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URBANISTICA

 E’ il capoluogo spirituale della Valsaviore, grazie alla rilevanza rivestita in passato, quando la popolazione era circa otto volte quella attuale. La data più antica, 1566, è segnata accanto alla volta che dalla via dei Partigiani conduce alla parrocchiale, l’ex casa delle suore. Nel centro storico, gli edifici di maggior interesse sono due palazzi in stile veneziano: la Casa Canonica ed il Palàs dei Baghe, con un poggiolo in granito eseguito da maestri scalpellini. Testimoniano il ragguardevole grado di civiltà raggiunto durante la dominazione veneziana. Il tessuto urbano  d'impianto medievale. Un tipico esempio dell’abitazione rurale alpina è la settecentesca Cà de Tofa, in contrada Laél: l’insolita copertura a spiovente unico infonde all’edificio uno strano movimento ascensionale, assecondato dal gioco delle scalinate di legno con logge e balconi. Da segnalare, all’inizio del paese, la Cà de Parento, una casa-fattoria dove abitazione ed annessi rustici sono disposti a ferro di cavallo, secondo lo schema dei casali di pianura; vi è affrescata la Sacra Famiglia. Nella piazza di S. Antonio ed alle Gande molti edifici di carattere urbano, case tipiche della rinascita post-bellica degli anni ’20, in cui risalta l’intonaco a pietra rasa. Lungo le vie del paese si incontrano affreschi a tema religioso ed ex voto: segnalo una Decollazione di S. Giovanni Battista al n°40 di via Risorgimento ed un’Annunciazione al n°33.   Il Laél, il grande lavatoio, costituiva uno dei principali luoghi d’incontro e di scambio di rapporti, sociali ed economici; reca data 1867 e cronache antiche riferiscono che per costruirlo siano state impiegate le pietre del Castello Merlino; è la più grande delle numerose fontane in granito, che contraddistinguono il centro storico e si incontrano quasi ad ogni angolo. Fino al 19.. erano presenti tre chiese: la Parrocchiale di S. Giovanni Battista, che sorge sulle fondamenta del leggendario (ma non troppo) Castello Merlino, la chiesa di S. Antonio da Padova e la chiesetta di S. Rocco, probabilmente eretta nel 1400, come lascia supporre la dedicazione al santo, il cui culto si affermò in Valle Camonica in seguito all'epidemia di peste, oltre alla datazione degli affreschi da essa provenienti e conservati in Sant'Antonio da Padova.

DOCUMENTI


 La prima testimonianza scritta in cui viene citato il toponimo risale al 1157: Arcembaldo (o Arlembardo) da Saviore era uno dei consoli chiamati a Montecchio per dirimere una controversia tra Borno ed Esine. Presso l’archivio comunale è conservato il Libro dei livelli, del 1631; nella Canonica, un ex voto ottocentesco, dipinto su una tavola di legno, che raffigura un salvataggio durante un’alluvione. Gli archivi parrocchiali sono databili dopo il 1666, con il Libro dei battezzati, a causa di un incendio che distrusse il paese il 29 aprile 1651.

STORIA

L’antropizzazione del luogo risale probabilmente al Neolitico, certamente in epoca preistorica. Non si hanno notizie storiche precise fino al Medioevo e si tratta di informazioni prevalentemente inerenti i rapporti economici di compravendita; la cristianizzazione iniziò probabilmente intorno al V secolo ma residui di paganesimo permasero fino agli inizi del Novecento. Saviore divenne soggetto storico quando si liberò del dominio dei feudatari locali per divenire libero comune, rafforzandosi attraverso le Vicinie.  Nel 1378, in un compromesso per la rifusione di danni tra fazioni guelfe e ghibelline camune, erano membri della giuria Andreolo Tancredi di Saviore (padre di Boldino), mentre parteggiava per i Ghibellini il nobile saviorese Manfredino del fu Bertino. Il 31 dicembre 1397, quando fu firmata la pace tra guelfi e ghibellini camuni al Ponte Minerva, presso Breno, viene citato tal Graziolo da Saviore. Il 14 dicembre 1449 ai conti Giorgio e Pietro di Lodrone, per la loro fedeltà alla Serenissima, furono assegnati beni e possedimenti anche a Saviore, in quanto molti abitanti avevano sostenuto i nobili nelle scorrerie contro il castello di Breno, tra loro forse anche il bandito Giovanni Pugna. Nel 1428 viene emanata la Costituzione di Valle Camonica, in cui Saviore viene autorizzato a godere di esenzioni fiscali, grazie alla presenza di influenti famiglie veneziane.

Il 29 aprile 1651 un incendio distrusse quasi completamente il paese e provocò la morte di due persone; anche la Repubblica Veneta concesse esenzioni fiscali agli abitanti per la ricostruzione di più di settanta case. Nel 1698 a Saviore si fanno "publiche radunanze, essendovi anco persone più civili, e di maggior conto…la sacristia provista di paramenti di brocato d’oro e di competente argenteria", di cui si è persa traccia, nel corso dei tempi, come accadde per altri preziosi ricordi appartenenti alla comunità. Quando cadde la Serenissima Repubblica di Venezia, nel 1797, Saviore tornò nel silenzio.

Durante la dominazione francese in Valle Camonica, Giacomo Antonio Bonafini, "notaro in Cividate Camuno", postosi a capo di una banda di delinquenti, salito fino a Saviore, saccheggiò il paese e procurò gravi danni alla popolazione. L’anno 1811 fu particolarmente difficile, a causa di un’estate piovosa che mandò in rovina i raccolti, soprattutto di segale e mais, principale fonte di sostentamento per la povera economia montana. I cittadini di Cevo e Saviore rivolsero appelli alle autorità per ottenere dei finanziamenti. La povertà raggiunse livelli estremi, tanto che alcuni abitanti furono costretti a mendicare altrove per sopravvivere.

I lavori idroelettrici dell’inizio del Novecento portarono alla costruzione della diga del Lago Salarno, nel 1914. Durante la guerra bianca la zona di Saviore fu area di conflitto per la vicinanza al confine con l’Impero austro-ungarico. Nel 1921, l'11 settembre, fu inaugurato il monumento ai caduti della Prima guerra mondiale. Dal 1927 al 1954 il paese fece parte dello scomparso comune di Valsaviore. Il secondo conflitto mondiale fu uno dei momenti più difficili: molti uomini morirono in guerra, altri furono deportati; i giovani si unirono alle brigate partigiane attive nella zona. Le donne, rimaste sole, spesso vedove e con molti figli, portavano avanti la famiglia continuando a svolgere le attività contadine. Nel dopoguerra si conobbe un periodo di crescente benessere economico e ad un abbandono progressivo delle professioni tradizionali; questo inevitabilmente portò ad una massiccia emigrazione, che in pochi anni dimezzò il numero degli abitanti, fino a raggiungere i livelli attuali, che fanno di Saviore un paese dove la metà della popolazione è costituita da pensionati ed il tasso di natalità è anche di dieci volte inferiore a quello di mortalità.

TOPONIMO


 Il toponimo dialettale è Saviùr: secondo la scuola classica deriva dal latino sauverium, suaverium (verificare) "tronco d’albero", essendo la zona boscosa;secondo la scuola ad indirizzo celtico di Ertani dalla radice seso che significa "acqua", per la ricchezza di corsi e sorgenti; secondo B. Cavallini da saurium, “…”, per la presenza di miniere. Il toponimo leggendario risale ad un antico Re Savio che dimorava nel Castello Merlino; in origine si sarebbe chiamato S. Rocco e divenne Saviore grazie agli “abitanti decantati come Savi dalla gente dei contorni”, perché usavano far procedere sempre le donne davanti agli uomini, per timore che le rubassero. Potrebbe derivare da Suavi, “Svevi”, una etnia proveniente dal centro Europa e dalla Germania. E’ possibile che Cevo e Saviore abbiano la stessa radice: Saviore potrebbe essere il grado comparativo di saevus, saevior, aspro o boscoso, forse col significato di “più in alto di Cevo”.  Un’ultima ipotesi, che è stata recentemente accreditata da alcuni studi, è che il nome Saviore potrebbe derivare anche dal nome personale "Saviolo". Il nome attuale, Saviore dell’Adamello, è stato imposto per decreto (D.P.R. n°1151 del 23/10/1957). Adamello: il toponimo appare per la prima volta nella “Carte Générale du théatre de la guerre en Italie et dans les Alpes ” del barone Louis Albert Guislain de Bacler d’Albe, capo dell’ufficio topografico di Napoleone (scala 1:259.200), redatta nel corso della Campagna d’Italia e pubblicata nel 1797. La posizione della montagna era approssimativa. Douglas William Freshfield fu uno dei primi alpinisti ad avere percorso la Valsaviore e ricordò che il nome era sconosciuto sia in Val Rendena che in Valle Camonica, ma noto ai pastori della Valsaviore. Afferma l’ing. Dante Ongari che sarebbe stato proprio il parroco di Saviore a suggerire il nome di questa montagna ai cartografi francesi. Non è improbabile che il termine sia dovuto agli antichi abitanti frequentatori della Val Adamè. Sull’etimologia del termine, hamae in latino indica le conche d’acqua di questi pascoli acquitrinosi. Nel 1853 il cronista A. Caggioli lo definisce "gran masso Monte Glaciale nomato".


via San Marco


Contrada Laél


Monumento agli invalidi del lavoro


Strada per Fabrezza


Casa Canonica


Laél - particolare


Contrada Sant'Antonio


Monumento ai Caduti


Cima Blisge

 

 


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Daniela Rossi © 2000

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