Cap. 1 - I mimi offrono la loro
carne
Arles Ore 10 piazza della Repubblica.
La spalla destra da un dolore allucinante, un
solco livido mi ricorderà per più di una settimana l'errare
per queste vie alla ricerca di mostre, con il fardello, sempre presente
ed inrinunciabile, del mio corredo fotografico.
Seduto ad un tavolo del bar colgo l'occasione
per riposare i piedi, la spalla, la mente.
Osservo la piazza, il tempo è incerto
ma il cielo sereno, grossi banchi di nuvole bianche riempiono l'azzurro,
i colori sono puliti, intensi.
La gente cammina tranquilla, il calo demografico
di cui si parla tanto sembra solo un dato statistisco; bambini di tutte
le età camminano vicino alle loro carrozzine, si ciondolano negli
zaini del padre.
Qualche foto ricordo, la mamma vicino la fontana,
la ragazza nella piazza.
Bevo della vittel, credo che l'acqua distillita
che uso per la mia moto sia più saporita, ma la mia gastrite non
mi permette di abusare delle altre acque francesi a base di gas "naturali".
Delle volte mi chiedo com'è possibile far stare tutta quell'aria
in così poca acqua.
Mi devo essere distratto per troppo tempo, ora
la piazza ferve di attività. Mimi venuti da chissà dove si
gettano nella fontana, camminano sui trampoli, urlano in modo disumano
e macchime fotografiche, zoom, teleobiettivi spuntano fuori da ogni dove;
quello che sembrava un ignaro passante, un tranquillo padre di famiglia
si trasforma in un terribile cacciatore.
Le urla degli attori, le voci dei bambini, il
rumore delle fontane vengono coperti da motori che trascinano, caricano,
gli specchi si alzano, otturatori si aprono, sibili di flash che si ricaricano.
E' l'inizio di una battaglia che avrà
i suoi vinti e vincitori.
I mimi offrono la loro carne in pasto ai fotografi,
ad ogni loro movimento seguono scariche di click, vrurr, cambi frenetici
di obiettivi, i dorsi delle macchine si aprono famelici chiedendo ancora
pellicola, colore, B/N, diapositive, non importa, basta continuare. Continuare
finchè qualcuna delle parti non ceda alla stanchezza. Stanchezza
di dare, di prendere.
Non posso più continuare a guardare impassibile
quello che accade, sono qui anche per questo, hanno aperto le danze ..
è ora di ballare . Ho deciso andrò in prima linea , lascio
venti franchi sul tavolo del bar, monto il 17mm, il mio grandangolo preferito,
e mi avvio nella mischia.
Cammino spedito, cerco di essere disinvolto,
la macchina stretta saldamente nella mano destra. Mentre mi avvicino studio
la situazione, penso alle possibili inquadrature, controllo il tipo di
pellicola caricata.
Con discrezione mi porto davanti, controllo di
non essere nel mirino altrui, mi inchino di fronte al mimo, guardo nel
mirino, ........ adesso è mio.
Inquadro, scatto, carico, una, due, dieci volte;
gli sono talmente vicino che sento il suo odore, posso quasi sentire i
suoi pensieri.
Già i suoi pensieri, la gente lo osserva,
lo riprende, sorride alla sua ironia, concitata reagisce alle sue urla
e lui è li per questo, lui ha vinto. Non è mio, io sono suo.
Inquadro, scatto, carico, la macchina si blocca,
il contatore segna 36, cazzo, non doveva finire proprio adesso.
Mi ritiro a cambiare il rullino, adesso però
monto il colore, mi piacciono le sfumature del suo trucco mentre scivola
nell'acqua, cambio anche obiettivo, metto il tele, è difficile stare
in prima linea, non voglio entrare nello spettacolo come fotografo.
Ora sono più distante, intorno a me tutti
hanno un solo occhio, pochi si guardano, chi lo fa sorride con aria di
complicità.
Contino a scattare, anche mentre vanno via.
E' finita, la piazza riprende la sua vita normale,
i bambini giocano, i cani tirano i padroni. Sarà durato dieci, quindici
minuti, sul campo restano poche scatole vuote di rullini ed i pezzi della
scarna coreografia usata, come se non fosse successo nulla.
Ma non è così. Centinaia di istanti
sono stati fermati, ricordi, per alcuni, materiale da lavoro per altri.
Sto pensando alla fine che faranno tutte
quelle foto quando qualcuno mi chiama.
E' Marco, il mio compagno di viaggio, aveva dimenticato
le chiavi nel quadro della moto, lo vedo sorridere, evidentemente è
tutto a posto. Gli racconto quello che è successo, la piazza, i
mimi.
Ci conosciamo da anni, accadde sul traghetto
per la corsica, io solo con la mia BMW, lui con la sua Guzzi. Due diverse
fedi motociclistiche ma con la comune voglia di viaggiare e la scoperta
della passione per la fotografia fece il resto.
Insieme lasciamo la piazza, guardiamo i negozi,
le ragazze che passano, ci aspettiamo pazientemente quando uno di noi rallente
per scattare una foto.
Non è raro, mentre camminiamo, vedere persone
di ogni età trascinare su carrellini a due ruote delle grandi
cartelle di pelle o simile, sono i "book". Qualsiasi fotografo che si rispetti
ne ha uno, anche noi, ma per forza di cose non lo portiamo sempre appresso.
Ogni carrello porta un sogno,
la speranza di trovare una galleria per fare una mostra, un professionista
disposto a vedere il lavoro, un editore in cerca di nuovi talenti da pubblicare.
Qui ad Arles non è difficile, basta avere volontà, belle
foto, idee nuove e un pò di culo, che non guasta mai.
E' l'una i nostri occhi sono ancora pieni d’immagini,
altrettanto non si puo dire del nostro stomaco che emette suoni sinistri
e minacciosi. C'è un ristorante poco più avanti, ci sediamo
al tavolino ed ordiniamo una paiella, qui è buona come in Spagna,
ed a noi piace da morire.
All’estero non riusciamo mai a mangiare
al momento giusto, c’è sempre qualcuno che lo fa prima di te, e
per quanto mi sforzi di anticipare i tempi masse di uomini donne e bambini
sembrano provare gusto a lasciarci con l’amaro in bocca infatti il
cameriere torna poco dopo: “Desolato messier la paiella è terminata”
!!. Magiamo quello che resta e diamo un’occhiata al progamma questa sera
all’arena c’è il “Duello fotografico”.
Cap. 2 - Il duello fotografico
Questa sera all’arena di Arles (mai un posto
con questo nome è stato tanto adatto) una prima mondiale il “Duello
fotografico”.
Diversi reporter internazionali sono stati invitati
a partecipare a questa buffonata goliardica, ma l’umano ama sopraffare
il prossimo (magari rivalersi per un Pulitzer perso) e non escludo che
questa “gara” non abbia seguito nel tempo.
A coppie i fotografi si affrontano sul set-palcoscenico
con in mano le reflex digitali messe a disposizione dallo sponsor, ogni
scatto verrà trasmesso in tempo reale sui due enormi schermi
alle spalle del palco, dove troviamo anche, in puro stile kitch, finte
rocce e un paio si carcasse d'auto dietro cui nascondersi.
Le regole sono poche e semplici fotografare senza
essere fotografato; vince chi riprende piu volte
l'avversario con foto nitide e soggetto pieno;
al termine dei 36 scatti (giusto per ricordare la fotografia tradizionale)
la giuria assegna i punti (primi piani 4 pt., Piano amer. 3 pt ,fig.intera
1 pt., almeno una parte del soggetto deve essere a fuoco) e chi vince passa
il turno. Le macchine sono totalmente manuali, a memoria delle prime reflex,
niente motore e zoom 70/200. Un round dura 10 minuti.
L’arena è piena, dopo le cerimonie di
benvenuto, ringraziamenti a questo e quello, vengono presentati i primi
concorrenti Marc Sand e Philip Veer. Il primo, fotografo americano da poco
entrato nel gotha della Magnum (l’agenzia che vanta i migliori reporters),
segnalato per le sue immagini durante la guerra del golfo, il secondo di
origine austriaca naturalizzato in Francia noto per i reportages sull’attività
del cartello della droga colombiano.
L’abbigliamento dei due è sobrio e non
deve essere un caso se entrambi si sono vestiti di nero, per quanto il
palco sia abbastanza illuminato non è facile mettere a fuoco un
soggetto scuro.
L'atmosfera è un misto di programmatelevisivodasabatosera
e teatro d'avanguardia, il pubblico è pronto, i due fotografi a
distanza di 10 metri l'uno dall'altro sono pronti.
Le luci dell'arena si spengono, si spengono anche
quelle sul palco, sono attimi di tensione .. una voce fuori campo da il
via .. che la "festa" cominci!
Un'attacco musicale all'unisono con l'accensione
delle luci sul palco decreta l'nizio della sfida, Sand e Veer hanno
approfittato dell'oscurità per nascondersi. Veer è il primo
ad esporsi, si muove con agilità, passa da un angolo all'altro cercando
contemporanemente d'inquadrare l'avversario. Sand non è da meno,
e tenta il primo scatto, sul video appare in tempo reale l'immagine ,,,
una spalla in un angolo del "fotogramma".
Anche Veer scatta, il momento migliore è
quando l'avversario prende la "mira", riesce a fare due foto, la
prima confusa, troppo mossa per capire ... la seconda un mezzo busto, i
suoi primi 3 punti!
La platea comincia a scaldarsi, inizia
il tifo, i due hanno capito che devono esporsi per fotografare, e
come se ad ogni click partisse un dardo, fanno per scansarsi, s'abbassano,
cercando di sfuggire il mirino del''avversario.
Dieci, quindici, venti immagini a volte totalmente
vuote, tanto sfocate da far venire il mal di mare, mentre li guardo
mi convinco che non deve essere facile, stare li sopra.
Sicuramente hanno impostato la macchina durante
la presentazione, non so di preciso a quale sensibilità corrisponda
il dorso digitale che montano, ma a guidicare dal mosso delle immagini
il tempo impostato non dovrebbe essere maggiore di 1/125, anche la messa
a fuoco è preimpostata, la distanza tra loro è sempre sui
10 metri.
Sono assorto a pensare e non mi accorgo del passare
del tempo.... è successo qualcosa, qualcosa che non era previsto,
anche se immaginabile.
Sand ha finito le sue 36 foto.
Come un pistolero senza più munizioni,
di fronte al suo nemico, appare spaesato, non aveva considerato questa
possibilità, ..... diventare un coniglio in recinto alla mercè
d'un cacciatore.
Veer ha ancora 3 foto, leggo il punteggio sullo
schermo ha 38 punti, Sand 44!
Manca poco piu' d'un minuto alla fine, Sand non
ha scelta, deve scappare, muoversi, evitare d'essere inquadrato.
Il tifo ora è tutto per lui, il "fuggitivo".
Come nei film dove il più debole attira le simpatie degli spettatori.
Ora l'atmosfera è decisamente goliardica, tifo da stadio, un "ole'"
parte dagli spalti per ogni finta, lui si muove velocemente, s'abbassa,
si nasconde. La gente ride nel vedere questa situazione grottesca. Dieci
secondi.... cinque .... tre .... due ... uno..
E' finita, un'ovazione, applausi, i due ancora
storditi si fermano, si guardano intorno si avvicinano, si danno
la mano, si stringono in un abbraccio che scarica lo stress accumulato.
Sand ce la fatta, ha vinto!
Sui video passano le immagini, visi concentrati,
espressioni di tensione, alcune foto sono anche belle.
La giornata è stata intensa, il viaggio,
la moto, il vento, le prime mostre, le foto.... è giunta l'ora di
di riposare, riposare tutto, occhi , ossa, mente.
Lentamente leghiamo le mostre borse sul portabagagli
della moto, infiliamo il casco, accendiamo il motore, le luci, via il cavalletto
e ci dirigiamo verso il campeggio, dove la nostra canadese ci aspetta per
dare un tetto ai nostri sonni.
Cap. 3 - La notte dei lunghi coltelli
Per quanto stanchi, rimane un rito prima d'infilarsi
nella tenda, una sigaretta, magari un goccio di rum, o quello che capita
e qualche parola , appoggiati ad un tronco o un sasso, con gli occhi puntati
verso il cielo.
Ho sempre guardato le stelle, vicine e intense
nei bivacchi in montagna, luminose e surreali nel mezzo del deserto.
Qualche volta ho provato ad imparare le costellazioni. Tutto quello che
mi ricordo sono solo il grande e piccolo carro che riesco sempre a ritrovare,
con la grande soddisfazione di riconoscere e fare mio almeno un pezzetto
di cielo.
Per il resto guardo, ma non vedo, affascinato
ogni volta dalla possibilità di perdersi nei propri pensieri che
offre il cielo di notte, oppure di perdersi e basta come se quella vista
da sola riempisse tutto e non lasciasse spazio per altro che non il nulla.
A volte capita di stare li, seduti insieme, senza
parlare, intenti ad assaporare questo vuoto che riempe,
quel tutto che hai davanti, talmente grande ed indicibile da annullarle
i miei pensieri, diventati d’un tratto piccoli.
Non fosse per le zanzare, che in questa zona
di paludi, sono talmente tante ed aggressive da infastidire anche un elefante,
resteremmo ancora fuori .... ma sono troppe.
Si accaniscono sul volto, le mani, entrano nei
pantaloni, sento il loro rozio vicino le orecchie, sono un buon motivo
per trovare tranquillità nella nostra casa, la tenda.
Un "zipp" e un masticato buonanotte sono gli
ultimi rumori che sento, il resto è il nulla.
Stamani le vie di Arles sono in stato d'assedio,
non un rumore d'arma da fuoco, ne sacchi di sabbia nei punti strategici
solo orde di fotografi riversati nelle strade, nulla è assimilamile
al concetto di normalità. Rumori d'otturatori, motori che avanzano
rulli, dorsi che si aprono scaricano e ricaricano pellicole, lampi,
eccitazione. La gente si muove con circospezione, il passo veloce, la testa
bassa, una mamma guida il suo passeggino cambiando spesso strada, davanti
a me ho una città assediata,
Tutto sembra permesso, non si tratta più
di rubare un'immagine, non c'è un "momento decisivo". È violenza,
niente e nessuno viene risparmiato, dai gatti ai bambini tutti sono oggetti-soggetti
di questa follia collettiva, manca solo di vedere qualcuno bloccato a forza,
legato od obbligato ad assumere posizioni innaturali e coperto da una scarica
di click.
In tutto questo caos solo avere una macchina
al collo sembra un deterrente, un salvacondotto per girare indenne. Non
ho mai una borsa vistosa, sono ancora disorientato, la macchina ancora
riposta quando vengo accerchiato da tre, quattro fotografi. Una presenza
invadente, irrispettosa, vogliono il mio volto, le mie espressioni, i miei
attimi.
Indietreggio, cerco di capire, parlare. Le spalle
contro un muro, davanti a me non vedo volti, ma solo macchine. Tre, quattro,
dieci non le contro più, sembrano moltiplicarsi; il rumore, quanto
rumore. Motori, click, voci che ordinano, chiedono, vorrei urlare ma il
suono rimane in gola.
Quando apro gli occhi sono sudato, il sole è
alto già da un po’ e la tenda, montata in prato è un forno.
Era un sogno … solo un sogno.
Mi trascino fuori, ho voglia d’aria.
Mi vesto, ci vestiamo, mettiamo i sacchi all’aria. Una passeggiata ai bagni,
un caffè al bar. Ecco tutte o quasi le operazioni mattutine sono
fatte. Prendiamo la macchina e la nostra scatola 20x30 di foto. Oggi ho
un’appuntamento, un critico di una galleria parigina legge i portfoli e
io saro’ da lui.