Segrate (2° parte)

Da "Città di Segrate"

Da www.delrock.it

Da "L'isola che non c'era"

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Città di Segrate, anno 4, n. 1, febbraio 2001

Un grande concerto ha aperto la stagione culturale segratese 2000/2001

SCROSCIANTI APPLAUSI PER JURI CAMISASCA

Il primo dicembre scorso, con qualche giorno di anticipo rispetto alle stagioni culturali milanesi, il concerto del cantautore Juri Camisasca nella chiesa parrocchiale di Rovagnasco ha inaugurato il grande programma segratese di spettacoli ed eventi culturali.

“Abbiamo fatto una scelta un coraggiosa, che è stata premiata dai segratesi.” Questa l’opinione dell’Assessore alla Cultura, Guido Peroni, che ha deciso di proporre un artista poco conosciuto al grande pubblico ma di grandissimo spessore artistico e culturale.

Grazie ad una attenta promozione, che ha utilizzato non solo i canali tradizionali ma anche il Web, lo spettacolo ha richiamato un pubblico valutato in oltre seicento persone: tutti occupati i posti a sedere e non poca gente in piedi.

Nel corso del concerto, preceduto da una breve presentazione del parroco di Sant’Ambrogio ad Fontes, Camisasca ha presentato dapprima delle canzoni con testo in latino, accompagnate da una base musicale moderna: il risultato è affascinante e rappresenta una delle caratteristiche originali di questo sorprendente artista.

Segue la parte di canzoni in italiano, nella quale si alternano pezzi dai dischi di Camisasca, con altri incisi da Alice, e da Battiato: “Il sole nella pioggia”, “Nomadi”e applauditissima “Il carmelo di Echt”, sulla vita di Edith Stein, una carmelitana di origine ebrea morta ad Auschwitz.

Al termine il pubblico ha lungamente applaudito con convinzione ottenendo due nuove uscite del cantante che dopo “Il giorno dell’indipendenza”, canzone portata da Alice quest’anno a Sanremo, ha chiuso con “Himalaya”, una canzone degli esordi, (una canzone per un viaggio, adatta per un addio, saluta Camisasca). Validi i musicisti che hanno seguito Camisasca dalla Sicilia. Indovinata la scenografia costruita con fasci di luce che si incrociavano in continuazione sui dipinti della chiesa fin sopra il pubblico.

Immersi in un clima concentrato e ispirato, abbiamo vissuto una serata toccante, con canzoni e gregoriani emozionanti e intensi.

 

Dal sito www.delrock.it

Venerdì sera, alla Chiesa di Sant’Ambrogio ad Fontes di Segrate (Milano), c’era un pubblico quantomeno inconsueto: composto di «gente comune», vale a dire famigliole devote, punk, suore, reduci degli anni Settanta, preti, giovani in aria di new age e chissà cos’altro. Un pubblico insolito per un artista, Juri Camisasca, che lo è ancor di più. Un concerto-evento nel vero senso del termine, poiché il cantautore milanese non è facile a concedersi, come dimostrano i pochi dischi pubblicati in oltre venticinque anni e le ancor meno frequenti performance (bisogna contare ben due lustri passati in un convento benedettino, fra l’altro), sebbene negli ultimi scorci è tornato a un buon regime di lavoro, sia in proprio sia con amici-colleghi come Franco Battiato e Alice.

Una figura enigmatica, che è spiegata benissimo da uno dei giornalisti più attenti alla musica italiana, Giordano Casiraghi: «Juri tenne a battesimo una rassegna che io organizzai, con un concerto indimenticabile: lui, la sua voce e l’harmonium. Non mi rendevo conto che quello strumento sarebbe stato da lui suonato per l’ultima volta, in quell’occasione. Qualcun altro arrivò a ritirarlo mentre in lui diventava urgente staccarsi dal mondo musicale ordinario. Avrei voluto fargli vedere quell’articolo che il Corriere delle Sera gli dedicò il giorno dopo; in quel momento seppi che non abitava più a Milano ma in un monastero. Fu allora che in qualche modo spiegai quel titolo che, inconsciamente e su indicazione di Franco Battiato, detti alla rassegna: "L’evoluzione interiore dell’uomo"».

Più di vent’anni dopo, Juri Camisasca è ancora sulle scene, forse in maniera defilata ma presente, come dimostra l’intensa performace tenuta in quest’occasione. Dallo sconvolgente esordio del 1974, La finestra dentro, l’artista non si è premurato di riprendere nulla: oggi il musicista non è più il folle narratore di una realtà vicinissima alle intenzioni kafkiane, bensì un asceta prossimo a quel che si può chiamare equilibrio interiore (nonostante la «controllata agitazione» pre concerto cui abbiamo assistito). È con questo spirito che l’esibizione, proposta con un gruppo formato da violoncello, tastiere e percussioni, inizia con quattro canti gregoriani, Exultet, Oh Redemptor, Aura luce e Victimae paschali, e un salmo musicato del Vecchio Testamento, Salmo 113.

Dopodiché si entra nel repertorio pop del musicista, dove la parte del leone la svolgono i brani del suo ultimo album, il bellissimo Arcano enigma (1999) inciso nientemeno che con i Bluvertigo e con la produzione di Franco Battiato: L’evidenza dell’amore, Non cercarti fuori, Polvere e diamanti, Arcano enigma, Tocchi Terra tocchi Dio, Sant’Agostino e Vegetarian Song, pezzi che sono fra il meglio di questo sibillino comunicatore mistico che usa la musica come principale mezzo d’espressione. A ciò si aggiungono scampoli del passato quali la poesia impalpabile di Nuvole bianche, di Le acque di Siloe e de L’era del mito, la trascendenza mistica de Il carmelo di Echt e il crossover ante litteram di Himalaya, proposto con un arrangiamento simile a quello di Kashmir dei Led Zeppelin; e, quindi, due capolavori come Nomadi, suo brano che Franco Battiato immortalò in Fisiognomica (1988), e Il giorno dell’Indipendenza, che Alice ha portato a Sanremo proprio quest’anno. Il finale, costretto dagli applausi della platea, vede ritornare Juri Camisasca sul palco a offrire di nuovo Il carmelo di Echt e Himalaya. E dopo tanta fatica, lo immaginiamo già nel suo eremo alle pendici dell’Etna dove vive in solitudine nella pace e nel silenzio. (cico casartelli)

L'isola che non c'era, anno VI, n. 21, aprile 2001

(versione integrale della recensione apparsa nella rivista)

Concerto di Juri Camisasca

 

Non è facile essere poeti e, nello stesso tempo, ben ancorati alla realtà temporale ma Juri Camisasca ha carisma da vendere e la sua capacità di “ipnotizare” la platea è pari alla sua sensibilità artistica. Una dimostrazione della sua versatilità nell’affrontare la platea l’ha data nella serata del primo Dicembre, nel corso di un concerto che si è svolto nella chiesa Parrocchiale di Rovagnasco in cui, complice un’atmosfera pre-natalizia ed ad un affresco del Cristo risorto valorizzato dalle luci ben guidate dal service preposto, Juri ha colorato di grande emozione il tempo a sua disposizione presentando una buona fetta del suo repertorio. Se la musica è anche riflessione, dobbiamo dire che Juri riesce ad orientarsi bene in questa dinamica punteggiando il suo act con interventi brevi di presentazione dei brani e prediligendo sempre un approccio molto metafisico sulle canzoni. Questo non vuol dire che le sue canzoni siano eteree e mistiche “tout court” perchè, come ben sa chi conosce le Sacre scritture, c’è tanta carnalità racchiusa tra le sue storie, le sue realtà, le sue tensioni ed aspirazioni. E’ questa un’altra delle sue caratteristiche colpiscono l’ascoltatore in quanto non è facile riuscire a restare a cavallo tra due mondi, così apparentemente inconciliabili, con coerenza e professionalità. Come un monaco che salmòdia nella controluce della notte è apparsa la sua figura all’inizio della sua esibizione. Ed è certamente la suggestione del luogo e del momento ad avere reso più intense le interpretazioni dei suoi brani in latino tratti dal suo album Te Deum (ricordiamo che la EMI non lo ha più ristampato; perchè non ci fa un pensierino visto che gli estimatori del canto gregoriano da tempo lo richiedono?) e nell’atmosfera sempre più intensa generata dal canto di Camisasca è stato naturale ritrovarsi disarmati a di fronte all’avvolgente interpretazione del Salmo 113, quello che narra della fuga degli ebrei dall’Egitto, musicato dallo stesso Juri. Il suono, pieno di tensione ed indicativo del clima di paura e smarrimento vissuto nella vicenda dagli ebrei, si apre, poi, ad una dimensione di speranza e gioia. Continua, con l’uso liquido delle tastiere ed una voce sempre ben impostata ed attenta a limare le asperità delle note più alte, la ricerca dello Spirito attraverso le note. Ed è in questo spirito che sfilano agili ed intensi brani come Nuvole Bianche e L’era del mito. Emozionante è stata l’esecuzione di Il carmelo di Echt che Juri ha presentato con parole sobrie e chiare. In questo brano si può dire che è condensata una vita/la vita, nel senso che si incontrano (e si scontrano) la storia di una persona e la Storia del mondo. Lei è un’ebrea, laureata in filosofia con somma lode all’Università di Friburgo, seguace di Husserl, padre della corrente filosofica denominata fenomenologia, che si converte al cattolicesimo in maniera forte e radicale, diventa suora di clausura e dal carmelo di Echt, città olandese in cui si era rifugiata, viene deportata ad Auschwitz e lì troverà la morte, il 9 Agosto del 1942, insieme ai milioni di vittime dell’Olocausto. Edith Stein, questo il suo nome, viene oggi venerata come Santa dalla Chiesa Cattolica. L’esecuzione è davvero toccante e la voce di Juri riesce a portarci nella dimensione raccontata dalla canzone (ma si può definire tale una simile composizione…?) e sono davvero appropriate quelle luci manovrate verso la figura del Cristo, posta nel retro altare, che pare voglia abbracciare tutto il dolore del mondo. Il sole nella pioggia è un colorato pastello che ci ristora dopo la tensione precedente così come L’evidenza di un amore è uno sguardo sul rapporto amore/Dio/uomo. Un suono affascinante di tastiere ed un violoncello che produce una grande atmosfera si incontrano sulla porta di Non cercarti fuori, metafora senza tempo in cui altro non si “insegna” che dobbiamo imparare a guardare dentro noi stessi per comprendere il mistero del mondo che sta fuori di noi. Il pathos fatto di etica e religione, ascesi e mistica, presente in Polvere e diamanti, “stordiscono” benevolmente gli ascoltatori conducendoli con la mente verso quel mondo spirituale un tempo abitato dagli anacoreti.  Sempre rivolti verso la dimensione spirituale della vita arrivano Arcano enigma, con un originale cantato in stile gregoriano che si acquieta in un finale suggestivo e struggente, ed Primo motore (uno dei modi per nominare il nome di Dio) ideale viaggio di ricerca della presenza cosmica del Divino. Ed inattesa arriva anche Himalaya, (brano della primissima produzione di Camisasca edito solo su 45 giri) con i suoi suoni world music che accompagnano nel cammino verso la meta di un brano che ricorda in maniera incredibile Kashmir dei Led Zepppelin (che lo scrissero molti anni più tardi, giusto per l’esattezza). L’esotismo lascia il posto alla dolce ed intensa armonia di Tocchi terra, tocchi Dio, con la voce che ricama morbide armonie e le tastiere ne assecondano le evoluzioni tra le luci sempre più importanti nell’economia scenografica. L’applauso nasce spontaneo e liberatoria dopo la “leggera” esecuzione di Nomadi, altro gioiello nella corona della discografia di Camisasca e, prima di “immergersi” in Le acque di Siloe, veniamo a sapere che questa è la canzone del suo repertorio in cui l’autore maggiormente si riconosce. E’ un invito ad aprire gli occhi, a non farci condizionare da quello che ci circonda, ad usare gli occhi del cuore. Siamo all’epilogo e dopo avere presentato Il giorno dell'indipendenza e Vegetarian song il saluto finale è demandato alla riproposta, intensa ed evocativa, de Il carmelo di Echt. La gente che ha assistito al concerto applaude contenta e si incammina verso le uscite con, ci auguriamo, qualche riflessione non banale dopo quanto ha abbondantemente ricevuto da un artista come Juri Camisasca. Un plauso particolare ai musicisti che hanno accompagnato Camisasca e ne hanno messo in risalto le sue peculiari doti di interprete: Tiziana Cavaleri (violoncello), Sandro Giurato (computer e tastiere), Riccardo Gerbino (percussioni), Francesco Calì (tastiere e fisarmonica), al Service audio e luci che ha offerto una risposta sonora ed evocativa davvero notevole ed agli organizzatori della serata (in particolare Alessia e Paolo) che hanno saputo “rischiare” proponendo un musicista che sarà anche non particolarmente noto ai più ma non per questo da considerare come minore in termini di capacità artistica. (Rosario Pantaleo)

foto Airaghi 2000

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