racconti                     Maurizio Chelucci Gallery
Cacciatori di anime


 Cap. 1 -  I mimi offrono la loro carne

Arles Ore 10 piazza della Repubblica.
La spalla destra da un dolore allucinante, un solco livido mi ricorderà per più di una settimana l'errare per queste vie alla ricerca di mostre, con il fardello, sempre presente ed inrinunciabile, del mio corredo fotografico.
Seduto ad un tavolo del bar colgo l'occasione per riposare i piedi, la spalla, la mente.
Osservo la piazza, il tempo è incerto ma il cielo sereno, grossi banchi di nuvole bianche riempiono l'azzurro, i colori sono puliti, intensi.
La gente cammina tranquilla, il calo demografico di cui si parla tanto sembra solo un dato statistisco; bambini di tutte le età camminano vicino alle loro carrozzine, si ciondolano negli zaini del padre.
Qualche foto ricordo, la mamma vicino la fontana, la ragazza nella piazza.
Bevo della vittel, credo che l'acqua distillita che uso per la mia moto sia più saporita, ma la mia gastrite non mi permette di abusare delle altre acque francesi a base di gas "naturali". Delle volte mi chiedo com'è possibile far stare tutta quell'aria in così poca acqua.
Mi devo essere distratto per troppo tempo, ora la piazza ferve di attività. Mimi venuti da chissà dove si gettano nella fontana, camminano sui trampoli,  urlano in modo disumano e macchime fotografiche, zoom, teleobiettivi spuntano fuori da ogni dove;  quello che sembrava un ignaro passante, un tranquillo padre di famiglia si trasforma in un terribile cacciatore.
Le urla degli attori, le voci dei bambini, il rumore delle fontane vengono coperti da motori che trascinano, caricano, gli specchi si alzano, otturatori si aprono, sibili di flash che si ricaricano.
E' l'inizio di una battaglia che avrà i suoi vinti e vincitori.
I mimi offrono la loro carne in pasto ai fotografi, ad ogni loro movimento seguono scariche di click, vrurr, cambi frenetici di obiettivi, i dorsi delle macchine si aprono famelici chiedendo ancora pellicola, colore, B/N, diapositive, non importa, basta continuare. Continuare finchè qualcuna delle parti non ceda alla stanchezza. Stanchezza di dare, di prendere.
Non posso più continuare a guardare impassibile quello che accade, sono qui anche per questo, hanno aperto le danze .. è ora di ballare . Ho deciso andrò in prima linea , lascio venti franchi sul tavolo del bar, monto il 17mm, il mio grandangolo preferito,  e mi avvio nella mischia.
Cammino spedito, cerco di essere disinvolto, la macchina stretta saldamente nella mano destra. Mentre mi avvicino studio la situazione, penso alle possibili inquadrature, controllo il tipo di pellicola caricata.
Con discrezione mi porto davanti, controllo di non essere nel mirino altrui, mi inchino di fronte al mimo, guardo nel mirino, ........  adesso è mio.
Inquadro, scatto, carico, una, due, dieci volte; gli sono talmente vicino che sento il suo odore, posso quasi sentire i suoi pensieri.
Già i suoi pensieri, la gente lo osserva, lo riprende, sorride alla sua ironia, concitata reagisce alle sue urla  e lui è li per questo, lui ha vinto. Non è mio, io sono suo.
Inquadro, scatto, carico, la macchina si blocca, il contatore segna 36, cazzo,  non doveva finire proprio adesso.
Mi ritiro a cambiare il rullino, adesso però monto il colore, mi piacciono le sfumature del suo trucco mentre scivola nell'acqua, cambio anche obiettivo, metto il tele, è difficile stare in prima linea, non voglio entrare  nello spettacolo come fotografo.
Ora sono più distante, intorno a me tutti hanno un solo occhio, pochi si guardano, chi lo fa sorride con aria di complicità.
Contino a scattare, anche mentre vanno via.
E' finita, la piazza riprende la sua vita normale, i bambini giocano, i cani tirano i padroni. Sarà durato dieci, quindici minuti, sul campo restano poche scatole vuote di rullini ed i pezzi della scarna coreografia usata, come se non fosse successo nulla.
Ma non è così. Centinaia di istanti sono stati fermati, ricordi, per alcuni, materiale da lavoro per altri.
Sto pensando alla fine  che faranno tutte quelle foto quando qualcuno mi chiama.
E' Marco, il mio compagno di viaggio, aveva dimenticato le chiavi nel quadro della moto, lo vedo sorridere, evidentemente è tutto a posto. Gli racconto quello che è successo, la piazza, i mimi.
Ci conosciamo da anni, accadde sul traghetto per la corsica, io solo con la mia BMW, lui con la sua Guzzi. Due diverse fedi motociclistiche ma  con la comune voglia di viaggiare e la scoperta della passione per la fotografia fece il resto.
Insieme lasciamo la piazza, guardiamo i negozi, le ragazze che passano, ci aspettiamo pazientemente quando uno di noi rallente per scattare una foto.

Non è raro, mentre camminiamo, vedere persone di ogni età trascinare su carrellini  a due ruote delle grandi cartelle di pelle o simile, sono i "book". Qualsiasi fotografo che si rispetti ne ha uno, anche noi, ma per forza di cose non lo portiamo sempre appresso.
Ogni carrello porta un sogno,    la speranza di trovare una galleria per fare una mostra, un professionista disposto a vedere il lavoro, un editore in cerca di nuovi talenti da pubblicare. Qui ad Arles non è difficile, basta avere volontà, belle foto, idee nuove e un pò di culo, che non guasta mai.
E' l'una i nostri occhi sono ancora pieni d’immagini, altrettanto non si puo dire del nostro stomaco che emette suoni sinistri e minacciosi. C'è un ristorante poco più avanti, ci sediamo al tavolino ed ordiniamo una paiella, qui è buona come in Spagna, ed a noi piace da morire.
 All’estero non riusciamo mai a mangiare al momento giusto, c’è sempre qualcuno che lo fa prima di te, e per quanto mi sforzi di anticipare i tempi masse di uomini donne e bambini sembrano provare gusto a lasciarci  con l’amaro in bocca infatti il cameriere torna poco dopo: “Desolato messier la paiella è terminata” !!. Magiamo quello che resta e diamo un’occhiata al progamma questa sera all’arena c’è il “Duello fotografico”.
 

Cap. 2 -  Il duello fotografico

Questa sera all’arena di Arles  (mai un posto con questo nome è stato tanto adatto) una prima mondiale il “Duello fotografico”.
Diversi reporter internazionali sono stati invitati a partecipare a questa buffonata goliardica, ma l’umano ama sopraffare il prossimo (magari rivalersi per un Pulitzer perso) e non escludo che questa “gara” non abbia seguito nel tempo.
A coppie i fotografi si affrontano sul set-palcoscenico con in mano le reflex digitali messe a disposizione dallo sponsor, ogni scatto verrà trasmesso in tempo reale sui due  enormi schermi alle spalle del palco, dove troviamo anche, in puro stile kitch, finte rocce e  un paio si carcasse d'auto dietro cui nascondersi.
Le regole sono poche e semplici fotografare senza essere fotografato;  vince chi riprende piu volte
l'avversario con foto nitide e soggetto pieno; al termine dei 36 scatti (giusto per ricordare la fotografia tradizionale) la giuria assegna i punti  (primi piani 4 pt., Piano amer. 3 pt ,fig.intera  1 pt., almeno una parte del soggetto deve essere a fuoco) e chi vince passa il turno. Le macchine sono totalmente manuali, a memoria delle prime reflex, niente motore e zoom 70/200. Un round dura 10 minuti.
L’arena è piena, dopo le cerimonie di benvenuto, ringraziamenti a questo e quello, vengono presentati i primi concorrenti Marc Sand e Philip Veer. Il primo, fotografo americano da poco entrato nel gotha della Magnum (l’agenzia che vanta i migliori reporters), segnalato per le sue immagini durante la guerra del golfo, il secondo di origine austriaca naturalizzato in Francia noto per i reportages sull’attività del cartello della droga colombiano.
L’abbigliamento dei due è sobrio e non deve essere un caso se entrambi si sono vestiti di nero, per quanto il palco sia abbastanza illuminato non è facile mettere a fuoco un soggetto scuro.
L'atmosfera è un misto di programmatelevisivodasabatosera e teatro d'avanguardia, il pubblico è pronto, i due fotografi a distanza di 10 metri l'uno dall'altro sono pronti.
Le luci dell'arena si spengono, si spengono anche quelle sul palco, sono attimi di tensione .. una voce fuori campo da il via .. che la "festa" cominci!
Un'attacco musicale all'unisono con l'accensione delle luci sul palco decreta l'nizio della sfida, Sand e  Veer hanno approfittato dell'oscurità per nascondersi. Veer è il primo ad esporsi, si muove con agilità, passa da un angolo all'altro cercando contemporanemente d'inquadrare l'avversario. Sand non è da meno, e tenta il primo scatto, sul video appare in tempo reale l'immagine ,,, una spalla in un angolo del "fotogramma".
Anche Veer scatta, il momento migliore è quando l'avversario prende la "mira", riesce a fare due foto,  la prima confusa, troppo mossa per capire ... la seconda un mezzo busto, i suoi primi 3 punti!
La platea comincia a scaldarsi,  inizia il tifo,  i due hanno capito che devono esporsi per fotografare, e come se ad ogni click partisse un dardo, fanno per scansarsi, s'abbassano, cercando di sfuggire il mirino del''avversario.
Dieci, quindici, venti immagini a volte totalmente vuote, tanto sfocate da far venire il mal di mare,  mentre li guardo mi convinco che non deve essere facile, stare li sopra.
Sicuramente hanno impostato la macchina durante la presentazione, non so di preciso a quale sensibilità corrisponda il dorso digitale che montano, ma a guidicare dal mosso delle immagini il tempo impostato non dovrebbe essere maggiore di 1/125, anche la messa a fuoco è preimpostata, la distanza tra loro è sempre sui 10 metri.
Sono assorto a pensare e non mi accorgo del passare del tempo.... è successo qualcosa, qualcosa che non era previsto, anche se immaginabile.
Sand ha finito le sue 36 foto.
Come un pistolero senza più munizioni, di fronte al suo nemico, appare spaesato,  non aveva considerato questa possibilità,  ..... diventare un coniglio in recinto alla mercè d'un cacciatore.
Veer ha ancora 3 foto, leggo il punteggio sullo schermo ha 38 punti, Sand 44!
Manca poco piu' d'un minuto alla fine, Sand non ha scelta, deve scappare, muoversi, evitare d'essere inquadrato.
Il tifo ora è tutto per lui, il "fuggitivo". Come nei film dove il più debole attira le simpatie degli spettatori. Ora l'atmosfera è decisamente goliardica, tifo da stadio, un "ole'" parte dagli spalti per ogni finta,  lui si muove velocemente, s'abbassa, si nasconde. La gente ride nel vedere questa situazione grottesca. Dieci secondi.... cinque .... tre .... due ... uno..
E' finita, un'ovazione, applausi, i due ancora storditi si fermano, si guardano intorno  si avvicinano, si danno la mano, si stringono in un abbraccio che scarica lo stress accumulato.
Sand ce la fatta, ha vinto!
Sui video passano le immagini,  visi concentrati, espressioni di tensione, alcune foto sono anche belle.
La giornata è stata intensa, il viaggio, la moto, il vento, le prime mostre, le foto.... è giunta l'ora di di riposare, riposare tutto, occhi , ossa, mente.
Lentamente leghiamo le mostre borse sul portabagagli della moto, infiliamo il casco, accendiamo il motore, le luci, via il cavalletto e ci dirigiamo verso il campeggio, dove la nostra canadese ci aspetta per dare un tetto ai nostri sonni.

Cap. 3 - La notte dei lunghi coltelli

Per quanto stanchi, rimane un rito prima d'infilarsi nella tenda, una sigaretta, magari un goccio di rum, o quello che capita  e qualche parola , appoggiati ad un tronco o un sasso, con gli occhi puntati verso il cielo.
Ho sempre guardato le stelle, vicine e intense nei bivacchi in montagna, luminose e surreali nel mezzo del deserto.  Qualche volta ho provato ad imparare le costellazioni. Tutto quello che mi ricordo sono solo il grande e piccolo carro che riesco sempre a ritrovare, con la grande soddisfazione di riconoscere e fare mio almeno un pezzetto di cielo.
Per il resto guardo, ma non vedo,  affascinato ogni volta dalla possibilità di perdersi nei propri pensieri che offre il cielo di notte, oppure di perdersi e basta come se quella vista da sola riempisse tutto e non lasciasse spazio per altro che non il nulla.
A volte capita di stare li, seduti insieme, senza parlare,  intenti ad assaporare questo  vuoto che  riempe,  quel tutto che hai davanti, talmente grande ed indicibile da annullarle i miei pensieri, diventati d’un tratto  piccoli.
Non fosse per le zanzare, che in questa zona di paludi, sono talmente tante ed aggressive da infastidire anche un elefante, resteremmo ancora fuori .... ma sono troppe.
Si accaniscono sul volto, le mani, entrano nei pantaloni, sento il loro rozio vicino le orecchie, sono un buon motivo per trovare tranquillità  nella nostra casa, la tenda.
Un "zipp" e un masticato buonanotte sono gli ultimi rumori che sento, il resto è il nulla.
Stamani le vie di Arles sono in stato d'assedio, non un rumore d'arma da fuoco, ne sacchi di sabbia nei punti strategici solo orde di fotografi  riversati nelle strade, nulla è assimilamile al concetto di normalità. Rumori d'otturatori, motori che avanzano rulli, dorsi che si aprono scaricano e ricaricano pellicole,  lampi, eccitazione. La gente si muove con circospezione, il passo veloce, la testa bassa, una mamma guida il suo passeggino cambiando spesso strada, davanti a me ho una città assediata,
Tutto sembra permesso, non si tratta più di rubare un'immagine, non c'è un "momento decisivo". È violenza, niente e nessuno viene risparmiato, dai gatti ai bambini tutti sono oggetti-soggetti di questa follia collettiva, manca solo di vedere qualcuno bloccato a forza, legato od obbligato ad assumere posizioni innaturali e coperto da una scarica di click.
In tutto questo caos solo avere una macchina al collo sembra un deterrente, un salvacondotto per girare indenne. Non ho mai una borsa vistosa, sono ancora disorientato, la macchina ancora riposta quando vengo accerchiato da tre, quattro fotografi. Una presenza invadente, irrispettosa, vogliono il mio volto, le mie espressioni, i miei attimi.
Indietreggio, cerco di capire, parlare. Le spalle contro un muro, davanti a me non vedo volti, ma solo macchine. Tre, quattro,  dieci non le contro più, sembrano moltiplicarsi; il rumore, quanto rumore. Motori, click, voci che ordinano, chiedono, vorrei urlare ma il suono rimane in gola.
Quando apro gli occhi sono sudato, il sole è alto già da un po’ e la tenda, montata in prato è un forno.  Era un sogno … solo un sogno.
Mi trascino fuori,   ho voglia d’aria.  Mi vesto, ci vestiamo, mettiamo i sacchi all’aria. Una passeggiata ai bagni, un caffè al bar. Ecco tutte o quasi le operazioni mattutine sono fatte. Prendiamo la macchina e la nostra scatola 20x30 di foto. Oggi ho un’appuntamento, un critico di una galleria parigina legge i portfoli e io saro’ da lui.
 


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