BERTEL THORVALDSEN
Lo scultore danese Bertel Thorvaldsen, giunto a Roma nel 1797,
scelse la capitale pontificia come propria residenza, confermando
la tendenza, particolarmente favorita in epoca napoleonica, a
fare di Roma la capitale europea delle arti. In breve tempo lo
studio aperto dal Thorvaldsen avrebbe costituito il controcanto
al già affermato studio del Canova e,
dopo la morte di quest'ultimo, l'autore nordico sarebbe divenuto
incontrastato dominatore della scena romana .
Egli, partendo da elementi di linguaggio neoclassico, ha
contribuito al suo superamento con l'introduzione della
componente sentimentale di matrice romantica. Le opere
dell'autore danese , però, contrariamente a quelle del Canova,
sono ancor oggi poco conosciute e Roma sembra aver spazzato via
il ricordo di uno dei suoi più mirabili geni della scultura.
Ciò è dovuto senz'altro a due fattori: in primo luogo alla
perdita di tutto il patrimonio scultoreo del Thorvaldsen, che nel
1838 decise di tornare in patria affidando la propria memoria al
museo fondato a Copenaghen, dove trasferì la maggior parte delle
sue opere, lasciandone pochissime a Roma (vedi il Giasone, Ingresso di Alessandro Magno in
Babilonia, Monumento funebre di Pio
VII); in secondo luogo alla cortina d'oblio stesa sul purismo
in genere, corrente entro la quale l'artista aveva un posto di
primo piano.
Fin dalla mostra organizzata in Campidoglio nel 1809, cui presero
parte tutti gli artisti all'epoca presenti in Roma, si avvertì
accanto all'ala neoclassica rigorosa, una corrente di artisti, a
cui faceva capo Vincenzo Camuccini,
con una connotazione fortemente sentimentale. Si trattava di un
moto nostalgico volto al recupero dell'autenticità dei valori
morali e spirituali, che solo i popoli antichi possedevano. Il
Thorvaldsen si identificò da subito con questa corrente
spirituale, agli antipodi del sensualismo di eredità barocca del
Canova. La produzione dello scultore, per l'impiego esasperato di
forme, proporzioni ed elementi canonici, esce dal mondo naturale
e si attesta come realtà ideale, elemento di contatto con
l'amato mondo antico, con cui il Thorvaldsen non entra, al
contrario di Canova, in competizione ma che evoca con tanta più
efficacia il malinconico distacco tra passato e presente.