Agricoltura
biologica.
Cosa è, chi la fa, chi la consuma.
di Giorgio Ledda
Per
parlare di agricoltura biologica è necessario rifarsi al concetto
più ampio di sviluppo sostenibile. È ormai diventato evidente
che la via allo sviluppo che il mondo ha seguito nell’era industriale
e postindustriale non è più proponibile, perché
basata sull’assunto che le risorse naturali siano inesauribili (animali
da cacciare, foreste da abbattere, petrolio da estrarre, mari da inquinare).
Eppure tutti noi ormai sappiamo che non è così. Il petrolio
finirà nel giro di alcuni decenni, i mari sono inquinati fino
alle calotte polari ed il deserto e le discariche si contendono la terra
strappata alle campagne, mentre treni e navi fantasma, colmi di rifiuti
tossici, vagano per il mondo in cerca di un posto in cui rilasciare
il loro carico di morte.
Il
fenomeno non ha risparmiato il settore agricolo dove l’industrializzazione,
con l’introduzione in modo massiccio della chimica e della monocoltura,
allontanando le specie vegetali dal loro originario ciclo vegetativo
per forzarle a produrre frutti più commerciabili in quantità
maggiore ed in meno tempo (possibilmente fuori stagione), ha finito
per produrre alimenti con un minor valore nutritivo e un costo maggiore
in termini di salute pubblica e di devastazione ambientale.
Un capitolo
a parte è rappresentato dall’ingegneria genetica; la selezione
genetica esasperata era già riuscita a snaturare le specie vegetali
accentuandone la produttività a danno magari della loro capacità
di difesa dai fitopatogeni, creando colture che necessitano per arrivare
a maturazione una grande quantità di pesticidi. L’ingegneria
genetica introducendo nelle specie caratteristiche completamente estranee,
apre la strada a sconvolgimenti di cui è impossibile valutare
gli effetti a medio e lungo termine sulle catene alimentari e sull’equilibrio
dell’ecosistema.
Perseguire
uno sviluppo sostenibile significa valutare le azioni oltre che per
i benefici o disagi immediati per l’uomo anche per gli effetti a medio
e lungo termine sull’ambiente e quindi sui futuri abitanti della terra,
secondo la convinzione che la Terra non è ciò che abbiamo
ricevuto dai nostri padri ma ciò che dobbiamo lasciare ai nostri
figli.
In agricoltura,
che rimane la prima e principale forma di intervento dell’uomo sul territorio,
questo significa adottare tecniche colturali che contribuiscano a mantenere
in equilibrio l’ecosistema, assecondando la naturale capacità
delle piante di produrre alimenti sani e di difendersi dagli attacchi
dei parassiti.
Le piante
infatti hanno dei nemici naturali, spesso degli insetti (fitofagi) che
se ne cibano, arrecando danni al raccolto; tuttavia, in un ecosistema
in equilibrio, anche questi insetti hanno dei nemici naturali, che ne
impediscono la moltiplicazione oltre un certo limite. L’uso di pesticidi
chimici poco selettivi, che eliminano qualsiasi forma di vita, elimina
anche questi organismi antagonisti, privando l’ecosistema della sua
naturale capacità di reazione e aprendo la strada talvolta allo
scoppio di vere e proprie epidemie che hanno esiti letali per il raccolto.
La cura
delle siepi, vero e proprio rifugio per un’infinità di organismi
utili, ed in generale la difesa e l’aumento della biodiversità
(il numero di specie animali e vegetali presenti in un ecosistema),
aumentano le difese dell’ecosistema stesso, rendendo non indispensabile
il ricorso alla chimica. È anche possibile intervenire per incrementare
il numero di questi organismi utili allevandoli e lanciandoli in campo
in grande quantità. Esistono anche degli insetticidi naturali
altamente selettivi e poco tossici (derivati del piretro e oli naturali)
che colpiscono il parassita con limitati danni all’ecosistema.
Parlando
di fertilità del terreno è noto che alcune colture hanno
la caratteristica di impoverire in modo particolare il terreno di alcuni
elementi. La monosuccessione, cioè la ripetizione della stessa
coltura sullo stesso campo per più raccolti successivi, finisce
per impoverire il terreno sino alla desertificazione. La chimica consente
di reintegrare le sostanze mancanti con l’uso di appositi concimi chimici,
che per avere effetto immediato devono essere molto solubili, con il
risultato che solo una piccola parte della sostanza viene assorbita
dalle piante mentre l’altra finisce nelle falde.
La natura
e la saggezza popolare suggeriscono invece di alternare quella coltura
con un’altra che arricchisce il terreno proprio di quella particolare
sostanza. È
la tecnica della rotazione agraria, nota in Europa da diversi secoli
e che in Sardegna si realizza con la tradizionale alternanza tra grano
e fave; l’agricoltore biologico in questo modo spende meno soldi in
concimi e si trova una terra che di anno in anno aumenta la sua fertilità,
soprattutto se invece di raccogliere quella coltura ci passa sopra con
l’aratro interrandola, in modo che tutta la sostanza organica torni
alla terra (sovescio). E quando ce ne fosse bisogno soprattutto se l’azienda
ha anche l’allevamento, il letame animale è sempre un ottimo
concime a basso costo e per nulla inquinante.
L’agricoltura
biologica offre quindi una serie di valide alternative all’uso dei concimi
e dei pesticidi, senza rinunciare alla redditività ma con rispetto
dell’ambiente.
L’agricoltore
biologico è quindi un imprenditore che ha deciso di esercitare
la sua impresa agricola in modo responsabile preoccupandosi di salvaguardare
il capitale rappresentato dall’ambiente naturale, tutelare la sua salute
e quella della sua famiglia, oltre che naturalmente di garantirsi un
reddito dignitoso.
Il risultato
di questo cambio di filosofia produttiva è un prodotto esente
da residui tossici e ricco di tutti quegli elementi nutritivi che ha
potuto accumulare crescendo in un ambiente sano e vitale, che possono
in questo modo arrivare sulle nostre tavole ed estendere i loro benefici
sul nostro organismo, che se ne avvantaggia non meno di tutti gli altri
componenti dell’ecosistema.
È
in quest’ottica che va visto il calo di produttività legato all’introduzione
dell’agricoltura biologica, che si ripercuote sul prezzo di vendita
e talvolta anche sull’aspetto meno accattivante del prodotto: ciò
che paghiamo in più acquistando prodotti biologici ci viene abbondantemente
reso in salute per noi e per il nostro ambiente.
Giorgio
Ledda