IL GERGO


Il gergo è nato dall’intenzione di non farsi capire: è la lingua di un gruppo (es. gli uomini della malavita), la cui caratteristica è di essere segreta, non comprensibile al di fuori del gruppo stesso, o di unire e distinguere un gruppo rispetto agli altri (es. gerghi di mestiere o militari).

Le forme più antiche dell’uso dei gerghi risalgono al Medioevo. Fu allora che il fenomeno del vagabondaggio si trasformò e si estese.

La religione cristiana dava grande spazio alla solidarietà con i bisognosi, e la pratica dell’elemosina, dell’aiutare vagabondi, mendicanti e senza casa era diffusa. Come spesso accade quando un fenomeno si generalizza, città e campagne pullulavano, oltre che di veri poveri, anche di malviventi, truffatori, mendicanti, che si organizzavano in vere e proprie congreghe. Questi gruppi avevano un linguaggio speciale per riconoscersi ed aiutarsi. La loro lingua era fatta di doppi sensi e di deformazioni curiose (dicevano brancose per dire mani, sbertire per uccidere, smorfire per mangiare e così via).

A partire dal Seicento il gergo fu usato da altri gruppi di ambulanti, che non vivevano di truffa e d’imbroglio, ma del loro lavoro. Molti abitanti delle montagne d’inverno scendevano nelle città e nelle valli e cercavano di sbarcare il lunario facendo mestieri stagionali: erano arrotatori, calderai, muratori, seggiolai, spazzacamini. Entravano così in contatto con altri vagabondi, o compagni di lavoro stagionale: per tutti divenne forte l’esigenza di farsi riconoscere. Nacquero così altri gerghi.

Altri gruppi di individui ereditarono il gergo degli antichi disonesti: furono, appunto, i nuovi disonesti, che però non erano più vagabondi, ma avevano una dimora stabile. Fra i delinquenti il bisogno di segretezza era grande, e così essi crearono un loro gergo, fatto con molte parole di quello antico e con parole del tutto nuove. Oggi l’esempio più noto e tipico di gergo è proprio quello degli esponenti della malavita.

Si può parlare anche di gergo studentesco, anche se esso non traduce una differenziazione sociale (in quanto è un gruppo non stabile, ma in continuo ricambio), perché c’è nel gruppo una esigenza di differenziazione che nasce da un particolare stato d’animo: una opposizione polemica nei riguardi dei superiori.


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