Camuccini
STILE, OPERE E IMPORTANZA
Vincenzo Camuccini nacque a Roma nel 1771 e lì vi morì nel
1844.
Aveva il Camuccini poco più di tredici anni quando il David
espose nel suo studio di Piazza del Popolo il Giuramento degli
Orazi, quindi non si vorrà affermare che proprio la vista di
quella pittura programmatica abbia determinato gli orientamenti
del ragazzo. Il quale nella sua opera più antica a noi nota, una
tela nella volta di una sala della Villa Borghese, dipinta nel
1790, con Archelao che consegna il fanciullo Paride ad Ecuba, non
sembra volersi allontanare dai precetti dell'archeologo-pittore
Gavino Hamilton.
In verità il Camuccini era stato educato alle scuole di Domenico
Corvi e del Batoni, e in quelle accademie s'era soprattutto
esercitato a copiare pitture di cinquecentisti e seicentisti
romani facendosi una mano praticissima nel definire col disegno
piani e volumi.
Pratica che gli fu molto utile quando, cresciuto d'età e
d'esperienza, attratto dalle nuove idee riecheggianti i precetti
del David, si pose a comporre scene d'un gusto neoclassico
fattosi ormai teatrale e gonfio d'oratoria. Un gusto nel quale le
esperienze di pittura seicentesche da lui fatte alla scuola del
Corvi hanno un peso determinante nella facoltà, divenuta propria
del Camuccini, di disegnare, precisando a seppia o ad inchiostro,
con forti contrasti d'ombra e luci, le masse plastiche; tanto che
a volte sembra abbia veramente inteso perfino i valori
luministici della pittura del Caravaggio.
In tale senso i suoi disegni sommari, a tratti vigorosissimi e a
violente ombreggiature segnate alla brava, pur essendo quanto di
meno davidiano si possa immaginare, nella pratica
dell'esecuzione, tutto sommato spiegano anche un suo modo
d'intendere e ridurre ai propri accenti la grande vigoria
espressiva dal francese. E lo stesso dicasi dei bozzetti che
oggi, di fronte ai teloni, nei quali quei suoi forti caratteri
appaiono attenuati per i modi convenzionali e accademici
dell'esecuzione, ci lasciano intendere di quali effettive
qualità pittoriche egli fosse dotato. Qualità che egli invece
non seppe poi applicare per affrancarsi del tutto dal gravame di
un conformismo accademico nel quale, mietendo pratici successi,
venne adagiandosi. Così dopo le due grandi tele con la Morte di
Cesare e la Morte di Virginia, oggi a Napoli, a Capodimonte ed
alla cui realizzazione egli attese per oltre dodici anni (ma il
bozzetto, indubbiamente seducentissimo, della prima è nella
collezione degli eredi del pittore), che segnano la sua maggiore
adesione alle teorie davidiane, il Camuccini se ne tornò al
Corvi e al suo comporre chiaroscurato nei quadri di soggetto
religioso. Così nella sua carbonosa Giuditta della Prepositurale
di Alzano Lombardo, nel S.Tommaso già del Museo Petriano (1803),
e perfino nella più tarda Conversione di S.Paolo che è nella
Basilica Ostiense a Roma.
D'altro canto a considerare tutta la produzione del pittore, di
cui, nelle collezioni dei suoi discendenti romani e nel castello
di Cantalupo in Sabina ci sono tante testimonianze, si ha
l'impressione se non proprio di una sua doppia vita pittorica
(una estrosa, libera, spontanea, quella dei disegni, dei
bozzetti, delle prime impressioni; l'altra meditata, conformista,
accademica) del susseguirsi di due momenti in apparenza tra loro
indipendenti. Due momenti o due stadi compositivi nei quali, per
deficienza critica, egli non seppe discernere quel punto
intermedio che forse avrebbe potuto portarlo a più conclusive
espressioni. Infatti, molte di quelle composizioni iniziali, di
quegli abbozzi, che se fossero rimasti soli a testimoniarci
dell'attività del pittore ci avrebbero forse indotto a
sopravvalutarne i meriti, sono il frutto di una superficiale
ricerca di effetti, affidata ad una notevole abilità manuale che
consente una fattura corsiva, veloce, a macchia, tuttavia di
qualche prestigio e anche anticipatrice. Però, come per
l'autoritratto già a Cantalupo e distrutto durante l'ultima
guerra, viene talvolta da sospettare che quegli abbozzi veloci
siano non anteriori ma successivi all'opera compiuta quando
cioè, finito un quadro, il Camuccini si compiaceva, come narra
l'Hayez, di tracciarne, di nuovo, con qualche variante un abbozzo
vivace. Altre volte invece, come per l'abbozzo del ritratto di
Ferdinando II, si tratta realmente di una prima veloce
impressione. Ad ogni modo ricordiamo che, fra il 1818 e il 1819,
fu a Roma anche Thomas Lawrence il cui stile sembra ripreso nella
ritrattistica camucciniana del periodo più avanzato.
Altre opere del Camuccini, pittore ai suoi dì celebratissimo,
anzi "incontrastato", nel 1806 principe dell'Accademia
di S.Luca, nel 1810 onorato a Parigi, nel 1820 creato barone da
Pio VIII, quindi Soprintendente ai Palazzi Apostolici e membro
corrispondente dell'Istituto di Francia, ed altro ancora, sono:
La Presentazione al Tempio per la Cappella del Rosario in San
Giovanni a Piacenza, S.Gregorio e S.Agostino nella chiesa di S.
Nicolò a Catania (1833), S.Orso nella Cattedrale di Ravenna,
Tolomeo Filadelfo e Carlo Magno, due grandi tele dipinte per il
Quirinale, poi da Gioacchino Murat trasferite a Napoli nella
Reggia e oggi a Montecitorio, La Battaglia di Ratisbona e
Cornelia Madre dei Gracchi dipinte per Elisa Baciocchi
principessa di Lucca, Federico Barbarossa dà il comando della
città di Perugia a Ludovico Baglioni, oggi a casa Baglioni di
Perugia, rappresentazioni della vita di Attilio Regolo in casa
Capeletti a Roma, S.Francesco di Paola che risuscita un
giovanetto nella chiesa napoletana dedicata a quel Santo (1835),
e molte altre di minore importanza.
Memorabili particolarmente i ritratti, fra gli altri, quello di
Pio VII conservato nella Pinacoteca di Cesena, quello del Duca di
Blacas, del Re e della Regina di Napoli, della contessa
Sconvaloff, della contessa Dietrischstein, del pittore Kral nelle
collezioni dei baroni Camuccini, ed altri in raccolte pubbliche e
private italiane e straniere.
L'influenza del Camuccini, per molti aspetti mediatore degli
accenti davidiani, fu indubbiamente notevole nell'ambito romano
e, almeno in parte, venne a modificare, con il procedimento
dell'accentuazione delle ombre e delle luci, il fare di pittori
di minor levatura cresciuti come lui nell'ambiente dominato dalle
personalità del corvi e dei seguaci del Mengs
e del Batoni.