Da
Bepi Vigna (23 Settembre 2000)
Caro
Giuseppe,
tu sai che ti considero un ragazzo intelligente e con buone prospettive
come sceneggiatore, ma credimi, quello che hai scritto sulla Bonelli
è privo di senso. Parli senza un minimo di rispetto
per chi ha fatto la storia del fumetto italiano e ha contribuito
non poco all'evoluzione del mezzo espressivo fumetto. Come sceneggiatore
Bonelli non mi sento minimamente toccato dai giudizi superficiali
(e a volte assolutamente campati in aria) che esprimi. E ti dico
anche un'altra cosa: quando incontro autori stranieri (perché
facendo fumetti e pubblicandone in tutto il mondo, ne incontro)
raccolgo solo complimenti ammirati per la capacità narrativa e
la professionalità degli autori nostrani. So che sul fumetto molti
si sentono autorizzati a dare giudizi snobistici e da intellettualoni
della domenica, ma prima di parlare di un argomento lo si dovrebbe
conoscere. Temo che tu, sulla tecnica del racconto per immagini,
sappia ben poco. Il ritmo del racconto, l'espressività dell'inquadratura
e della tavola, il tempo di lettura, la narrazione a diversi livelli,
l'efficacia del dialogo (anche all'interno di uno stereotipo di
riferimento che esiste in qualunque genere popolare, dal film
hollywoodiano ai telefilm di Derrik) sono aspetti che qualunque
autore Bonelli conosce a fondo. Essere esterofili e mitizzare
Alan Moore è facile... ma se ci parli con Alan Moore, scopri che
lui ha molto rispetto e affetto per la tradizione fumettistica
da cui proviene. Ed è proprio questa la sua forza. Gente come
Frank Miller ammira i fumetti italiani, quelli di Bonelli compresi.
Vai a leggere cosa hanno scritto intellettuali americani su Nathan
Never, o anche che cosa hanno detto autorevoli personaggi italiani
come Antonio Faeti, Goffredo Fofi, Umberto Eco, Oreste del Buono.
Controlla che cosa hanno scritto sulle riviste francesi e belghe
a proposito delle storie bonelliane. Parla con Mike Mignola o
con Jean Giraud. Tu parli di Oesterheld. Grandissimo, certo (ci
sto scrivendo un libro su Oesterheld... un libro che mi hanno
commissionato, bada bene), ma hai mai provato a studiare la struttura
dei suoi racconti? Hai mai letto delle sue sceneggiature originali?
Hai conosciuto persone che hanno lavorato con lui? Sai come lavorava?
Sai quali erano i suoi riferimenti letterari? Sai perché utilizzava
certe dilatazioni drammatiche? Sai quali erano i fumetti che ammirava
di più? Hai mai visto la versione originale dei fumetti che scriveva?
Ti sei mai messo a ragionare seriamente sulla narrativa dell'autore
argentino? Credo di no, stando alla superficialità delle tue considerazioni.
Prova realmente a confrontare la qualità media degli albi bonelliani
con la qualità media della produzione fumettistica estera (anche
quella non seriale, che è poi quella a cui tu fai riferimento
quando citi l'Alan Moore di Watchmen). Vince Bonelli, lo sanno
tutti, in tutto il mondo. Parla con agenti che i fumetti li vendono,
parla con autori che i fumetti li fanno, tutti ti diranno la stessa
cosa. Ma lo capisce anche un bambino, che non si può aver successo
per cinquant'anni se non si hanno delle qualità autentiche. I
toni acidi della tua requisitoria denotano frustrazione (oltre
che idee confuse). Per essere dei bravi narratori, occorre aver
passione per il narrare e rispetto per coloro a cui si narra.
Dammi retta, Giuseppe... non è questa la strada né per farsi notare,
né per capire qualcosa di fumetti. Una maggiore umiltà e uno studio
più attento, possono senz'altro aiutarti. Senza rancore.
Bepi
Da
Giuseppe Pili (24 Settembre 2000)
Caro Bepi,
mi dispiace di essere apparso acido, frustrato, snob, intellettuale,
in cerca di facile notorietà: ti assicuro che le mie intenzioni
erano altre. Se l'hai conservata, potrai riscontrare che parte
delle mie considerazioni provengono pari pari da quella lettera
che ti spedii molti anni fa, poco prima che Gianfranco
ci facesse incontrare o che io scrivessi la mia prima sceneggiatura,
per cui nascono in tempi assolutamente non sospetti. Comunque
mi fa piacere che abbia mosso delle obiezioni, perché la replica
è una forma di rispetto leale per l'"avversario ideologico", al
contrario dell'indifferenza che viene praticata costantemente
nella nostra isola. Voglio raccontarti che cosa ha dato vita al
pezzo. Io, come sai, ho un budget assai limitato e purtroppo devo
parcellizzare le mie letture. Dovendo operare una scelta, ho fumetti
da privilegiare e altri da accantonare. Questa scelta per me si
concretizza nel privilegiare un albo di Moore o di Micheluzzi
e di accantonare un albo Bonelli. Tutto parte da qui, da questa
semplice scelta, che non è dovuta ad antipatie (ad esempio, io
non conosco affatto Castelli o Sclavi), ma da un semplice "gioco
della torre" che faccio causa-esigue-finanze. Come vedi, una causa
estremamente banale. Quindi mi sono chiesto: perché non provo
soddisfazione nel leggere un albo Bonelli? In prima battuta la
risposta che mi è venuta in mente è stata: perché mi annoio. Dal
momento che non potevo scrivere un pezzo che contenesse questa
breve ed insufficiente spiegazione (a nessuno interessa il fatto
che io mi annoi "in sé"), ho provato a razionalizzare le cause
della mia noia, e a motivarle. Ho fatto delle semplici comparazioni
con le letture che invece privilegio, ho fatto delle deduzioni
e ho tratto delle conclusioni assolutamente soggettive. Purtroppo,
il fatto che gli autori italiani siano considerati dei maestri,
o che io sia all'oscuro delle intenzioni di un autore, o che non
conosca affatto i retroscena redazionali che danno vita ai fumetti,
o non sia padrone della tecnica narrativa, tutto ciò non è in
grado di modificare una mia personale reazione fisiologica: io
mi annoio. A me aveva colpito molto - molto più di quanto immagini
- quell'aneddoto che mi avevi raccontato un giorno a casa tua,
a proposito della censura che la redazione aveva applicato su
una tua storia (si trattava di un tuo personaggio omosessuale)
e su alcuni dialoghi particolarmente brillanti che un redattore
(il clone a cui io mi riferivo) ti aveva appiattito, rendendoli
banali in modo sconcertante. Io trovavo che tu avessi ragione,
e mi ero indignato che avessero ferito la tua libertà espressiva.
Mi dispiace molto che tu ora abbia dimenticato o rimosso questa
indignazione. Che io mi annoi per colpa di uno sceneggiatore che
si autocensura o di un redattore che lo censura, il risultato
è perfettamente uguale: io mi annoio. Resistere per cinquant'anni
(come la Bonelli) è sintomo di successo, e il successo è decretato
dalla massa che acquista. Il tempo scorre e si diventa più vecchi:
io ho subìto una trasformazione del gusto e mi sono allontanato
dai criteri della massa (nel bene o nel male, non sta a me giudicare).
Probabilmente è questa la causa della mia noia. Il successo plateale
ormai non condiziona più le mie scelte. Scelgo Alan Moore perché
sento che ha qualcosa da comunicarmi e da insegnarmi, e nella
sua iniziale oscurità vedo un rispetto ed una sfida alla mia intelligenza.
Scusami, non sei tu il bersaglio della mia critica, ma una strategia
editoriale che mi considera meno intelligente di quanto io aspiri
ad essere. Sperando che questa interessante diatriba non si esaurisca
qui, ti saluto.
Giuseppe Pili
Da
Bepi Vigna (25 Settembre 2000)
Caro Giuseppe,
dispiace
anche a me averti trovato acido, frustrato e snob, ma io so (perché
ormai ti conosco bene sotto questo aspetto) che sei un appassionato
e come tutti coloro che vivono passioni, a volte ti fai prendere
la mano dalla foga argomentativa. Il fatto che ti annoi leggendo
i fumetti di Bonelli( anche se può dispiacermi e anche se in alcuni
casi posso comprenderlo), non credo che ti autorizzi a usare il
tono di chi ha capito tutto e tratta gli altri da scemi. Quello
che non condivido nella tua lettera è proprio il tono poco rispettoso
verso un editore che è comunque il più gradito dai lettori italiani,
quei lettori che lui ha sempre rispettato, anche a costo di mettersi
contro alcuni suoi collaboratori e di fare (in buona fede) scelte
perdenti. Un editore, bada bene, che anch'io ho criticato tante
volte ( e tu lo sai), ma senza dimenticarmi mai dei suoi meriti.
Quel "personalizzare" su Bonelli certi difetti intrinseci dell'editoria
italiana, non mi sembra corretto, anzi mi sembra un tipo di operazione
molto superficiale. Direi cattivo giornalismo. Ai fumetti bonelliani
vengono "fatte le pulci" più di qualunque altro prodotto editoriale;
Nathan Never, per esempio, fin dalla sua nascita è sotto un fuoco
di critica sproporzionato rispetto ai suoi meriti e ai suoi difetti.
Tutti i lettori che ci scrivono vorrebbero un capolavoro al mese,
ma ognuno un capolavoro diverso. Il fatto che si riesca a soddisfare
le esigenze di un pubblico ancora vasto (120.000 lettori sono
tanti!) può anche essere un merito. O no? Il fatto che una grande
casa di produzione americana abbia deciso di acquistare i diritti
del nostro personaggio può anche voler dire che forse qualcosa
di decente magari l'abbiamo scritta, qualche volta. Non credi?
Io apprezzo tantissimo Alan Moore, ma credo anche che un paragone
con chi lavora in un ambito produttivo totalmente differente sia
ingiusto. Con ciò non voglio convincerti a leggere i nostri fumetti,
ci mancherebbe. Un caro saluto, Bepi
P. S.: Sai, anche io, per alcuni, in USA e in Francia sono un
autore di fumetti che ha scritto almeno un "capolavoro"? L'avresti
mai detto?
Da
Giuseppe Pili (26 Settembre 2000)
Caro
Bepi,
ciò che forse non è emerso abbastanza dalla mia critica è che
io non sottovaluto affatto le capacità degli sceneggiatori nostrani:
non si tratta per nulla di scarso talento. Non ho nessuna difficoltà
a rilevare la presenza di belle storie nell'ambito della produzione
Bonelli. Il problema sul quale ponevo il dito è espresso molto
bene nel titolo: all'interno della SBE io noto una fastidiosa
omologazione. Ciò che mi irrita più di ogni altra cosa (ti giuro
che mi manda davvero in bestia) è il fatto che uno sceneggiatore
possa lavorare a lungo e con passione su un dialogo, perdendo
il sonno per raffinare con cura il suo linguaggio, e vedersi cassare
il suo lavoro in redazione da uno scribacchino! Magari perché
questo signore non capisce, o perché pensa che i lettori non capiscono,
o semplicemente perché pensa che i fumetti debbano essere "fatti
così", come il signor Bonelli li ha sempre fatti! Ricordo che
un giorno mi avevi fatto leggere una vecchia storia che sapevi
non essere stata apprezzata in redazione. Io trovavo che fosse
molto divertente: come si spiega questa divergenza di opinioni?
A me non pare di essere uno sprovveduto in fatto di letture! Allora
la mia logica mi porta a queste conclusioni: se tu sei un appassionato
di lunga data dei fumetti Bonelli, e ad un tratto diventi sceneggiatore
per la SBE, allora hai già in testa gli schemi mentali dei redattori
e non potrai fare nient'altro. Se invece non ti trovi d'accordo
con le loro regole e ti pieghi ai canoni redazionali allora stai
scrivendo per soldi: intendiamoci, non c'è niente di male, lo
farei anch'io, però credo che mi assumerei in rassegnato silenzio
la responsabilità delle mie scelte. Forse la Bonelli è sempre
al centro del mirino proprio per questa mentalità da scuderia.
Ti dico: io non sopporto i film hollywoodiani realizzati prima
del 1968, perché soffrono della pesante cappa della censura. Provo
una forte sensazione claustrofobica: la stessa sensazione che
provo leggendo un albo Bonelli, solo che mentre la stupida barriera
delle tette a quanto pare è stata abbattuta, la barriera della
raffinatezza linguistica è un traguardo lontano per chi si pone
come target privilegiato il lettore da stazione. Un tipo di lettore
che numericamente lo premia al riscontro delle vendite. Sull'esigenza
da parte dei lettori del capolavoro permettimi di sorridere: solo
chi non scrive può essere convinto che sia possibile un serial
fatto di capolavori; è un controsenso linguistico: è esattamente
come dire che ogni vagone possa essere una locomotiva. Ti saluto,
e alla prossima. Giuseppe
Le immagini utilizzate
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