OssigenOnLine: Viaggio nell'umanesimo

L'Umanesimo italiano nel Quattrocento

Prima tappa di questo viaggio virtuale è una visita dell’Umanesimo italiano del Quattrocento.

In netta contrapposizione con la visione teocentrica del Medio Evo, in Italia si sviluppò in quell’epoca un grande movimento culturale pluridisciplinare (perché si occupò di arte, architettura, letteratura, storia, politica, scienza, etc.), che vide una rivalutazione della figura dell’uomo nel mondo: fu il passaggio dalla centralità di un dogma religioso a quella dell’ essere umano. Il movimento umanistico in Italia fu prevalentemente laico e vide la città di Firenze quale maggior centro della sua fioritura.

Ci fu una riscoperta dei classici greci e latini la cui opera fu ripulita dalle interpretazioni forzate e dagli errori di trascrizione dei manoscritti compiuti in epoca medievale. Da questa riscoperta ne derivò una rivalutazione dei valori laici e mondani della vita : la celebrazione della vita attiva (si potrebbe citare Coluccio Salutati), la riaffermazione della responsabilità e del libero arbitrio di ogni individuo al di sopra della casualità capricciosa della fortuna (Leon Battista Alberti), la valorizzazione della bellezza e funzionalità del corpo umano, anche come fonte di piacere fisico, così colpevolizzato dall’ideologia religiosa medievale (e qui citiamo, per finire, Lorenzo Valla, addirittura membro di spicco della curia papale, e Giannozzo Manetti).

Questo movimento culturale può essere grosso modo diviso in due periodi : un Umanesimo civile nella prima metà del Quattrocento, durante il quale gli umanisti partecipano attivamente alla gestione politica di Firenze (nelle altre città l’affermazione delle signorie non lo permetteva), un Umanesimo filosofico nella seconda metà del secolo, quando si impone (con una certa gradualità) la signoria dei Medici. In questo periodo molti intellettuali si troveranno a lavorare nella corte di Lorenzo il Magnifico.
 
 

Giovanni Pico della Mirandola

 La dignità dell'uomo

Ci sono molti personaggi di questo movimento culturale dei quali varrebbe la pena di parlare, ma, per cominciare, mi soffermerò sul contributo di Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), appartenente al filone filosofico. L’opera più interessante per noi è il saggio De hominis dignitate (la dignità dell’ uomo), a ragione considerato come un manifesto dell’Umanesimo.Pico della Mirandola

Partendo dal mito della creazione, Pico immagina che Dio, dopo aver creato il mondo con i suoi abitanti, pensò di creare l’ uomo quale culmine della sua opera. Il problema è che aveva già riempito tutte le "nicchie ecologiche" possibili e, comunque, non poteva venire meno alla sua volontà creativa. Così decise che l’uomo non avrebbe avuto una natura definita e un ambiente preciso in cui vivere, affinché egli stesso, completamente libero di scegliere, trovasse una collocazione a se gradita. Ma vediamo questo concetto nelle parole stesse dell’autore- Perciò assunse l’uomo come opera di natura indefinita e postolo nel centro dell’universo così gli parlò: "Né determinata sede, né un aspetto tuo peculiare, né alcuna prerogativa tua propria ti diedi, o Adamo, affinché quella sede, quell’aspetto, quelle prerogative che tu stesso avrai desiderato, secondo il tuo volere e la tua libera persuasione tu abbia e possieda. La definita natura degli altri esseri è costretta entro leggi da me stabilite, immutabili; tu, non costretto da nessun limitato confine, definirai la tua stessa natura secondo la tua libera volontà, nel cui potere ti ho posto. Ti ho collocato al centro dell’universo affinché più comodamente, guardandoti attorno, tu veda ciò che esiste in esso. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, affinché tu, quasi libero e sovrano creatore di te stesso, ti plasmi secondo la forma che preferirai. Potrai degenerare verso gli esseri inferiori, che sono i bruti, potrai, seguendo l’impulso dell’anima tua, rigenerarti nelle cose superiori, cioè in quelle divine".

Ad un mondo naturale governato da leggi fisse ed immutabili prescritte da Dio si contrappone l’essere umano, che ha la facoltà di decidere la sua essenza , potendo scadere al livello dei bruti, oppure innalzarsi a fondere il suo spirito con quello divino. In pratica, secondo Pico della Mirandola, l’uomo non ha una sua natura, ma realizza la sua essenza nell’ azione; quindi sono aperte all’ evoluzione umana le possibilità di crescere, di migliorare, di trasformare il mondo e se stesso senza aver alcun limite se non quello di giungere alla perfezione e alla felicità eterna (se di limite si può parlare).

In sostanza la dignità dell’uomo di cui parla il Pico non consiste nel suo essere, ma nel suo divenire che differisce dal divenuto delle cose naturali . Si può anche citare Jean Paul Sartre (nel suo Esistenzialismo è un umanismo) il quale afferma che l’essere umano è l’unico ente nel quale l’esistenza viene prima dell’essenza, cioè l’uomo innanzi tutto esiste, costruisce dopo la sua essenza, attraverso le sue azioni, completamente libero (addirittura condannato alla libertà) ma anche responsabile.

Si tratta di una visione altamente suggestiva in grado di stimolare la sensibilità di chi si considera umanista, a patto che sia chiaro che siamo di fronte ad un’opera teorica dedicata all’uomo in un contesto metastorico, cioè al di fuori della contingenza storica concreta (anche se , ovviamente, legata ad essa in modo da giustificarla).

Il nostro punto di vista, invece, parte dalla concretezza della vita di tutti i giorni, dai problemi pratici ed esistenziali che ciascun individuo deve affrontare (anche se anch’esso richiede di essere giustificato da una concezione dell’uomo che funga da fondamento). Si tratta di una differenza di focalizzazione più che di concetto, in sostanza l’attenzione è posta in un punto diverso del discorso sulla condizione umana. Tuttavia, per quel che riguarda la posizione cosmica dell’uomo, il discorso di Pico è ancora un riferimento fondamentale e, per certi aspetti, insuperato.
 
 
 

L'uomo come microcosmos 

O somma liberalità di Dio padre, o suprema e mirabile fortuna dell'uomo! A lui, infatti, è concesso di avere ciò che desidera, di essere ciò che vuole. I bruti, appena nascono, recano nel seno materno i caratteri immutabili della loro natura. Gli angeli, o fin dall'inizio o poco dopo, furono quali saranno per sempre. Invece all'uomo in sul nascere, il Padre diede i semi d'ogni specie, i germi d'ogni vita. Quali ciascuno avrà coltivato, codesti alligneranno e produrranno in lui i loro frutti: se saranno vegetali, diventerà pianta, se sensuali, bruto, se razionali diverrà creatura celeste, se intellettuali, sarà angelo e figlio di Dio. E se, non contento della sorte di alcuna creatura, si raccoglierà nel centro della sua unità, divenuto allora uno spirito solo con Dio, nella solitaria tenebra del Padre, lui, creatura che fu posta sopra tutte le altre, sovrasterà su tutti gli esseri.
 

Bibliografia consigliata

G. Pico della Mirandola: De hominis dignitate , da E. Garin Prosatori latini del Quattrocento, ed. Ricciardi.

E. Cassirer: Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, trad. di Federico Federici, ed. La Nuova Italia.

E. Garin: L’Umanesimo italiano, ed. Laterza.

J. P. Sartre: L’esistenzialismo è un umanismo, trad. di G. Mursia Re, ed. Mursia

S. Puledda: Interpretazioni dell’Umanesimo, ed. Multimage.
 

Giovanni Pico della Mirandola (Biografia). Nato a Mirandola nel 1463, studiò all’università di Padova dove venne in contatto con Nicoletto Vernia e con la filosofia scolastica. Seguendo gli insegnamenti di Elia del Medigo approfondì l’aristotelismo arabo ed ebraico. Successivamente entrò in relazione con i membri dell’Accademia platonica fiorentina diretta da Marsilio Ficino (1433-1499), ma conservò comunque elementi di tutte le dottrine tanto che si può considerare un filosofo eclettico. Pico denunciò il degrado a cui era giunto l’umanesimo a lui contemporaneo, ormai ridotto a puro esercizio letterario.

La concezione filosofica di Pico considera la verità come unitaria, alla quale tutte le dottrine filosofiche e religiose hanno dato un contributo. Suo progetto era di giungere ad una universale concordia tra tutte le filosofie e religioni e a questo proposito pensò di organizzare, a sue spese, un grande convegno con i dotti dell’epoca per il quale aveva preparato Conclusiones philosophicae, cabalisticae et theologicae (1486), costituito da 900 tesi tratte da fonti eterogenee quali Platone, Aristotele, Ermete Trismegisto, Averroè, Tommaso d’Aquino, la Cabala. Ad introdurre il tutto aveva preparato la famosa orazione De hominis dignitate. Purtroppo il suo progetto andò in fumo perché il papa Innocenzo VIII condannò alcune delle sue tesi considerandole eretiche. Pico difese la sua posizione con l’Apologia, ma fu costretto a fuggire a Parigi per evitare la persecuzione ecclesiastica. Qui però venne incarcerato ma, grazie alle sue amicizie fiorentine, fu presto liberato e poté cosi giungere a Firenze.

Negli ultimi anni della sua breve vita scrisse il De ente et uno (1489) preparato per dimostrare la concordia tra il pensiero di Platone e quello di Aristotele. Successivamente si dedicò alla stesura delle Disputaziones adversus astrologiam divinatricem, nella quale si scaglia contro il presunto determinismo sostenuto dagli astrologi che fanno derivare gli eventi dagli influssi astrali. Qui il Pico vede la distruzione di ogni possibile libertà umana da lui tenacemente sostenuta. Di contro era favorevole alla magia nella quale vedeva per l’uomo un formidabile strumento di conoscenza e controllo della natura. Infine poco prima della morte, avvenuta nel 1494 a soli 31 anni, si accostò alla predicazione di Girolamo Savonarola.

La  morte precoce stroncò la carriera di un brillante e geniale intellettuale aperto ai più ampi interessi e anticipatore, con le 900 tesi, di una forma di Umanesimo universalista sostenuta ora dal Movimento umanista.