miei occhi>>.
Roma mi
stordì. Quella sera andai a letto molto tardi perché avevo cercato di
studiare. Nella notte dormii un sonno inquieto e senza sogni.
L'indomani,
la prova scritta di Italiano andò bene. Il fatto mi diede fiducia. Nel
pomeriggio studiai. La sera andai a passeggiare per le vie del centro. Camminai
a lungo. Mi piaceva guardare la gente. Entrai al Brodwey dove stavano girando il
film Buonanotte avvocato con Alberto Sordi. Un gran pezzo di figliola
ballava un mambo indiavolato. Le mie viscere si commossero. Poi il regista mi
cacciò via. Tornai a camminare finché giunsi in Piazza delle Esedra. Ero
stanco. Mi appoggiai alla colossale fontana. guardavo in su lungo il getto
d'acqua che si rivolge al cielo, e non vedevo più i caffè della piazza, né il
traffico di Via Nazionale. Solo il ritmo di un jazz accompagnava il mio sguardo.
Considerai le naiadi della fontana. Leda col cigno. Pensai al peccato di quelle
donne. Leda era lì con le sue forme nude, impudica nella stretta del cigno; ma
l'acqua che le scendeva sui seni sembrava lavarla.
Anche le
prove scritte di Latino e di Matematica andarono bene. Proprio perché non avevo
studiato, questi successi mi insuperbirono al punto che, nei dieci giorni che
intercorsero per gli orali, non combinai niente.
Ero
tornato a Civitavecchia. Passavo tutto il tempo dormendo e passeggiando sul
mare. Guardavo le ragazze, e non studiavo.
Il giorno
degli orali del gruppo scientifico, andai a Roma al mattino e ritornai la sera
stessa. In matematica me l'ero cavata con una buona dose di intuito, ma in
Fisica ed in Scienze ero crollato. Nel complesso non ero scontento. Puntavo
tutto sul gruppo letterario.
Passò
un'altra settimana, e il diciannove Luglio mi presentai agli esami.
La testa
mi doleva. Mi ero alzato presto al mattino. Il giorno avanti avevo studiato fino
a notte tarda. Avevo letto tutta la letteratura latina, tutta la storia e dieci
canti del Paradiso. Però, nell'attesa di essere interrogato, i miei nervi
crollarono. Era mezzogiorno. Dalle otto aspettavo. Appoggiato alla finestra,
quelle ore m'erano sembrate un tempo così lungo che mi smemorava. Ad ogni
istante che passava sentivo che i miei nervi si indebolivano. Avevo perso
fiducia, ed ero ansioso di venire alla fine. Accesi una sigaretta. Era la decima
nella mattinata.
Pian piano
i miei nervi si stesero, ma ero preso da una perplessità nella quale salivano e
navigavano vaghi strati emotivi sospesi e dimenticati. Guardo fuori la finestra.
In una specie di allucinazione mi appare il mercato di Campo di Fiori ed il
traffico di Corso Vittorio; al di là, Piazza Venezia, l'Altare della Patria; più
in su, Via Veneto, Via Nazionale, Piazza Esedra con la fontana, Leda col cigno,
ma così lontana. Un giorno, guardano le stelle, volevo morire.
Qualcuno
mi chiama. Un compagno mi scuote.
<<Chiamano
te?>> disse.
<<Chi?>>.
M'intesi
chiamare di nuovo.
<<Presente>>
risposi ed andai verso il tavolo dei professori. Sedetti. M'interrogarono.
M'ero
ormai ripreso. Questionai con il professore di filosofia.
<<Non
posso pormi come puro spirito>> gli dicevo.
Lui mi
disse: <<E allora Dante? Non concepì puri spiriti nel Paradiso?>>.
Gli
argomentai che in Dante quei puri spiriti vivono di concretezza artistica.
Alla fine,
il professore barbugliò qualcosa che non capii, ma quando mi alzai dalla sedia
per passare al banco di Latino, sapevo che mi avrebbe promosso.
Le altre
materie andarono bene. Incantai le professoresse di Latino e di Italiano dicendo
loro che non condividevo la traduzione di un verso di Orazio fatta dal
commentatore del testo. In proposito, raccontai come sorpreso, nella traduzione,
dalla bellezza del verso, mi ero lasciato trasportate da un'onda di immagini, ed
avevo composto una mia poesia. Me la fecero recitare, e così finirono gli
esami.
Uscii per
le strade che tutto mi sembrava bello, ma una nausea sottile cominciava a
prendermi lo stomaco. Avevo fumato troppo.
Presi il Sessantaquattro per la stazione Termini; e, quando passai per
Piazza Esedra, la fontana era secca. Gli spazzini raschiavano quella poc'acqua
rimasta in fondo alla vasca. Sotto il sole rovente di Luglio, Roma bruciava.
Leda, immobile nel bronzo calcinato di sole, sembrava una prostituta.
Volevo
tornare a Civitavecchia, ma invece andai da mio zio. Presi il Trentanove per i
Parioli, e mezz'ora dopo ero seduto a pranzo.
Non avevo
fame. Dopo i primi bocconi avvertii dei conati di vomito. Un'altra forchettata
di spaghetti e avrei rigettato.
<<Non
ho fame>> mi scusai. <<Ho studiato molto in questi ultimi tempi, e
sono stanchissimo. Sarà bene che torni a casa>>.
Ma in
effetti non ne avevo voglia. Roma mi piaceva troppo.
<<C'è
un treno che passa da Trastevere alle sedici e tre>> disse mio zio.
<<Se fai presto, lo prendi>>.
Cinque
minuti dopo era sul C, e alle sedici sul treno.
Era un
accelerato, e questo mi indisponeva: si sarebbe fermato ad ogni paesino.
La
stazione era gremita di gente che andava al mare: famiglie, gruppi di giovani,
qualche lavoratore.
Quando il
treno partì mi trovai in mezzo a una comitiva di allegroni che mi infastidiva.
<<Come
se non fossi capace di far meglio di loro>> pensai.
<<Ciao
moro>> mi disse una di quelle ragazze che avevano i pantaloni corti.
<<Ciao
piccola>>.
<<Perché
mi chiami piccola? Siamo mica nel Texas>>.
<<Sembra
di sì>>.
<<E
perché?>>.
<<Le
cow-girl portano i pantaloni>>.
La ragazza
sorrise.
<<Dovresti
portarli sempre>> le dissi.
<<Si?
Ti piacciono?>>.
<<I
pantaloni?>>.
<<E
che altro?>>.
<<Le
gambe>>.
Lei rise.
Mi sedetti dalla sua parte.
<<Dove
scendi?>> mi chiese.
<<A
Civitavecchia. E tu?>>.
<<A
Fregene>>.
<<Mi
dispiace>>.
<<Hun>>
fece lei.
Il treno
fermò alla prima stazione.
<<Magliana>>
gridò il ferroviere.
La
comitiva si riversò sui finestrini.
<<Hai
belle gambe>> dissi alla ragazza sfiorandole il ginocchio con una mano.
<<Fermo!>>
mi disse in un grido soffocato.
Il treno
ripartiva. Tutti tornarono ai loro posti.
La ragazza
sembrava non considerarmi più. Non mi guardava, e se parlavo non rispondeva.
Allora, mi buttai sullo schienale cercando di assopirmi. Passò un po' di tempo,
ed intesi che, nel rullio del treno, il ginocchio della ragazza batteva sul mio.
Mi sollevai e vidi che lei fingeva di dormire. La comitiva s'era afflosciata.
Ognuno sonnecchiava in un angolo. Molta gente era scesa alle stazioni passate.
Mi avvicinai col viso e le dissi:
<<Andiamo
via da qui>>.
Non mi
rispose.
<<Vieni>>.
<<Ma
dove?>>.
<<Vieni>>.
Ci alzammo
e percorremmo tutto il treno fino al vagone di coda. Non c'era nessuno. Ci
mettemmo sull'ultimo sedile al di là del quale non c'era che una lunga fuga di
rotaie.
<<Ciao
moro>> mi gridò di là dal marciapiedi.
<<Ciao
picc ... . Come ti chiami?>>.
La ragazza
gridò forse il suo nome, ma già il treno ripartiva, e il rumore degli
stantuffi coprì la sua voce.
Andai a
sdraiarmi su un sedile e m'assopii.
Il sole
era ancora alto quando mi svegliai. Nei sedili accanto s'erano accomodati un
contadino e due suore.
Guardai
fuori dal finestrino. Il mare brillava come acciaio liquido sotto i raggi del
sole, e le onde scivolavano cautamente sulla secca fino agli scogli bruni della
riviera.
Se dal
mare non fosse arrivata la brezza, c'era da crepar di caldo nel vagone. Il
contadino dormiva, le suore sbuffavano qualche Ave Maria. Cambiai posto. Non
restava che attendere di arrivare.
Passarono
le ultime stazioni, Santa Severa, Santa Marinella, poi finalmente vidi lontana
Civitavecchia. Sulla via Aurelia, gruppi di giovani tornavano dagli stabilimenti
balneari; e, appena fui a Civitavecchia, incontrai degli amici che ritornavano.
Feci con loro un po' della strada, poi li lasciai al semaforo di via Cencelle e
me ne andai a casa.
Il giorno
dopo mi svegliai tardi ed andai a passeggiare lungo mare. Il caldo mi opprimeva,
ma non avevo voglia di fare il bagno. Dal muretto vidi gli amici sulla spiaggia.
Scesi, ed essi mi festeggiarono.
<<Non
fai il bagno?>> mi domandò Tonino.
<<No.
Sono fiacco. E poi sono bianco, e non ho nemmeno il costume>>.
Tony
tornava a riva con un gruppo di ragazze.
<<Ciao
Jack>> mi gridò
<<Ciao>>.
<<Beh,
non fai il bagno?>>.
<<Non
ne ho voglia>>.
<<Buttiamolo
a mare>> gridarono le ragazze.
Me la
squagliai, ma poco dopo tornai. Sapevo d'aver fatto una figuraccia.
Una
ragazza mi disse: <<Sei così permaloso?>>.
<<Oh,
no>> mi scusai. <<E' perché sono senza costume>>.
<<Ehi>>
dissi a Pippo, <<dove hai pescato tante ragazze?>>.
<<Io
no. Loro hanno pescato me>>.
Risero
tutti.
Dopo un
po' tornammo a casa.
Nel
pomeriggio andai con Giulia. Mi chiese dei miei esami, mi parlò dei suoi. Forse
anche lei ce l'avrebbe fatta. Ci arrampicammo su per le strade che vanno ai
monti, ma io guardavo, al di là, verso Tarquinia.
<<Cos'hai?>>
mi chiese Giulia. <<Sei distratto>>.
<<Sono
stanco per gli esami>> risposi.
Giulia mi
baciò. Io le morsi le labbra: "non verrò più con te". Il sole
tramontava, e Tarquinia era una macchia scura sull'orizzonte.
La notte
ci sorprese fra le stoppie.
<<Guarda! Le lucciole>> disse Giulia.
<<Sì>>.
Erano
assurde. Non per Giulia le avevo sognate.
L'indomani
lei mi cercò sulla spiaggia, ma io ero andato a pescare fuori città. Passarono
alcuni giorni, e quando mi dissero che non veniva più al mare, tornai fra gli
amici.
M'ero
svegliato coi primi rumori che salivano dal mercato del pesce. Udivo il rimbalzo
dei carretti sulle buche della strada, e già dalle bancarelle partiva il primo
richiamo dei venditori.
<<Pesciuhu
vihivoohoho>> gridarono i Pozzuolani.
Quando mi
alzai, il sole era già alto sui monti di Tolfa. Attraverso la finestra della
stanza di rimpetto vedevo una ragazza che si lavava. Udivo persino il risucchio
dell'acqua, ma non riuscivo a vederla più giù del seno. Rimasi in agguato e,
quando si sollevò dalla vasca, la vidi un attimo nuda prima che
l'accappatoio la coprisse.
Cominciai
a farmi la barba. Lo specchio appeso all'imposta del davanzale rimandava le
immagini della stanza.
La ragazza
passò nella luce della finestra. Era in vestaglia stavolta. Non distinguevo
bene il suo viso, ma i suoi capelli erano biondi.
Alle otto,
udii il fischio di Tony che mi chiamava da sotto la finestra. Lui passava sempre
a prendermi, ma non saliva in casa, fischiava. Insieme andammo al porticciolo
della Lega Navale dove c'era il suo cutter. C'inguazzammo i piedi nell'acqua
scura di alghe marcite, fra gli scogli di protezione e la fogna che serviva pure
da banchina. Alberammo le vele, e via, verso quella meta azzurra che è
l'orizzonte.
Avevo una
mano nell'acqua, e mi piaceva guardare la scia che lasciava.
<<Accidenti>> mi gridò Tony. <<Sfido io che
la barca pende! Togli quella mano>>.
Mi stesi a
prua sotto il sole che mi bruciava. Tony cominciò a cantare:
<<Quell'erba
nascosta nel fondo del mare
valla
a cercar.
Stanotte
scendi in fondo al mar,
si
chiama oblio...>>
<<Tony>>
gli dissi sfottendolo, <<cosa devi dimenticare>>?
<<Niente.
Mi piace il mare>>.
Navigando
verso il largo andavamo incontro ad onde lunghe sulle quali la barca prima si
alzava e poi ricadeva con un tonfo. D'un tratto, decidemmo di ritornare.
A riva
trovammo gli amici al completo. Andammo tutti al Pirgo a fare il bagno.
La
spiaggia era affollata, e il mio sguardo cercava soprattutto il corpi delle
ragazze stese nel sole. Dopo il bagno, ognuno affondò nella rena, ognuno coi
suoi desideri.
Il sole
m'aveva asciugato la pelle, ma gocciole di sudore mi cominciavano a calar dalle
tempie e dai fianchi. Abbandonato nella rena, sentivo come se tutto il mondo si
riposasse. Il mare fluiva appena sulla riva, e lisciava i sassi affioranti.
Erano per lo più mattoni provenienti dagli scarichi di macerie del dopoguerra,
che il mare aveva roso e riportati a riva.
Fu allora
che Tony mi presentò Jenny.
<<Piacere,
Jack>> dissi.
<<Sei
inglese?>> mi domandò la ragazza con una strana pronuncia.
<<No>>.
<<Io
... sono ... americana>>.
<<My name is Robert>> dissi, <<but
the friends call me Jack>>.
Jenny sorrise.
<<Can you understand if I speak English?>> disse.
<<A little, if you speak very slowly>>.
Tony era
seccato perchè non capiva.
<<Mi
sta domandando>>, lo informai <<se parlo inglese>>.
<<Prefisco
parlare italiano>> interloquì Jenny. <<Vorrei imparare bene la
vostra lingua>>.
<<Resterai
molto in Italia?>> le chiesi.
<<Credo
tutta l'estate>>.
Le sorrisi
e lei mi guardò con uno sguardo che non capivo. Aveva quella bellezza che solo
le donne del nord hanno se solo belle.
All'ora
del pranzo tornammo tutti a casa, ma prima accompagnammo l'americana.
Al portone
le chiesi:
<<Can I go to you in this night? We can go to
cinema>>.
Lei
sorrise del mio cattivo Inglese, e nel modo più semplice mi rispose:
<<Yes, with pleasure>>.
Credevo
che nessuno ci avesse capiti, invece quando quella sera al cinema arena Bernini,
vidi arrivare tutti gli amici a prendermi in giro, mi diedi dello scemo. Per
maggior disgrazia c'era anche Giulia.
****
<<Ieri
gli amici mi hanno preso in giro>> dissi a Jenny.
<<Perché?>>.
<<Perché
ero con te>>.
<<Non
capisco. Forse non mi vogliono?>>.
<<Oh
no, non é questo>>.
<<E
perché allora?>>.
<<Vedi?
I mei amici sono fatti così. Non devi avertela a male. Sono fatti così>>.
Non disse
più niente.
Giulia si
avvicinò:
<<Ciao Jack>>.
<<Ciao>>.
<<Ti
sei fatto la fidanzata?>>.
<<No>>
risposi. <<Ma tu dove sei stati tutti questi giorni?>> le chiesi con
ipocrisia.
Lei non
rispose e mi guardò male. Si lisciò le mani sul vestito e raggiunse un gruppo
di amici.
Non era il
caso di fare il bagno. Grossi nuvoloni salivano da ponente e già oscuravano il
sole.
<<Un
temporale>> dissi a Tony che si avvicinava.
<<Accidenti>>, bifonchiò, <<non è nemmeno
Agosto, e già il tempo si guasta>>.
Ma quel
giorno non piovve. Dal mare soffiava un vento caldo e umido che appiccicava
addosso la polvere dei cumuli di macerie che si trovavano ancora in certi angoli
a ricordarci i bombardamenti subiti dalla città. Nella sera si videro lampi
sull'orizzonte; e, al mattino seguente, piovve.
Stavo al
riparo sotto l'ampio cornicione del mobilificio Pierucci guardando sulla strada
l'acqua che s'ingorgava fra le serraglie delle sentine, e pensavo a Jenny che la
sera avanti avevo baciato.
<<Cio
Jack>> mi gridò un giovane sconosciuto che arrancava nell'acqua della
strada per raggiungere il riparo del mobilificio.
<<Ciao>>
risposi. <<Ma ..., perbacco, ... Giorgio!>>.
<<Come
stai Jack?>>.
<<Bene.
Ma tu, piuttosto, come mai sei qui?>>.
<<Sto
un paio di giorni da mia nonna>>.
Giorgio
viveva a Roma, e faceva il giornalista. Sedemmo sui gradini. Avevo un sacco di
cose da dirgli, ma non ne feci nulla. Fu lui, invece, che mi portò un argomento
dimenticato.
<<Jack>>.
<<Hum>>.
<<Jack>>.
<<E
parla!>>.
<<Che
fine hai fatto con ... . Come si chiama?>>.
<<Chi?>>.
<<Ma
sì ... , accidenti, ... Milena>>.
<<Oh,
và al diavolo>>.
<<Non
sono tornato per litigare con te>>.
<<Ma
io non litigo. Sei tu che rompi>>.
Tacque un
momento, poi mi ridomandò:
<<Beh.
Milena?>>.
<<S'è
sposata>>.
<<Lo
so>>.
<<E
come lo sai se nemmeno la conoscevi? Lei stava a Tarquinia>>.
<<Da
molto non la vedevi?>>.
<<Sì>>.
<<Ascolta.
Jack, ho da raccontarti qualcosa>>.
Tacqui
nell'atteggiamento di chi attende. Giorgio esitò. C'era molta gente intorno.
Continuava a piovere. "Accidenti", pensai. Ci mettemmo in un angolo,
lui tutto circospetto, io con la mente ansiosa ed assorta.
<<Mi
sono fidanzato>> disse.
<<Complimenti!
Ma per dirmelo occorreva tanta cautela?>>.
<<No,
ma ascolta. La mia ragazza è tarquiniese>>.
Mi feci più
attento.
Giorgio
continuò: <<Ho saputo qualcosa da lei che ti riguarda>>.
<<Mi
conosce?>>.
<<No,
ma conosce Milena>>.
<<Insomma,
che c'è>>.
<<Per
non sposarsi tentò di uccidersi>>.
La mia
mente si svuotò:
<<Chi?>>.
<<Milena,
per te>>.
<<Per
me?>>.
<<Sembra>>.
<<Non
può essere>>.
<<Perché>>.
<<Perché
era tanto tempo che non la vedevo>>.
<<L'amavi?>>.
Ebbi pietà
di quella parola: <<Sì>>.
<<Anche
lei ti amava>>.
<<No>>.
<<Ma
perché?>>.
<<Senti,
Giorgio, non imbrogliarmi. Ora io ho da dirti qualcosa>>. Lo trascinai
sotto la pioggia al più vicino portone. <<Ascolta, Giorgio, e non
contarmi balle. Quella ragazza non m'interessa più>>.
<<Dici
così perché sei ancora cotto>>.
<<Forse
sì. M'è rimasta una malattia, ma quel che dico è vero. Ascolta,
Giorgio, io non l' ho mai toccata quella ragazza>>.
<<Questo
non c'entra>>.
<<Giorgio,
non rompere. Quando lei si sposò non era fidanzata con me, ma con un'altro. Se
voleva morire l'avrà fatto per lui. M'han detto che lei a Roma conobbe un
inglese che la portava in America, e dopo una settimana lo sposò. Poi si
lasciarono. Ora, dicono che lei vive a Roma con un tipo, non so chi sia>>.
<<Ti
voleva bene>>.
<<Un
accidenti! Le scrissi pure. Perché non ha risposto?>>.
<<Questo
non lo so. Ma tu non cercasti di vederla?>>.
<<Sì,
andavo sempre a Tarquinia, ma diventavo un idiota se la vedevo, e poi non la
trovavo mai. Era sempre fuori>>.
<<Mi
fai pena>>.
<<Non
ho bisogno della tua pena>>.
<<Fai
pena perché badi alle chiacchiere come una serva>>.
<<Giorgio,
>> gli dissi più calmo <<non io ho ascoltato le chiacchiere, ma tu.
Sentimi bene. T'ho gia detto che era fidanzata con un altro quando sposò. Se ci
uccise lo fece per lui>>.
<<Ma
come possono dire che lo fece per te?>>.
<<Queste
sono chiacchiere. Tutti sapevano che ne ero innamorato; e qualunque cosa Milena
abbia fatto, avranno pensato che l'ha fatta per me>>.
<<Eppure
la mia ragazza è amica di Milena>>.
Anche
quello era un fatto, ma non poteva esser vero.
<<Beh>>,
dissi a Giorgio, <<fumiamoci una sigaretta>>, e gliela porsi.
<<Grazie>>.
Spioveva
ormai, e sotto l'ultime gocciole uscimmo a prendere un caffè.
Quella
sera non cercai gli amici. Scesi lungo il mare a guardar le lampare, ma trovai
Jenny.
***
Sull'isolotto
del Pirgo, l'Hot Club Jazz suonava da un pezzo. L'aria era immobile e il sole
tramontava quando arrivai con Jenny. Sulla pista trovammo gli amici. C'era
Pippo, Giorgio, Tonino e tutti gli altri. C'era anche Giulia.
Rosetta
ebbe un guizzo quando mi vide:
<<Ragazzi,
Jack s'è innamorato>>.
Per
fortuna Jenny non capì o sembrò.
Io per far
finta di niente chiesi un ballo a Rosetta. Poi Giorgio venne a ricordarmi
Milena, ma lo scansai. Mi trovai solo. Gli altri ballavano tutti. Anche Jenny
ballava.
Passai al
bar a prendere una birra, m'appoggiai sugli scogli e bevvi. L'orchestra eseguiva
Somethig's gotta give: "da te voglio qualcosa". Dalla spiaggia le
alghe marcite mandavano forte odore di mare,
e il caldo velava le stelle lontane.
Venne
Jenny e mi disse: <<Balliamo>>.
Sorrisi:
<<Something's gotta give>>.
Dopo un
po' eravamo tutti smontati: faceva troppo caldo. Ci buttammo sulle sedie addosso
ai tavoli a bere birra. Poi, per uno di quei casi così frequenti in comitiva,
ci trovammo per le mani una bottiglia di Cognac che nessuno aveva pagato.
Cominciammo a berla.
<<Basta>>
diceva Maria. <<Fa male>>.
Ma di lì
a pocò beveva anche lei. Fu così che un sorso dopo l'altro vuotammo la
bottiglia. Eravamo fradici di sudore.
Tony mi
guardo fisso e sbotto a ridere.
<<Cameriere>> chiamò. <<Ci porti
cognac>>.
Bevemmo e
ballammo ancora. Il caldo ci soffocava. Le danze si protrassero fino a tarda
notte. Ci trovammo stanchi e ubbriachi lungo le strade della marina. Sedemmo
sulle aiuole di Borgo Odeschalchi, poi scendemmo a cantare sulla scogliera.
Era
l'alba, e il sonno ormai ci vinceva. Udii di lontano la voce di Tony:
<<Ragazzi,
a casa>>.
Ma la
testa di Jenny s'era posata sulla mia spalla
<<Something's
gotta give>>, le dissi.
Jenny
sorrise, e la baciai mentre chiudeva gli occhi quasi addormentata.
***
A
mezzogiorno, quando a casa mi svegliai per il pranzo, avevo Jenny nel sangue.
Dopo
mangiato uscii mentre il sole batteva a picco sull'asfalto della città. Mi
fermai al chiosco a bere una gassosa, poi andai dove abitava Jenny.
Quando la
padrona di casa venne ad aprire mi disse che la signora dormiva. Insistetti, e
lei quasi mi cacciò via. Ma, intanto Jenny s'era svegliata. Udii la sua voce
che diceva:
<<Faccia
entrare>>.
Lei si
presentò nell'ingresso ancora insonnolita e in vestaglia da camera.
<<Vuole
mangiare?>> le chiese la padrona.
<<Vorrei
solo del caffè freddo>> rispose <<e qualche biscotto>>.
Mi fece
entrare nella sua stanza.
<<Perché
sei venuto ?>> mi disse.
Io non
risposi.
Venne la
padrona con il caffè e i biscotti.
Quando la
donna se ne andò, Jenny mi abbracciò, e dopo esserci baciati le dissi:
<<Chiudiamo
la porta>>.
Stavolta
fu lei che non rispose. Imbarazzata andò allo specchio a ravvivarsi i capelli.
Io chiusi a chiave la porta. Jenny
si voltò lentamente verso di me e mi guardò senza parlare. Ora le ero accanto.
Lei mi abbracciò. Lentamente. Senza parole. La vestaglia s'era aperta sul seno.
Lentamente. C'era il canto delle cicale. La vestaglia era in terra. Jenny sul
letto.
<<Jack>>, gridò, <<o Jack!>>.
Per
me. Per te. Questo. Solo questo. E' tutto.
***
Jenny era
ancora calda. Restrava nuda coi capelli appiccicati di sudore alla fronte;
bionda, gli occhi chiari eccitati. Dove il sole non l'aveva bruciata, la sua
carne era bianca. Stava supina, e mi guardava sorridendo, poi prese un lembo del
lenzuolo e si coprì tutta. Allora mi chinai sul suo orecchio e le dissi
qualcosa che non ricordo.
Lei
divenne un attimo triste, poi si levò sulle ginocchia a fu nuda. Ci alzammo per
andare alla finestra che da lontano guardava il mare. Per il caldo umido, le
cose più lontano tremolavano come se l'aria fosse acquosa, e il cielo sembrava
riflesso da uno specchio bagnato. Facemmo una doccia fredda e tornammo sul
letto.
Così per
più giorni non vedemmo gli amici.
Al mattino
andavamo sulle spiagge fuori città; e la sera, col fresco, salivamo sulle
colline, e facevamo all'amore dietro un rovo o in un fosso.
Un
pomeriggio andammo alla spiaggia di Sant'Agostino. Ci distendemmo sulla rena.
Jenny era abbronzata dal sole.
<<Prendiamo
una barca>> disse.
<<E'
una buona idea>>.
<<Vado
io a cercare un noleggio>> disse e si allontanò un po'.
Rimasi
solo. Intorno molti bagnanti. Un bambino raccoglieva ciottoli e li lanciava in
mare facendoli rimbalzare sul filo dell'acqua. Il colore del cielo era intenso
quel pomeriggio. Il sole era già all'orizzonte, e si allungava in lunghi
riflessi di luce fino alla spiaggia.
Forse fu
quel bambino. Ora pensavo a Milena quando ragazzo la rincorrevo sui ciottoli del
mio paese. A quel tempo m'ero accorto che il cielo si tingeva di rosso al
mattino, e che quando le nuvole salivano dal mare fuggivano dietro i monti. Ora
l'avevo perduta, ma senza rimpianto.
Jenny tornò,
ed io m'accorsi di amarla solo da quel momento. Lei mi indicò una barca, e
<<Presto!>>
mi disse. <<Che‚ il sole tramonta>>.
Ci
spingemmo al largo, e lei volle che facessimo il bagno nudi. Nuotammo a lungo e
ci rincorremmo sott'acqua. L'amavo per quel suo corpo nudo e sereno, la sua
volontà di vivere, il suo piacere e il suo amore.
L'amavo,
ed ora l'avevo fra le braccia, e la barca oscillava e intorno era buio.
<<Jack,>>
mi disse <<per sempre>>.
***
Puntualmente,
Tony ogni mattina era passato a fischiare sotto la mia finestra. Mia madre gli
diceva che non sapeva dov'ero. E un giorno Tony decise seriamente di capirci
qualcosa.
L'indomani
al mare riunì gli amici, e chiese se avevano più visto Jack. Ma nessuno sapeva
niente. Uno disse:
<<Avrà
sposato>>. E tutti risero.
<<E
chi?>> chiese Giorgio con negligenza.
<<Ma?...
L'americana>>.
L'insinuazione
tormentò Tony per qualche girono. Certo, non credeva che avessi sposato, ma il
fatto dell'americana gli sapeva di bruciato.
Proprio
allora Tony s'era preso la cotta per una ragazza che da poco era entrata in
comitiva. Tony è lungo di mano, così un pomeriggio lo trovai in un fosso a far
l'amore mentre tornavo con Jenny
dalla campagna.
Ci
guardammo fissi, e Tony voleva sfottermi, ed io volevo sfottere lui, ma ci
trovammo abbracciati morti dal ridere.
<<Tony!>>.
<<Jack!>>.
Tornammo
in città tutti e quattro insieme. Tony aveva fatto le presentazioni con Milly,
così chiamava la sua "piccola". Da principio Milly era rimasta
imbarazzata per quell'incontro, poi la vidi prender confidenza con Jenny.
Andammo al
cinema, e fu solo dopo cena che Jenny disse a Tony:
<<Partirò
fra qualche giorno>>.
Io non
avevo ben capito:
<<Cosa?>>.
Jenny cercò
di non guardarmi:
<<Devo
tornare in America>>.
Non dissi
niente, ma più tardi quando la accompagnai a casa, volli capire, e solo allora
seppi che era sposata. Jenny mi abbracciò e disse:
<<Non
c'è niente da fare, Jack, la missione in Italia di mio marito è finita.
Torniamo in America>>.
<<Ma
allora...>>.
<<Allora
niente, Jack. Parto. Non posso far niente>>.
Ora
piangeva sulla mia spalla.
<<Quando?>>
le chiesi.
<<Il
cinque Settembre devo trovarmi a Roma>>.
<<Abbiamo
ancora una settimana>>.
La
settimana non era scaduta, e Jenny ricevette un telegramma dove il marito le
diceva di procrastinare al diciannove l'incontro a Roma a causa di nuovi
impegni.
Passavano
i giorni, e ormai l'estate declinava senza che una nuvola portasse in po'
d'ombra. Quella stagione fu la più lunga e calda ch'io ricordi nella mia vita.
Jenny era sempre più bella, al colmo di un amore che si prolungava oltre il
confine di un'avventura.
Jenny mi
disse:
<<Voglio
sposarti>>.
Non
risposi.
<<Non
mi vuoi? Divorzierò da mio marito>>.
Ma un
giorno fu come destarsi col cuore improvvisamente invecchiato. Quel cielo, quel
mare non ci appartengono più. Non è più estate. Le spiagge dono deserte.
Ognuno è tornato al lavoro. Solo noi restiamo coi nostri sogni a guardare il
mare che batte e scivola sulle seccaie.
Dissi a
Jenny:
<<Jenny,
se io lavorassi, se potessi darti qualcosa>>.
Lei mi
abbracciò:
<<Ma
questo non ha importanza. Capisci?>>.
<<Non
dirmi niente, non parlare, ti prego, se m'ami non parlare, rimani così, senza
parlare, come fosse per sempre>>.