L'arnia, considerazioni sulle recenti
innovazioni
L'avvento della Varroa, così come avvenne all'inizio del 1900
con la Peste Americana, ci ha dato, come si suole dire, la sveglia.
Siamo stati stimolati, se non costretti, a riesaminare il
microclima dell'alveare, l'eziologia degli agenti patogeni, la
biologia e l'etologia delle api, le tecniche costruttive delle arnie
ecc. ecc. Da queste ricerche nascono delle esigenze, che hanno
portato alla modifica di alcuni particolari delle arnie,che
successivamente si sono rivelati utili anche al di là degli scopi
per i quali erano stati ideati. Ovviamente non possiamo
inventarci delle cose stravolgenti, bisogna restare nell'ambito di
un contesto generale di modularità guardando strabicamente alla
funzionalità ed all'economicità. Le dimensioni Dadant-Blatt
stanno alla base dell'apicoltura mondiale ed è quindi logico e
conveniente rimanere in quest'ambito.
Il tetto
Ricordando il vecchio detto "Piedi freddi e testa
calda" interessiamoci della parte alta
dell'arnia. Indubbiamente il tetto piatto in lamiera zincata è
insuperabile per i nomadisti ma, siccome tutto può essere
migliorato, si può cambiare un particolare costruttivo per renderlo
ancora più isolante e più leggero. E' sufficiente sostituire le
tavole di legno del cielo sotto la lamiera con un pannello di
poliuretano espanso catramato, spessore due centimetri, del tipo
usato in edilizia, raggiungendo perfettamente lo scopo. Quando lo
proposi per la prima volta al mio costruttore di fiducia, il
compianto amico Angelo di Breganze (VI), nel suo laboratorio, lui lo
sottopose ad un collaudo estemporaneo, lo collocò nella giusta
posizione su un alveare che teneva in giardino, vi salì con un salto
con i suoi 90Kg. e passa, il tetto non ne risentì minimamente
ottenendo così la sua approvazione definitiva. Da allora lo
adottai su tutte le arnie con risparmio di peso ed una perfetta
coibentazione sia in estate sia in inverno.
il fondo
Per avere la possibilità di monitorare la
caduta delle varroe, spontanea e dopo un trattamento di
disinfestazione, è stato ideato il telaio di fondo che consiste in
un vassoio metallico alto circa 1 cm, delle dimensioni del fondo
dell'arnia, spalmato di olio e contenente un telaio in legno, chiuso
da una rete a maglie, di dimensioni tali da far passare le varroe
cadute ed impedire il passaggio alle api. Il tutto viene
introdotto dalla porticina di volo che necessariamente deve essere a
tutta apertura e di altezza non inferiore a 2 cm., per permettere
alle api di continuare la propria attività. Già questo ha
costretto moltissimi apicoltori a modificare la porta d'ingresso
che, specialmente nelle arnie stanziali a 12 favi, era in posizione
centrale e di ridotte dimensioni. L'introduzione ed il prelievo
del vassoio dal davanti risultava molto scomodo per l'apicoltore e
di disturbo per le api, questo ha stimolato la ricerca di una
soluzione più comoda. Nasce così il fondo mobile di rete a tutta
apertura, mi ricordo che, quando portai il mio prototipo all'amico
Graziano Corbellari, apicoltore di Tregnago (VR), per avere un suo
parere in anteprima, lui per tutta risposta mi mostrò il suo, erano
identici! Alla stessa esigenza avevamo risposto
indipendentemente con un'uguale soluzione tecnica. Di lì a poco
giunse dal Friuli la notizia dell'uso su vasta scala del fondo di
rete con ottimi risultati. Anche loro avevano avuto la stessa
idea! Il fondo di rete semplifica il lavoro ed elimina tutto
l'armamentario di vassoi metallici e telai con rete, sostituiti da
una tavola di fondo fatta di un semplice compensato verniciato o un
qualunque foglio rigido non assorbente di poco costo, ad esempio va
benissimo il plexiglass delle insegne luminose dismesse,
l'introduzione e l'estrazione avvengono dal di dietro dell'arnia su
delle guide in legno solidali con il fondo al di sotto della rete,
da non trascurare un'ulteriore particolare importante, si riduce il
peso dell'arnia. Il fondo di rete a tutta apertura ha posto
all'inizio un problema all'apicoltore: <<Tutta quest'aria dal
fondo non sarà nociva all'alveare? >> Come dire: <<
Teniamo o no la tavola sempre in funzione ? >> La risposta
è semplicissima: << NO ! >> La tavola di fondo
è uno strumento diagnostico che va adoperato per il tempo
strettamente necessario per capire cosa avviene all'interno
dell'alveare. Riguardo alla varroa, si può capire dalla conta delle
varroe cadute spontaneamente il grado d'infestazione dell'alveare e,
dopo il trattamento, l'efficacia dell'azione di risanamento
applicata. In generale l'osservazione dei residui o meglio delle
rosicchiature, ci permette di capire lo stato generale di salute
dell'alveare, il suo sviluppo, la sua forza. Tenere la tavola di
fondo montata costantemente, costringe l'apicoltore ad un continuo
lavoro di pulizia se non vuole diventare un allevatore di
tarme. Il fondo di rete va lasciato libero in ogni stagione, esso
ci libera dall'assillo dell'umidità, riduce il lavoro di pulizia
nostro e delle api quasi a zero, perché tutto ciò che cade dai favi
cade fuori con grande felicità delle formiche e
dell'apicoltore. Se qualcuno ha timore per il freddo invernale è
invitato a leggersi i paragrafi "Teorie riguardanti l'invernamento"
e " Perdite invernali" del volume - L'Ape e l'Arnia - di R. A. Grout
con particolare riguardo alla fig. 4 di pag. 448 ( edizione
italiana). A questo punto, visto che il ricambio d'aria è
assicurato dal fondo, il trasporto dei residui all'esterno, da parte
delle api, pressoché inutile, la porta di volo a tutta apertura
diventa eccessiva e controproducente, infatti, tra l'altro impegna
molte api nel servizio di guardia, conviene ridurla a quella che una
volta si chiamava posizione invernale corrispondente a circa 1/4
della larghezza dell'arnia, in questo modo è anche facilmente
chiudibile in vista del trasporto con della spugna o
gommapiuma. Vi siete chiesti a che serve il portichetto delle
arnie da nomadismo? Ormai credo che non serva proprio a niente,
indubbiamente è bello a vedersi, ci siamo affezionati ma,
tecnicamente è ormai inutile, occupa spazio, rende più costose le
arnie, ci riempie il magazzino di portelli.
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Il corpo
Per quante prove ed esperienze
siano state condotte "in ogni dove" e con i più disparati
materiali, alla fine il legno d'abete dello spessore di 24 mm,
possibilmente a tavola intera, risulta insostituibile:
relativamente leggero, resistente, coibentante quanto basta ed
alla fine dopo trent'anni di onesto lavoro ci cuocete anche le
patate; che volete di più!
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Apicoltura Vincenzo
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