32/420                      F I S C A L E                      20/12/2000

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COLLEGATO FISCALE ALLA FINANZIARIA 2000:

Approfondimenti particolari relativi a:

Ampliamento Legge Visco;

Rivalutazione dei beni delle imprese;

Nuova disciplina dei collaboratori coordinati e continuativi.


 

Con Legge 21 novembre 2000 n. 342 (pubbl. sul Suppl. Ord. n. 194/L alla G.U. n. 276 del 25.11.2000) è stato definitivamente approvato il cosiddetto Collegato Fiscale alla Finanziaria 2000, il quale risulta entrato in vigore dal 10 dicembre 2000.

Occorre precisare peraltro che le singole norme in esso contenute possono tuttavia decorrere da una data differente da quella sopra esposta.

Estrapolando le parti essenziali di quanto indicato dal Ministero delle Finanze con apposita Circolare n. 207/E del 16 novembre u.s., esponiamo qui di seguito un quadro sintetico delle disposizioni di maggiore interesse.

- Il provvedimento apre con importanti disposizioni in materia di redditi di impresa -

Art. 3 - Disposizioni di semplificazione in materia di redditi di impresa (c.d. "agevolazione Visco").

Modifiche alle disposizioni contenute nell’art. 2, commi da 8 a 12, della legge 13 maggio 1999, n. 133.

Con l’articolo 3, comma 1, del "collegato" è stato integrato l’art. 2, comma 8, della legge 13 maggio 1999, n. 133, aggiungendo un secondo periodo che estende l’ambito dell’agevolazione "Visco".

L’integrazione si sostanzia nella possibilità di utilizzare nel secondo dei due periodi d’imposta in cui si può usufruire dell’agevolazione gli ammontari degli investimenti, dei conferimenti e degli accantonamenti di utili a riserve, determinati ai sensi del comma 9 del predetto articolo 2 della legge n. 133 del 1999, che nel primo periodo d’imposta non hanno potuto rilevare ai fini dell’agevolazione.

Pertanto, così come anticipato con circolare n. 51/E del 20.03.2000 (capitolo 7), nel secondo dei periodi d’imposta sarà possibile riportare le eccedenze di investimenti e/o di incremento di patrimonio netto - cioè di entrambi i parametri – non utilizzate nel primo periodo, vuoi per preminenza di un parametro rispetto all’altro, vuoi per incapienza di reddito imponibile agevolato.

Occorre osservare che l’agevolazione in parola è limitata al periodo d’imposta in corso al 18 maggio 1999 ed al successivo, per cui gli ammontari degli investimenti, dei conferimenti e degli accantonamenti di utili a riserva, riferiti al secondo periodo d’imposta, non potranno essere ulteriormente utilizzati ai fini dell’agevolazione negli esercizi successivi.

A titolo di esempio, si ipotizza il caso di una società che abbia il periodo d’imposta coincidente con l’anno solare e che presenti le seguenti situazioni:

Esempio

Investimenti agevolabili netti operati nel 1999…………£ 1.000.000

Incrementi di patrimonio al netto dei decrementi

operati nel 1999……………………………………….. .£ 900.000

Importo massimo agevolabile…….……………….........£. 900.000

Reddito d’impresa………………….………………. ….£. 700.000

Importo agevolato………………….…………………. .£. 700.000

Atteso che l’importo massimo agevolabile ammonta a £. 700.000 in quanto il reddito d’impresa è, appunto, di £. 700.000, ne consegue che l’importo eccedente degli incrementi di patrimonio realizzati e non utilizzati nel 1999 per incapienza, pari a £. 200.000, potrà essere utilizzato ai fini dell'individuazione dell’importo massimo agevolabile nel periodo d’imposta 2000.

Parimenti, potrà essere utilizzata nel 2000 la differenza di £. 300.000 relativa agli investimenti agevolabili netti operati nel 1999, non utilizzata nel medesimo periodo d’imposta in quanto rappresentativa dell'importo degli investimenti (1° parametro) eccedente rispetto all'incremento patrimoniale (2° parametro) e al reddito d'impresa.

Novità per la determinazione degli investimenti agevolabili e per il calcolo degli incrementi di patrimonio netto

Al fine di potenziare ulteriormente l’agevolazione in parola, con l’art. 3, comma 2, del provvedimento in esame è stato previsto che sono agevolabili anche gli investimenti iniziati nei precedenti periodi d’imposta, ovviamente con esclusivo riferimento alla parte eseguita nel periodo d’imposta in corso al 18 maggio 1999 e nel successivo.

Inoltre, per il computo dei conferimenti in denaro da considerare ai fini dell’agevolazione per il secondo periodo d’imposta, vale a dire per il periodo successivo a quello in corso al 18 maggio 1999, è stato previsto che gli stessi rilevano per il loro intero ammontare e non pro quota a partire dalla data del versamento.

In altre parole, per il secondo dei periodi agevolati, gli incrementi di patrimonio netto sono assunti per il loro intero ammontare e, quindi, senza avere riguardo al computo per giorni previsto dalla normativa sulla DIT di cui all’art. 1, comma 5, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 466.

Tale meccanismo di calcolo - che non tiene conto cioè del conteggio per giorni previsto dalla normativa sulla DIT - rileva anche con riferimento al riporto in avanti delle eccedenze degli incrementi di patrimonio netto rilevanti ai fini dell’agevolazione. Allo stesso modo, potranno essere riportati gli importi relativi ad investimenti effettuati nel periodo di imposta in corso al 18 maggio 1999, ma non computati ai fini dell’agevolazione in esame in quanto iniziati in esercizi precedenti.

Per fornire alcuni esempi di calcolo, si ipotizza il caso di una società che abbia il periodo d’imposta coincidente con l’anno solare e che presenti le seguenti situazioni:

Esempio n. 1

Incrementi al netto dei decrementi

operati in data 30.9.2000……..................………………£. 1.000.000

Investimenti agevolabili ………………..................……£. 1.000.000

Reddito d’impresa…………………….……....................£. 1.000.000

Importo agevolato…………………….……....................£. 1.000.000

In tal caso l’importo agevolato, pari a £. 1.000.000, è commisurato all'intero incremento patrimoniale e non ragguagliato al numero di giorni utili, decorrenti dalla data dell’incremento del patrimonio netto (92 giorni: £. 252.000).

Esempio n. 2

Investimenti agevolabili netti operati nel 1999…………£ 500.000

Incrementi al netto dei decrementi

operati in data 30.6.1999….………………………….. £. 1.000.000

Importo massimo agevolabile (pro quota)

Per il 1999…………………………………………….....£ 500.000

Reddito d’impresa anno 1999……………………….......£. 500.000

Si osserva come l’eccedenza degli incrementi di patrimonio pari a £. 500.000 - che in base alla previgente normativa non poteva essere riportata al periodo d’imposta successivo perché superiore al limite massimo dell’importo agevolabile ragguagliato ai giorni decorrenti dall’avvenuto incremento di capitale - può essere utilizzata quale parametro utile per il calcolo del reddito agevolabile nel periodo d’imposta 2000.

Estensione dell'agevolazione ad ulteriori categorie di immobili

Con l’articolo 3 della legge in commento è stato altresì modificato l’art. 2, comma 9, lettera a), della legge n. 133 del 1999.

Per l’effetto, sono stati ricompresi tra gli investimenti in beni strumentali nuovi, da computare ai fini dell’individuazione della parte di reddito agevolabile, anche gli immobili di cui alle categorie catastali D/2 (alberghi e pensioni), D/3 (teatri, cinema, sale per concerti, spettacoli, arene, parchi giochi e zoo safari) e D/8 (immobili strumentali utilizzati specificamente per il commercio), oltre alla categoria catastale D/1 già prevista.

Inoltre è stato disposto che gli investimenti in parola rilevano ai fini dell’agevolazione a condizione che i beni siano utilizzati esclusivamente dal possessore per l’esercizio della propria impresa, escludendo in tal modo quelli dati in godimento a terzi a qualsiasi titolo.

Infine, si è stabilito che l’agevolazione è concessa anche con riferimento ai beni immobili costituenti impianti e agli impianti in corso di costruzione, sia se realizzati in economia che in appalto, purché al momento del completamento degli stessi sia verificabile la loro destinazione esclusivamente all’esercizio dell’impresa da parte del possessore.

Disposizioni antielusive

L’art. 3 del "collegato" ha aggiunto all’art. 2 della legge n. 133 del 1999 il comma 11-bis, con cui si è inteso introdurre una disposizione di carattere antielusivo volta a contrastare eventuali comportamenti finalizzati a beneficiare dell’agevolazione senza incrementare durevolmente gli investimenti e la capitalizzazione dell’impresa.

La norma dispone che i beni oggetto di investimento rilevano ai fini dell’agevolazione solo se hanno carattere di stabilità in quanto figurano, cioè, nel patrimonio dell’impresa almeno per i due periodi d’imposta successivi a quello in cui l'investimento è effettuato.

Pertanto, l’agevolazione viene meno quando il bene stesso sia ceduto a terzi, destinato al consumo personale o familiare dell’imprenditore, assegnato ai soci o a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero indirizzato a strutture produttive ubicate al di fuori del territorio dello Stato.

Parimenti, i conferimenti in denaro e gli accantonamenti di utile a riserva rilevano a condizione che non vi sia distribuzione ai soci di patrimonio netto entro il secondo periodo successivo a quello in cui è avvenuta la capitalizzazione.

Al verificarsi di dette ipotesi, il reddito "agevolato" dovrà essere rideterminato dallo stesso contribuente e, conseguentemente, dovrà essere liquidata la maggiore imposta dovuta in sede di dichiarazione dei redditi riferita al periodo d’imposta nel quale i beni stessi sono stati ceduti ovvero il patrimonio netto è stato assegnato.

Tale imposta dovrà, inoltre, essere corrisposta entro il termine di versamento a saldo delle imposte dovute per il medesimo periodo.

- All’interno dello stesso articolo, caratterizzato dall’estensione alla Visco, troviamo un’altra importante disposizione -

Tenuta dei registri contabili con sistemi meccanografici

Ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge in esame, i registri contabili tenuti con sistemi meccanografici si considerano regolari, pur in difetto della trascrizione su supporti cartacei, sino al momento di scadenza dei termini per la presentazione delle relative dichiarazioni dei redditi.

Art. 4 - Norma interpretativa in materia di opzioni

L’articolo 4, nel fornire interpretazione autentica delle disposizioni contenute nell’articolo 1 del DPR 10 novembre 1997, n. 442, concernente il riordino della disciplina delle opzioni in materia di IVA e di imposte dirette, stabilisce che le disposizioni legislative ivi contenute si applicano anche ai comportamenti concludenti tenuti dal contribuente anteriormente all’entrata in vigore del decreto stesso.

Con tale decreto, come è noto, viene introdotto il principio secondo cui l’opzione e la revoca dei regimi di determinazione dell’imposta o dei regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili.

Per comportamento concludente deve intendersi l’effettuazione in concreto, da parte del contribuente, di adempimenti che presuppongono la scelta di un determinato regime.

Art. 6 - Modifiche ai decreti legislativi 8 ottobre 1997, n. 358, e 18 dicembre 1997, n. 467.

L’art. 6 della legge in commento contiene modifiche al d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, recante disposizioni in materia di riordino delle imposte sui redditi applicabili alle operazioni di cessione e conferimento di aziende, fusione, scissione e permuta di partecipazioni, e al d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 467, recante disposizioni in materia di imposta sostitutiva della maggiorazione di conguaglio e di credito d’imposta sugli utili societari.

In particolare, il comma 1, lett. a) e c), del citato articolo 6, modificando i commi 1 e 3 dell’art. 1 del d.lgs. n. 358 del 1997, prevede la riduzione di otto punti percentuali dell’aliquota dell’imposta sostitutiva applicabile alle plusvalenze realizzate mediante conferimento o cessione di azienda o di partecipazioni di controllo o di collegamento, scambio di partecipazioni realizzato mediante conferimento, imputazione dei disavanzi da annullamento o da concambio derivanti da operazioni di fusione o scissione.

Così come evidenziato nella relazione ministeriale di accompagnamento al provvedimento, il prelievo passa dal 27 al 19 per cento, nell’intento di realizzare un sistema di tassazione delle imprese complessivamente più omogeneo, caratterizzato in linea di massima da due sole aliquote: una ordinaria del 37 per cento e l’altra del 19 per cento.

A fronte di tale riduzione dell’aliquota viene, tuttavia, eliminato il vantaggio di operare la rateizzazione del versamento dell’imposta sostitutiva fino ad un massimo di cinque quote annuali di pari importo.

Infatti, il comma 1, lett. d), del citato art. 6, modificando l’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 358/97, prevede il versamento in un’unica soluzione di detta imposta sostitutiva, da effettuarsi "entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative al periodo di imposta nel quale è stata realizzata la plusvalenza ovvero hanno avuto effetto le operazioni di fusione e scissione".

- La seconda Sezione del Collegato è tutta dedicata alla rivalutazione facoltativa dei beni delle imprese -

Art. da 10 a 16 – Rivalutazione dei beni delle imprese

Art. 10 - Ambito di applicazione della rivalutazione

Art. 11 - Modalità di effettuazione della rivalutazione

Art. 12 - Imposta sostitutiva

Art. 13 - Contabilizzazione della rivalutazione

Art. 14 - Riconoscimento fiscale di maggiori valori iscritti in bilancio

Art. 15 - Ulteriori soggetti ammessi alle rivalutazioni

Art. 16 - Modalità attuative della rivalutazione

Ambito soggettivo di applicazione

In base al combinato disposto degli articoli 10 e 15 della legge in esame, possono effettuare la rivalutazione esclusivamente i soggetti titolari di reddito di impresa (e cioè SPA, SAPA, SRL, SAS, SNC, persone fisiche titolari di tali redditi – N.d.A.) per i beni appresso specificati, ad essa relativi.

La rivalutazione può essere effettuata sia dai soggetti in contabilità ordinaria, e quindi tenuti alla redazione del bilancio, sia da quelli in contabilità semplificata.

Ambito oggettivo di applicazione

In base a quanto disposto dall’art. 10 della legge in esame, possono formare oggetto di rivalutazione, anche in deroga all’art. 2426 del codice civile e a ogni altra disposizione di legge vigente in materia, i seguenti beni:

  • Viceversa, non possono essere rivalutati:
  • Si precisa che è possibile rivalutare i beni risultanti dal bilancio relativo all’esercizio chiuso entro il 31 dicembre 1999, ovvero, per i soggetti in contabilità semplificata, i beni che risultano acquisiti entro il 31 dicembre 1999 dal registro dei beni ammortizzabili (ove istituito) e dal registro degli acquisti tenuto ai fini IVA.

    Modalità di effettuazione della rivalutazione

    L’articolo 11, comma 1, della legge in commento stabilisce che la rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio o rendiconto dell’esercizio successivo a quello chiuso entro il 31 dicembre 1999, per il quale il termine di approvazione scade successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge. Tuttavia, qualora il termine di approvazione del bilancio dovesse scadere successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge ed il bilancio fosse stato già approvato, la rivalutazione può essere effettuata nel bilancio dell’esercizio successivo.

    I soggetti tenuti alla contabilità ordinaria devono annotare la rivalutazione nel relativo inventario e nella nota integrativa, indicando il prezzo di costo dei beni rivalutati con le eventuali rivalutazioni eseguite in conformità a precedenti leggi di rivalutazione.

    Diversamente, per i soggetti che fruiscono del regime di contabilità semplificata, l’art. 15, comma 2, della presente legge stabilisce che va redatto un apposito prospetto bollato e vidimato dal quale risultano i prezzi di costo e la rivalutazione compiuta da presentare, a richiesta, all’Amministrazione finanziaria.

    Al riguardo, si osserva che l’art. 11 del "collegato", analogamente a quanto stabilito dall’art. 5 del D.M. 14 febbraio 1991, dispone che la rivalutazione deve riguardare tutti i beni appartenenti alla stessa categoria omogenea e che "si intendono compresi in due distinte categorie gli immobili ed i beni mobili iscritti in pubblici registri".

    Limite economico

    Va ricordato che, per espressa previsione normativa, ciascun bene può essere rivalutato e iscritto in bilancio o in inventario ad un valore non superiore a quello effettivamente attribuibile in base ai seguenti criteri ed elementi:

  • In materia di determinazione dell’importo della rivalutazione, si ricorda che il comma 5 dell’art. 5 del D.M. attuativo della legge n. 408 del 1990 stabiliva che "La rivalutazione di ciascuna categoria omogenea deve avvenire in base ad un unico criterio ..", e, quindi, non ammetteva, ad esempio, la possibilità di adottare, ai fini della rivalutazione di beni appartenenti alla medesima categoria, per alcuni il criterio a valori correnti, per altri il criterio basato sulla capacità produttiva e sull’effettiva possibilità di utilizzazione economica nell'impresa (in tal senso circolare n. 9 del 1991).

    In attesa delle disposizioni di attuazione da impartire con l’emanando decreto ministeriale, va segnalato che il comma 1 dell’art. 6 del D.M. 14 febbraio 1991 stabiliva che "il valore attribuibile ai beni per effetto della rivalutazione non può in alcun caso essere superiore a quello di mercato, tenuto conto dei prezzi correnti e delle quotazioni di borsa o, se superiore, al valore che fondatamente può essere attribuito in base alla valutazione della capacità produttiva e della possibilità di utilizzazione economica nell'impresa".

    Con la circolare n. 9 del 1991 veniva precisato che "qualunque sia la metodologia adottata non si potrà eseguire alcuna rivalutazione per quei beni che, nell'ambito della stessa categoria, risultino già iscritti in bilancio per un importo corrispondente alla rivalutazione massima effettuata in base a detta metodologia".

    La stessa circolare, ai fini della determinazione del valore massimo rivalutabile, ha precisato che ".. si deve tener conto sia del degrado fisico del bene, sia del deprezzamento economico dovuto al fenomeno della obsolescenza".

    Si ricorda, altresì, che le disposizioni dettate in materia di rivalutazione di cui alla legge in esame hanno carattere civilistico e fiscale e sono vincolanti e inderogabili in relazione alla assolutezza del limite ivi stabilito.

    Con riguardo ai beni ammortizzabili si osserva, analogamente a quanto affermato nella richiamata circolare n. 9 del 1991, che i valori iscritti in bilancio o in inventario per ogni singolo bene rilevano al netto delle quote di ammortamento dedotte a partire dall’esercizio di entrata in funzione del bene stesso, compresa la quota imputabile all'esercizio nel quale la rivalutazione stessa viene effettuata, con la conseguenza che, ai fini del rispetto del limite massimo rivalutabile, va assunto il costo residuo del bene che, per le società soggette alla redazione del bilancio CEE di cui all’art. 2424 del Cod. Civ., coincide con il valore di iscrizione in bilancio. Per quanto concerne invece le imprese in contabilità semplificata, il costo residuo del bene è quello che si rileva dal registro dei beni ammortizzabili. In entrambi i casi, la rivalutazione del costo storico del cespite, unitamente alla contestuale rivalutazione del relativo fondo, consentirà la conclusione del processo di ammortamento nel termine originario (a tal proposito, un Comunicato Stampa diramato in data 6.12.2000 dal Ministero delle Finanze precisa che tale indicazione "non assume carattere perentorio, ma risponde al solo scopo di prospettare alle imprese, laddove ne ricorrano i presupposti civilistici, la possibilità di ammortizzare i beni oggetto di rivalutazione in conformità all’originario piano di ammortamento" – N.d.A.)

    Al fine di assicurare il rispetto delle disposizioni in commento, il comma 3 dell’art. 11 della legge in esame stabilisce che gli amministratori e i sindaci devono indicare e motivare nelle rispettive relazioni i criteri seguiti nella rivalutazione e attestare che la rivalutazione non ecceda i limiti di valore individuati in base agli elementi e criteri prima elencati. Inoltre, l’ultimo comma dello stesso articolo 11 dispone altresì che, nell’inventario relativo all’esercizio in cui la rivalutazione viene eseguita, deve essere indicato il prezzo di costo con le eventuali rivalutazioni eseguite, in conformità a precedenti leggi di rivalutazione monetaria, dei beni rivalutati.

    Effetti fiscali della rivalutazione

    L’ultimo comma dell’art. 12 dispone che il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione si considera riconosciuto, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, a decorrere dall’esercizio nel cui bilancio la rivalutazione è eseguita e quindi, per la generalità dei casi, già nel bilancio che verrà chiuso al 31 dicembre 2000.

    Ne consegue che gli ammortamenti civilistici e fiscali saranno calcolati sul valore del cespite rivalutato già nel predetto bilancio.

    Relativamente alle spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione che dal bilancio non risultano imputate ad incremento del costo dei beni al quale si riferiscono, l’art. 7, comma 3, del D.M. 14 febbraio 1991, disponeva che dette spese ".. possono essere commisurate, nel limite del 5 per cento, ai nuovi valori attribuiti ai beni rivalutati a partire dall’esercizio successivo a quello nel cui bilancio, rendiconto o prospetto la rivalutazione è stata eseguita".

    Tale diversa decorrenza appare coerente con quanto stabilito dal comma 7 dell’art. 67 del TUIR, in base al quale, ai fini della determinazione delle predette spese, deducibili nella misura del 5 per cento, va assunto, come base di commisurazione, il costo di tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili.

    Misura e caratteristiche dell’imposta sostitutiva

    Sui maggiori valori dei beni iscritti in bilancio è dovuta una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche e dell’imposta regionale sulle attività produttive nella seguente misura:

    L’imposta sostitutiva, stante l’espressa previsione recata dall’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 12 della legge in commento, va computata in diminuzione del saldo attivo risultante dalle rivalutazioni ed è indeducibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP.

    Contabilizzazione della rivalutazione e dell’imposta sostitutiva

    In base a quanto disposto dall’art. 13 della legge in commento, il saldo attivo risultante dalle rivalutazioni eseguite ai sensi degli artt. 10 e 11 della stessa legge deve essere imputato al capitale o accantonato in una speciale riserva designata con riferimento alla legge in esame, con esclusione di ogni diversa utilizzazione.

    La suddetta riserva (che risulta essere indisponibile), ove non venga imputata al capitale, può essere ridotta soltanto in conformità a quanto disposto dai commi secondo e terzo dell'art. 2445 del cod. civ., recante disposizioni in materia di riduzione del capitale esuberante.

    Unica eccezione al predetto principio è rappresentata dall’utilizzo della riserva per la copertura di perdite, fattispecie, quest’ultima, che non richiede l’osservanza delle formalità indicate nel secondo e terzo comma dell’art. 2445 del cod. civ., anche se non si potrà procedere alla distribuzione di utili fino a quando la riserva stessa non venga interamente reintegrata o ridotta in misura corrispondente all’importo utilizzato mediante deliberazione dell'assemblea straordinaria.

    Nell’ipotesi in cui il saldo attivo venga attribuito ai soci o ai partecipanti mediante riduzione della riserva designata con riferimento alla legge in commento ovvero mediante riduzione del capitale sociale o del fondo di dotazione o del fondo patrimoniale, le somme attribuite ai soci o ai partecipanti, aumentate della imposta sostitutiva corrispondente all'ammontare distribuito, concorrono a formare il reddito imponibile della società o dell’ente e il reddito imponibile dei soci o dei partecipanti.

    In tal caso, per presunzione assoluta, si considera che le riduzioni del capitale deliberate dopo l'imputazione al capitale delle riserve di rivalutazione, comprese quelle già iscritte in bilancio a norma di precedenti leggi di rivalutazione monetaria, abbiano anzitutto per oggetto, fino al corrispondente ammontare, la parte del capitale formata con l'imputazione di tali riserve. Nell’ipotesi in cui l’imposta sostitutiva sia stata calcolata con riferimento ad entrambe le aliquote (15 e 19 per cento) l’importo dell’imposta riferito alla quota di saldo attivo distribuito sarà individuata mediante un calcolo medio ponderato.

    Ai sensi del comma 5 del citato art. 13, nell'esercizio in cui si verifica l’attribuzione del saldo attivo mediante riduzione della riserva appositamente costituita, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche o dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche, al soggetto che ha eseguito la rivalutazione è attribuito un credito di imposta [art. 105, comma 1, lett. a)] pari all'ammontare dell'imposta sostitutiva pagata nei precedenti esercizi.

    Si fa presente che il predetto saldo attivo di rivalutazione costituisce variazione in aumento del capitale investito ai fini dell’agevolazione prevista dalle disposizioni del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 466 e successive modificazioni (dual income tax –DIT), a partire dall’inizio dell’esercizio in cui è imputato al capitale o accantonato in riserva. Merita di essere precisato che il citato saldo attivo fruirà dell’incremento previsto dal d.lgs. n. 9 del 2000.

    Modalità di versamento dell’imposta sostitutiva

    Circa la modalità di versamento dell’imposta sostitutiva, si osserva che il comma 2 dell’art. 12 della legge in commento dispone che essa deve essere versata in un massimo di tre rate annuali di pari importo. Naturalmente spetta al contribuente, in sede di dichiarazione dei redditi, la scelta della rateazione così come quella del numero delle rate. La prima rata va versata entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relativo al periodo d’imposta con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita, mentre la seconda e la terza rata, maggiorate degli interessi al tasso del 6 per cento annuo (da versarsi contestualmente al versamento di ciascuna rata successiva alla prima), devono essere versate entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi rispettivamente del primo e del secondo periodo d’imposta successivo.

    Gli importi da versare possono essere compensati ai sensi del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241.

    - La Sezione V del Collegato integra e modifica il Testo Unico delle Imposte sui Redditi -

    Art. 30 - Deducibilità degli oneri contributivi relativi ai servizi domestici

    L’articolo 30 del "collegato" alla finanziaria per l’anno 2000 prevede, tramite la modifica dell’articolo 10, comma 2, del TUIR, la deducibilità dei contributi obbligatori versati per gli addetti ai servizi domestici e per l’assistenza personale o familiare.

    La deducibilità è consentita in relazione alla quota dei contributi obbligatori a carico del datore di lavoro privato che, in assenza di una disposizione normativa specifica, non potevano essere dedotti in quanto non riferiti a lavoratori assunti nell’ambito di un’attività d’impresa o nell’esercizio di un’arte o professione.

    La disposizione in esame consentirà ai datori di lavoro di portare in deduzione, già nella dichiarazione dei redditi da presentare nel 2001, i contributi pagati nel 2000 per i domestici e per gli addetti ai servizi personali o familiari (es. baby-sitter e assistenza delle persone anziane). Il contribuente sarà tenuto a conservare per tutto il tempo in cui è possibile effettuare l’accertamento, ai sensi dell’articolo 43, del DPR 600 del 1973, la documentazione comprovante i versamenti effettuati, e ad esibirla agli uffici dell’Amministrazione Finanziaria in caso di richiesta.

    L’importo massimo che il datore di lavoro potrà dedurre dal proprio reddito complessivo è di L. 3.000.000 annue; tale tetto massimo è stato introdotto al fine di evitare che la nuova disposizione arrechi un maggior vantaggio a soggetti particolarmente agiati.

    Art. 31 - Spese di assistenza specifica

    Il comma 1 dell’articolo 31 del provvedimento in esame, attraverso una modifica della lettera c), comma 1, dell’articolo 13-bis, del TUIR, estende il diritto alla detrazione d’imposta, già prevista per le spese sanitarie nella misura del 19 per cento, alle spese per assistenza specifica.

    Per spese di assistenza specifica si intendono i compensi erogati a personale paramedico abilitato (infermieri professionali), ovvero a personale autorizzato ad effettuare prestazioni sanitarie specialistiche (ad esempio: prelievi ai fini di analisi, applicazioni con apparecchiature elettromedicali, esercizio di attività riabilitativa).

    Il comma 2 dell’articolo in commento riconosce, inoltre, il diritto alla detrazione d’imposta per le spese sanitarie di cui all’art.13-bis, comma 1, lettera c) del TUIR, anche qualora tali spese siano state sostenute nell’interesse dei familiari indicati nell’articolo 433 del codice civile, non a carico fiscalmente, purché affetti da patologie che danno diritto all’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria.

    Tale beneficio spetta, limitatamente all’importo annuo di lire 12.000.000, per la parte di spesa che non trova capienza nell’imposta dovuta dal familiare e sempreché la spesa stessa sia stata sostenuta esclusivamente a causa delle suddette patologie.

    Con tale misura si mira ad alleviare gli oneri, ovviamente per il periodo di vigenza della malattia, a carico delle famiglie che si trovano a dover affrontare un periodo di forte disagio.

    Si fa, inoltre, presente che il contribuente, per motivi imposti da una esigenza di semplificazione delle procedure, non può richiedere al sostituto d’imposta di tenere conto di detti oneri in sede di effettuazione delle operazioni di conguaglio.

    Le disposizioni di cui all’articolo in esame entrano in vigore a partire dall’anno d’imposta 2000.

    Art. 32 - Disposizioni in materia di spese veterinarie

    L’articolo 32, attraverso l’inserimento della lettera c-bis) nel comma 1 dell’articolo 13-bis del TUIR, consente la detrazione dall’imposta lorda di un importo pari al 19 per cento delle spese veterinarie sostenute relativamente ad alcune categorie di animali, entro il limite di lire 750.000 e con una franchigia di lire 250.000.

    In virtù della nuova previsione agevolativa, ad esempio, il contribuente che documenti spese per prestazioni veterinarie per un importo totale annuo di lire 900.000 potrà detrarle nella misura del 19 per cento di lire 500.000.

    I documenti giustificativi della detrazione in esame sono rappresentati dalle fatture fiscali rilasciate dal professionista ai sensi dell’articolo 21 del DPR n. 633 del 1972.

    Le tipologie di animali per le quali spetta la detraibilità delle spese saranno individuate con decreto del ministero delle Finanze.

    La disposizione in esame si applica a partire dal periodo d’imposta 2000.

    Art. 33 - Restituzione della quota fissa individuale per l’assistenza medica di base

    Con l’articolo 33, comma 1, del "collegato" si dispone la restituzione ai contribuenti che hanno versato la quota fissa individuale per l’assistenza medica di base, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438, per l’anno 1993, in misura pari all’80 per cento di quanto versato.

    L’importo restituito non è assoggettabile a tassazione separata ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera n-bis), del TUIR.

    Il secondo comma dell’articolo 33 dispone che la restituzione degli importi come sopra determinati possa avvenire con le seguenti modalità:

    Il terzo comma, infine, affida ad un decreto dirigenziale, da emanarsi entro novanta giorni dalla entrata in vigore della legge in commento, la determinazione delle modalità di restituzione ai soggetti che non si trovano nelle condizioni di poter fruire della compensazione o della diminuzione nei modi indicati in precedenza, nonché delle modalità per attestare le somme effettivamente versate.

    - In questa Sezione, le disposizioni di maggiore interesse per le imprese riguardano la nuova disciplina dei collaboratori coordinati e continuativi e, in ragione di ciò, pubblichiamo integralmente lo stralcio della C.M. 207/E relativo a tale materia -

    Art. 34 - Disposizioni in materia di redditi di collaborazione coordinata e continuativa

    Con l’articolo 34 della legge in commento è stato modificato il trattamento fiscale applicabile ai redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

    In particolare, la lettera b) dell’articolo citato, tramite l’inserimento nell’articolo 47 del TUIR della lettera c-bis), che definisce le varie fattispecie di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, qualifica fiscalmente i redditi erogati in relazione a tali rapporti quali "redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente".

    La nuova disposizione, oltre ad indicare alcuni rapporti di collaborazione coordinata e continuativa tipici, come ad esempio quelli di sindaco, di amministratore ed altri, definisce quali elementi identificativi degli "altri rapporti di collaborazione" l’assenza del vincolo di subordinazione (la cui presenza farebbe rientrare il reddito nell’ambito dei redditi di lavoro dipendente) nonché la mancanza di un’organizzazione di mezzi (requisito necessario, invece, ai fini della qualificazione del reddito d’impresa).

    La norma in esame, comunque, prevede espressamente che, qualora gli uffici o le collaborazioni rientrino nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente ovvero nell’oggetto dell’attività di lavoro autonomo, i compensi percepiti siano soggetti alle regole previste per tali redditi.

    Possono, quindi, configurarsi delle situazioni in virtù delle quali il professionista effettua collaborazioni non rientranti nell’oggetto della professione esercitata. Tali attività non costituiranno reddito di lavoro autonomo ma rientreranno tra i redditi assimilati al lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 47 del TUIR.

    Si precisa, al riguardo, che ai fini dell’IVA tali prestazioni non risulteranno imponibili in quanto, sulla base dei principi generali in materia di imposta sul valore aggiunto, ricavabili dalla legislazione nazionale e comunitaria, un’attività di lavoro dipendente o assimilata non è idonea a incardinare il presupposto soggettivo di applicazione del tributo.

    Pertanto, alla luce delle nuove disposizioni, l’articolo 5 del DPR n. 633 del 26 ottobre 1972 deve essere interpretato nel senso che restano assoggettate all’imposta sul valore aggiunto le sole prestazioni di servizi inerenti ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che rientrano nell’oggetto dell’attività svolta per professione abituale.

    L’attuale previsione normativa, inoltre, non prevede più tra i caratteri essenziali della collaborazione coordinata e continuativa la natura intrinsecamente artistica o professionale della prestazione stessa, con la conseguenza che potranno rientrare nell’ambito delle collaborazioni anche attività manuali ed operative.

    Una volta ricompresa la fattispecie delle collaborazioni nell’ambito dell’articolo 47 del TUIR, alla medesima si applicano, in virtù del richiamo operato dall’articolo 48-bis del TUIR, le regole dettate dall’articolo 48 per il lavoro dipendente.

    Ciò comporta, tra l’altro, il riconoscimento delle detrazioni previste per il lavoro dipendente, che andranno calcolate in proporzione alla durata del contratto. Va sottolineata l’abrogazione della disposizione contenuta nel primo periodo del comma 8 dell’articolo 50 del TUIR, che consentiva la deduzione forfetaria delle spese (il 5 o 6 per cento previsto dal previgente art. 50, comma 8 del TUIR – N.d.A).

    Per effetto del nuovo assetto normativo, saranno assoggettate a tassazione, in base all’articolo 48 del TUIR, tutte le somme e i valori a qualunque titolo percepiti dai collaboratori, anche sotto forma di erogazioni liberali. Inoltre troverà applicazione il comma 2 dell’articolo 48 del TUIR che prevede l’esclusione di alcuni compensi dall’imponibile; al riguardo si precisa che, qualora le fattispecie previste dall’articolo in esame facciano riferimento a categorie o alla generalità dei dipendenti, tali disposizioni saranno applicabili anche a specifiche categorie o alla generalità dei collaboratori.

    Un effetto particolarmente rilevante della nuova disciplina concerne la possibilità di applicare anche ai collaboratori coordinati e continuativi le disposizioni di cui alle lettere g) e g-bis) dell’articolo 48 del TUIR in tema di stock options. Delle agevolazioni in discorso, concernenti le assegnazioni di azioni ai dipendenti, potranno perciò fruire, ad esempio, anche gli amministratori e i sindaci di società sempreché il relativo incarico non sia riconducibile all’oggetto proprio dell’attività professionale esercitata. Si fa presente che di tali agevolazioni i collaboratori potranno beneficiare già dall’anno 2001, ancorché le assegnazioni delle azioni siano state deliberate nell’anno 2000.

    Si segnala, inoltre, che con l’introduzione della disposizione in esame anche il trattamento fiscale dei rimborsi per spese di viaggio alloggio e vitto, sostenute dai collaboratori coordinati e continuativi, subirà sostanziali modifiche.

    L’articolo 50, comma 8, del TUIR, infatti, prevedeva l’esclusione dalla base imponibile dei rimborsi per le spese in parola, se documentate, corrisposte al collaboratore per prestazioni rese fuori dal comune di residenza.

    Dal 2001, invece, sarà applicabile anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa la disciplina delle trasferte contenuta nell’articolo 48, comma 5 del TUIR, in ordine ai limiti oltre i quali le indennità di trasferta concorrono a formare il reddito imponibile. Al riguardo si precisa che le indennità di cui trattasi sono quelle corrisposte allorquando il dipendente sia chiamato a svolgere una attività fuori dalla sede naturale in cui è tenuto contrattualmente a svolgere il proprio lavoro e, pertanto, non potranno più essere dedotti dal reddito del collaboratore i rimborsi delle spese sostenute per il raggiungimento della sede di lavoro (ad esempio, un collaboratore/amministratore residente a Roma che dovesse partecipare al Consiglio di Amministrazione di una ditta con sede a Milano, si vedrebbe tassato l’eventuale rimborso delle spese sostenute per il viaggio – N.d.A).

    L’introduzione dei redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nell’ambito dell’articolo 47 del TUIR determina, inoltre, l’applicazione delle disposizioni previste dall’articolo 24 del DPR n. 600 del 29 settembre 1973, in materia di ritenute sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

    Ciò comporta che ai redditi percepiti dai collaboratori coordinati e continuativi non verrà più applicata la ritenuta del 20 per cento prevista dall’articolo 25 del citato decreto, ma sarà operata, all’atto del pagamento del compenso, una ritenuta calcolata sulla base dell’aliquota propria degli scaglioni di reddito corrispondenti al reddito complessivo del collaboratore stesso.

    In base all’articolo 24 del DPR n. 600 del 1973, pertanto, il committente che effettua le ritenute dovrà entro il 28 febbraio dell’anno successivo, ovvero alla data di cessazione del rapporto, effettuare il conguaglio tra le ritenute operate e l’imposta dovuta sull’ammontare complessivo dei compensi, tenendo conto delle detrazioni spettanti. Egli dovrà quindi rilasciare una certificazione (CUD), recante, tra l’altro, l’indicazione delle detrazioni applicate sulla base della durata del rapporto di collaborazione.

    Si fa presente che l’articolo 34 in commento ha provveduto, coerentemente, a modificare talune norme in materia di ritenute, contenute negli articoli 24 e 25 del DPR n. 600 del 1973. In virtù delle richiamate modifiche, in relazione alle indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione, si rende applicabile da parte del sostituto d’imposta una ritenuta d’acconto, in misura fissa, del 20 per cento.

    Si fa presente, inoltre, che per i redditi in commento corrisposti a soggetti non residenti continua ad essere operata una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 30 per cento, ai sensi del comma 1-ter, inserito nel citato articolo 24 della disposizione in esame.

    A completamento di quanto finora esposto si precisa che il terzo comma dell’articolo 34 stabilisce che tutti i riferimenti operati alla disciplina contenuta nell’articolo 49, comma 2, lettera a) andranno riferiti, a partire dal 2001, alle previsioni contenute nella lettera c-bis) del comma 1 dell’articolo 47 del TUIR.

     Art. 36 - Redditi da lavoro dipendente prodotto all’estero

    L’articolo 36 della legge in commento, attraverso l’inserimento del comma 8-bis nell’articolo 48 del TUIR, prevede la deroga alle disposizioni che impongono la determinazione analitica dei redditi di lavoro dipendente effettivamente erogati, stabilendo che il reddito derivante dall’attività prestata all’estero, in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro, da dipendenti che nell’arco di dodici mesi ivi soggiornano per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con quello del Tesoro e delle Finanze.

    Al riguardo, va in primo luogo precisato che la nuova normativa si rivolge a quei lavoratori che, pur svolgendo l’attività lavorativa all’estero, in base all’articolo 2 del TUIR continuano ad essere qualificati come residenti fiscali in Italia. Si ricorda che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti: le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente; le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno nel territorio dello Stato il domicilio ai sensi del codice civile; le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la residenza ai sensi del codice civile.

    Resta fermo, comunque, che la nuova normativa non troverà applicazione, qualora il contribuente presti la propria attività lavorativa in uno Stato con il quale l’Italia ha stipulato un accordo per evitare le doppie imposizioni e lo stesso preveda per il reddito di lavoro dipendente la tassazione esclusivamente nel Paese estero. In questo caso la normativa della convenzione prevale sulle disposizioni fiscali interne.

    Si rammenta, per completezza d’informazione, che la norma in commento entra in vigore dal 1° gennaio 2001. Ciò comporta che fino al 31 dicembre 2000 i redditi derivanti da lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto sono in ogni caso esclusi dalla base imponibile ai sensi dell’articolo 3, comma 3, lettera c), del TUIR, e che solo per i redditi corrisposti a partire dal 2001 sarà applicabile il nuovo regime. E’ evidente che i valori corrisposti entro il 12 gennaio del 2001, se riferibili all’anno precedente, vanno assoggettati ad imposizione secondo il vecchio regime ai sensi dell'art. 48, comma 1, del TUIR.

     

    Art. 52 - Rimborsi trimestrali delle eccedenze di credito IVA

    L’articolo 52 integra il secondo comma dell’articolo 38-bis del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, prevedendo un’ulteriore ipotesi per richiedere il rimborso infrannuale dei crediti IVA maturati.

    In particolare, con la modifica apportata al secondo comma dell’articolo 38-bis del DPR n. 633 del 1972, viene stabilito che il rimborso infrannuale può essere richiesto anche nell’ipotesi di cui all’articolo 30, terzo comma, lettera c), del medesimo decreto, ossia nell’ipotesi di acquisto e importazioni di beni ammortizzabili per un ammontare superiore ai due terzi dell’ammontare complessivo degli acquisti e delle importazioni di beni e servizi imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

    Prima di tale intervento normativo, l’articolo 38-bis, secondo comma, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, riconosceva al contribuente il diritto di richiedere il rimborso infrannuale dell’imposta sul valore aggiunto, prestando le prescritte garanzie, quando l’importo relativo all’eccedenza detraibile del trimestre fosse superiore a cinque milioni di lire, solo nelle ipotesi di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 30, terzo comma, del DPR n. 633 del 1972, ossia nell’ipotesi di:

    a) effettuazioni di operazioni attive assoggettate ad aliquote inferiori a quelle applicate agli acquisti e alle importazioni;

    b) operazioni non imponibili ai sensi degli articoli 8, 8-bis e 9 per un ammontare superiore al venticinque per cento del volume d’affari.

    La disposizione contenuta nel citato articolo 30, terzo comma, lettera c), prevede che il contribuente può chiedere il rimborso annuale, "limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche".

    Va rilevato che la modifica apportata all’articolo 38-bis del DPR n. 633 del 1972 esclude la possibilità per il contribuente di richiedere il rimborso trimestrale per l’acquisto di beni e servizi per studi e ricerche.

    Si precisa, infine, che il rimborso infrannuale per l’acquisto di beni ammortizzabili può essere richiesto a condizione che l’acquisto di tali beni sia superiore ai due terzi dell’ammontare complessivo degli acquisti e delle importazioni dei beni e servizi imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto effettuati nel trimestre.

    Per quanto esposto, è possibile richiedere il rimborso trimestrale per l’acquisto di beni ammortizzabili qualora ricorrano le seguenti condizioni:

    - l’importo dell’eccedenza detraibile del trimestre chiesto a rimborso superi cinque milioni;

     Art.61 - Disposizioni in materia di autotrasporto

    Come è noto, l’articolo 6, comma 22, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, ha inserito la lettera d-ter) all’articolo 2 del testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche - approvato con DPR 5 febbraio 1953, n. 39 – ed ha soppresso alla lettera d) dello stesso articolo 2, le parole "…e per i rimorchi adibiti al trasporto di cose".

    Per effetto di tale intervento normativo, le tasse automobilistiche per i rimorchi adibiti al trasporto di cose non sono più da commisurarsi alla portata espressa in quintali, bensì al "peso massimo dei rimorchi trasportabili per le automotrici".

    Ora l’articolo 61 del "collegato", in attuazione della riforma di cui alla legge n. 488 del 1999, disciplina le nuove modalità di tassazione per i rimorchi di cui trattasi a decorrere dal 1° gennaio 2000 (art. 71, c. 3, legge n. 488/1999).

    In particolare, il comma 22-bis prevede che le tasse automobilistiche, dovute in base alla massa rimorchiabile degli autoveicoli per il trasporto di cose, sono individuate dalla tabella 2-bis, richiamata dal successivo comma 5 dell’articolo in commento ed allegata al "collegato" (e che Vi presentiamo in fondo all’analisi di questo articolo – N.d.A.).

    Il comma 22-ter prevede che oltre agli importi stabiliti per le automotrici sono dovuti quelli fissati dalla tabella sopracitata, tenuto conto delle caratteristiche tecniche risultanti dalla carta di circolazione e delle eventuali limitazioni in essa evidenziate.

    Alla luce della nuova normativa, pertanto, non sono più dovute le tasse automobilistiche relative ai singoli rimorchi adibiti per il trasporto di cose, i cui importi erano precedentemente determinati sulla base della portata espressa in quintali.

    Il nuovo criterio di applicazione della tassa in argomento prevede, infatti, che l’ammontare del tributo venga determinato sommando all’importo stabilito per le automotrici quello commisurato alla massa rimorchiabile dalle stesse, risultante dalla carta di circolazione.

    E’ evidente che il nuovo sistema non considera il rimorchio effettivamente trainato ma quello che l’automotrice può potenzialmente trainare, così come risulta dalla carta di circolazione tenuto conto delle eventuali limitazioni intervenute.

    Così ad esempio:

    a) autotreno

    Nel caso di un autocarro per il trasporto di cose, munito di rimorchio, l’importo complessivo da corrispondere è dato dalla somma dovuta per l’autocarro (determinata in base alla portata espressa in quintali, rilevabile dalle tariffe vigenti), più quella sul peso rimorchiabile dallo stesso autocarro (individuabile dalla tabella 2-bis), come risulta dalla carta di circolazione (tenuto conto delle eventuali limitazioni);

    b) autoarticolato

    Nel caso del trattore per il trasporto di cose con semirimorchio, la tassa complessiva da corrispondere è data dalla somma dovuta per il trattore (commisurata in base alla potenza effettiva espressa in KW secondo le tariffe delle tasse automobilistiche pubblicate con D.M. 27 dicembre 1997) più quella stabilita alla tariffa 5 della tabella 2-bis (che fa riferimento al numero degli assi del trattore).

    Quanto ai termini di versamento del tributo dovuto per l’anno 2000, torna opportuno precisare che la più volte citata legge, nel sopprimere il precedente sistema di tassazione, relativo ai rimorchi, non forniva alcun criterio sulla determinazione della misura della tassa stessa; in attesa, quindi, della definizione dei nuovi importi, si è provveduto a prorogare i relativi termini di pagamento e, da ultimo, con D.M. del 31 ottobre 2000, le scadenze relative all’annualità 2000 sono state spostate a febbraio 2001.

    Il comma 2 della disposizione in commento fissa il termine entro cui devono essere effettuati i versamenti del tributo - dovuto sulla base dei nuovi parametri stabiliti dal comma 22-bis della citata legge n. 488 - nel primo periodo utile per il pagamento a decorrere dalla data di entrata in vigore delle legge. Considerato che, ai sensi dell'art. 1, lett. e, del D.M. 18/11/1998 n. 462, la tassa è dovuta per quadrimestri decorrenti dai mesi di febbraio, giugno e ottobre e deve essere versata entro l'ultimo giorno di ciascuno dei predetti mesi, se ne deduce che il primo periodo utile successivo alla entrata in vigore del "collegato" coincide con la data individuata dal soprarichiamato decreto di proroga (febbraio 2001).

    Ne deriva che entro la fine del mese di febbraio dovrà corrispondersi l’intera tassa dovuta per l’anno 2000.

    Si evidenzia, inoltre, che ai fini della determinazione delle tasse in argomento si deve tenere conto delle eventuali limitazioni risultanti dalla carta di circolazione dei veicoli e che, per l'annualità 2000, si deve tenere conto delle limitazioni risultanti dalla stessa carta alla data del "primo periodo utile per il pagamento", cioè alla data del 1° febbraio 2001.

    Pertanto, si potrà tenere conto delle variazioni apportate alla carta medesima entro il 31 gennaio 2001 non solo per il versamento relativo al primo periodo d’imposta relativo all’anno 2001 ma anche per la tassa relativa all’anno 2000, il cui pagamento - come si è detto - scade alla fine di febbraio 2001.

    Da ultimo, si rileva che l’obiettiva incertezza sull’applicazione della disposizione introdotta dall’articolo 6, comma 22, della più volte citata legge n. 488, che, come precedentemente accennato, ha modificato il parametro di riferimento per la determinazione del tributo, senza stabilire la nuova misura della tassa, comporta il verificarsi della causa di non punibilità prevista dall’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472; pertanto, nessuna sanzione amministrativa deve essere applicata in relazione ai versamenti oggetto di proroghe, così come stabilito anche dall’articolo 10, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante disposizioni in materia di Statuto dei diritti del contribuente.

    Art. 68 - Termine per il versamento dell’imposta di registro per i contratti di locazione e affitto di beni immobili

    L’articolo in esame dispone che per i contratti di locazione e affitto di beni immobili - indicati nell’articolo 17, comma 1 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con DPR 26 aprile 1986, n. 131 – l’imposta di registro deve essere versata, anziché entro venti, entro trenta giorni dalla data dell’atto stesso.

    Si rileva, in proposito, che il suddetto termine è superiore a quello di venti giorni, indicato dall’articolo 13 dello stesso testo unico per la registrazione degli atti in termine fisso.

    Tuttavia, considerato che il successivo articolo 16, comma 1, dispone che la registrazione è eseguita previo pagamento dell’imposta, è evidente che per i contratti di locazione e affitto di beni immobili anche il termine per la registrazione è di trenta giorni.

    Art. 69 - Norme in materia di imposta sulle successioni e sulle donazioni

    Premessa

    L’articolo in esame ha attuato la riforma dell’imposta sulle successioni e donazioni attraverso interventi modificativi delle disposizioni contenute nel testo unico concernente le predette imposte, approvato con d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, rinviando il coordinamento tra le nuove previsioni e la restante normativa in materia a successivi decreti legislativi, da emanarsi entro un anno dall’entrata in vigore del "collegato".

    Determinazione della base imponibile

    Il tratto più qualificante della riforma è dato dall’adozione di un diverso sistema di applicazione del tributo che, a seguito della modifica dei commi 1 e 2 dell’articolo 7 del testo unico e dell’introduzione dei commi 2-bis, 2-ter e 2 quater, non colpisce più l’asse ereditario globale ma le singole attribuzioni in capo agli eredi, legatari o donatari.

    Ogni beneficiario fruisce di una franchigia di 350 milioni di lire, spettante una sola volta in presenza di più attribuzioni ricevute dalla medesima persona, sia per donazione o altre liberalità che per successione.

    L’importo della franchigia è elevato ad un miliardo di lire per i discendenti in linea retta minori di età, anche chiamati per rappresentazione, e per le persone con handicap riconosciuto grave ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificata dalla legge 21 maggio 1998, n. 162.

    Al riguardo si precisa che sia la franchigia di 350 milioni di lire che quella di un miliardo vengono aggiornate ogni quattro anni avuto riguardo dell’indice del costo della vita.

    Lo stesso criterio di determinazione dell’imposta trova applicazione anche alle donazioni in quanto, con la lettera o) del comma 1 dell’articolo 69, sono stati sostituiti i commi da uno a tre dell’art. 56 del già citato testo unico.

    Anche per le donazioni, quindi, l’imposta si applica esclusivamente sul valore della quota spettante a ciascun beneficiario per la parte che eccede i 350 milioni di lire o un miliardo di lire per i discendenti in linea retta minori di età, anche chiamati per rappresentazione, e per le persone con handicap riconosciuto grave.

    Ovviamente la franchigia deve riferirsi all’ammontare complessivo delle donazioni poste in essere da un donante a favore dello stesso donatario.

    Esempio: la base imponibile della prima donazione è di lire 200.000.000; l’atto è esente dall’imposta di donazione.

    La base imponibile della seconda donazione è di lire 250.000.000: l’imposta si applica sull’importo di lire 100.000.000 (450.000.000-350.000.000).

    Ad ogni eventuale ulteriore donazione a favore dello stesso donatario si applicherà l’aliquota sull’intera base imponibile, essendo stata impegnata la franchigia di 350 milioni, in parte con la prima (lire 200 milioni) e per il resto con la seconda donazione (lire 150 milioni).

    Ai fini della determinazione della base imponibile riveste notevole rilevanza l’eliminazione di alcune delle presunzioni introdotte in passato dal legislatore al fine di contrastare l’occultamento di attività del de cuius.

    E’ stato, infatti, abrogato l’art. 10 del testo unico in base al quale erano ricompresi nell’attivo ereditario i beni e i diritti soggetti ad imposta alienati a titolo oneroso dal de cuius negli ultimi sei mesi precedenti l’apertura della successione.

    E’ stato, altresì, abolito l’ultimo periodo del comma 2 dell’articolo 11 del citato testo unico, secondo cui qualora gli eredi o legatari fossero cointestatari (assieme al defunto) di conti correnti bancari e postali, di azioni o anche di altri titoli, i beni e i diritti cointestati, salvo prova contraria, si consideravano esclusivamente appartenenti al defunto (tranne nei casi di comunione legale ex articoli 177 e seguenti del codice civile). Con la riforma rientreranno nell’attivo ereditario le sole quote spettanti al de cuius; se non risultano diversamente determinate, le quote si considerano uguali.

    Si può, pertanto, affermare che ormai cadranno in successione i soli beni o diritti appartenenti effettivamente al de cuius.

    Resta, invece, ferma la presunzione di cui all’art. 9, comma 2, del testo unico, secondo cui sono compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia, nella misura del 10 per cento del valore imponibile, con la differenza, dovuta al diverso sistema impositivo, che l’importo sarà forfettizzato con riferimento alle quote attribuite ai singoli beneficiari.

    A seguito delle modifiche apportate all’articolo 15, comma 1, del testo unico, qualora oggetto del trasferimento sia un’azienda, nella determinazione del valore da assumere quale base imponibile per l’applicazione dell’imposta deve escludersi l’avviamento. Tale esclusione ha effetto anche nelle ipotesi in cui il defunto era obbligato alla redazione dell’inventario ai sensi dell’articolo 2217 c.c..

    E’ stato altresì modificato l’art. 16, comma 1, lettera b), del testo unico, che disciplina la determinazione del valore da assumere quale base imponibile con riferimento ai titoli o alle quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, non quotati in borsa né negoziati al mercato ristretto, nonché alle quote di società non azionarie, comprese le società semplici e le società di fatto. Anche in tale ipotesi, nel determinare il valore dei beni e dei diritti appartenenti all’ente o alla società, non si terrà conto dell’avviamento.

    Determinazione dell’imposta

    Una ulteriore novità riguarda il sistema di determinazione dell’imposta.

    L’art. 69, comma 1, lettera c), nel sostituire i commi 1 e 2 dell’articolo 7 del testo unico, introduce un nuovo sistema di determinazione dell’imposta, non più commisurata per scaglioni di valore imponibile con aliquote crescenti, ma riferita al valore della quota di eredità o del legato, attraverso l’applicazione di tre aliquote differenziate a seconda del grado di parentela.

    Per l’imposta sulle successioni, sono previste tre aliquote:

    Si evidenzia la drastica riduzione del carico tributario derivante dal diverso raggruppamento, rispetto al passato, delle categorie dei successibili.

    Relativamente alle donazioni e alle altre liberalità, la riforma ha ridotto le aliquote applicabili, con riferimento allo stesso grado di parentela e affinità, di un punto percentuale rispetto alle aliquote previste per le successioni (3 per cento, 5 per cento, 7 per cento).

    In conseguenza delle nuove modalità di applicazione dell’imposta introdotte dall’articolo 69 in esame è stata abrogata la tariffa allegata al testo unico sulle successioni e donazioni.

    Versamento in vita dell’imposta di successione

    L’articolo 69, comma 1, lettera f), del "collegato", introducendo nell’articolo 12 del testo unico i commi 1-bis e 1-ter, ha attribuito al titolare dei beni la possibilità di versare in vita l’imposta di successione.

    In tal caso l’imposta viene determinata in relazione al grado di parentela dei presunti futuri beneficiari e le aliquote applicabili sono inferiori di un punto percentuale rispetto a quelle previste dall’articolo 7, pertanto, pari rispettivamente al 3 per cento, 5 per cento e 7 per cento.

    Trattandosi di un versamento volontario eseguito da un soggetto diverso da quello obbligato ai fini dell’imposta, non è applicabile il principio di solidarietà dell’obbligazione tributaria.

    I beni e i diritti per i quali sia stata già corrisposta l’imposta nei modi appena richiamati non sono compresi nell’attivo ereditario.

    Gli stessi beni e diritti, invece, in caso di donazione, concorrono a formare il valore globale della donazione, con la conseguente detrazione, dall’imposta dovuta, dell’importo pagato volontariamente dal donante.

    Va rilevato che la corresponsione volontaria del tributo successorio da parte dello stesso titolare dei beni e dei diritti per i quali è determinata e versata l’imposta si è resa possibile grazie al nuovo criterio di determinazione del tributo, il quale si fonda sull’applicazione dell’aliquota proporzionale, stabilita secondo il grado di parentela, al valore dei beni attribuiti ad ogni singolo beneficiario.

    Agevolazioni nella determinazione delle imposte dovute

    L’art. 69, comma 3, del "collegato" ha esteso l’agevolazione c.d. "prima casa" anche agli immobili trasferiti a titolo gratuito mortis causa o inter vivos, sia pure con riferimento alle sole imposte ipotecarie e catastali.

    Viene, infatti, prevista l’applicazione dei suddetti tributi in misura fissa qualora i trasferimenti derivanti da successione o donazione abbiano ad oggetto la proprietà di fabbricati destinati ad abitazione principale non di lusso e diritti immobiliari relativi agli stessi.

    Lo stesso trattamento tributario è stabilito anche per l’ipotesi di costituzione o trasferimento di diritti immobiliari sulla medesima tipologia di abitazione.

    L’agevolazione è concessa qualora in capo al beneficiario ovvero, nel caso in cui l’immobile risulti trasferito a più beneficiari, in capo ad almeno uno di essi, sussistano tutti i requisiti e le condizioni previsti in materia di acquisto della prima abitazione dall’articolo 1, comma 1, quinto periodo, della tariffa, parte prima, del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con DPR 26 aprile 1986, n. 131.

    L’immobile, pertanto, deve essere ubicato nel territorio del comune in cui il beneficiario (o uno dei beneficiari) ha o stabilisce, entro un anno dalla data di apertura della successione ovvero dalla data dell’atto di donazione, la propria residenza o, se diverso, in quello in cui svolge la propria attività. Si rinvia alle precisazioni impartite con circolare n. 1/E del 2 marzo 1994.

    Altro requisito soggettivo necessario per l’applicazione dell’agevolazione è che il beneficiario (o uno dei beneficiari) non sia titolare, neppure per quote, su tutto il territorio nazionale di altra casa di abitazione acquistata con il beneficio c.d. "prima casa" e che non sia titolare esclusivo o in comunione con il coniuge di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile trasferito.

    Nel comma 4 dell’articolo 69 in commento è previsto che l’interessato - cioè il soggetto che intende fruire dell’agevolazione - per poterne beneficiare deve rendere nella denuncia di successione o nell’atto di donazione tutte le dichiarazioni di cui alla nota II-bis), lettere a), b) e c), dell’articolo 1 della tariffa.

    Come previsto dal comma 4 della richiamata nota II-bis), il contribuente decade dal beneficio qualora rivenda l’immobile oggetto di agevolazione prima che siano decorsi cinque anni dalla data di acquisizione.

    Nel caso di decadenza dal beneficio o di dichiarazione mendace, tornano applicabili le sanzioni previste nella citata nota II-bis) che, come è noto, sono stabilite in ragione del 30 per cento delle imposte calcolate nella misura ordinaria.

    Si precisa, infine, che sulla differenza d’imposta, recuperata dall’ufficio, devono essere corrisposti anche gli interessi.

    E’ appena il caso di ricordare che lo stesso regime fiscale previsto per l’abitazione "prima casa" è esteso anche alle pertinenze con i limiti di cui al comma 3 della più volte citata nota II-bis).

    Una ulteriore agevolazione nella determinazione dell’imposta dovuta è stata prevista con l’aggiunta del comma 4-ter all’articolo 25 del testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni, in virtù del quale è estesa anche alle donazioni la previsione agevolativa stabilita dal comma 4-bis.

    L’agevolazione in questione, precedentemente limitata alle sole successioni, riduce del 40 per cento l’imposta dovuta qualora nell’attivo ereditario o nei beni oggetto della donazione siano comprese aziende, quote di società di persone o beni strumentali ubicati in comuni montani con meno di 5000 abitanti o in frazioni con meno di 1000 abitanti, a condizione che gli aventi causa (eredi o donatari) siano in rapporto di coniugio o di parentela entro il terzo grado con il loro dante causa (defunto o donante) e proseguano l’attività per almeno 5 anni.

    Presunzioni di liberalità

    L’ art. 69, comma 5, del "collegato" ha modificato l’articolo 26, comma 1, del testo unico dell’imposta di registro introducendo, tra le presunzioni di liberalità, anche i trasferimenti di partecipazioni sociali tra coniugi ovvero tra parenti in linea retta, qualora il valore della partecipazione o la differenza tra valore e prezzo siano superiori all’importo di 350 milioni di lire.

    Pertanto, salvo prova contraria, i suddetti trasferimenti si presumono donazioni con la conseguenza che, nel caso in cui l’ammontare complessivo dell’imposta di registro e di ogni altra imposta dovuta (tassa sui contratti di borsa) risulti inferiore a quella di donazione, si applica quest’ultima.

    La previsione della prova contraria ha attribuito alla presunzione in esame il valore di presunzione relativa, in ottemperanza alla sentenza della Corte Costituzionale n. 41 del 1999, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui escludeva la prova contraria diretta a superare la presunzione.

    Inapplicabilità dell’INVIM e dell’imposta sostitutiva

    E’ stata disposta l’inapplicabilità dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili e dell’imposta sostitutiva dell’INVIM, previste, rispettivamente, per le donazioni di immobili dall’articolo 2 del DPR 26 ottobre 1972, n. 643 e per le successioni di immobili dall’articolo 11, comma 3, del d.l. 28 marzo 1997, n. 79, coordinato con la legge di conversione 28 maggio 1997, n. 140.

    Si ricorda che tali tributi riguardavano gli immobili (donati o caduti in successione) acquistati prima del 31 dicembre 1992; in particolare l’imposta sostitutiva trovava applicazione quando il valore complessivo dei beni superava i 350 milioni di lire per le successioni apertesi nel 2000 (250 milioni per le successioni apertesi nel 1999).

    Decorrenza del nuovo regime impositivo

    Il comma 15 dell’articolo 69 in commento stabilisce la decorrenza delle novità introdotte in materia di imposta sulle successioni e donazioni.

    In particolare è previsto che le nuove disposizioni si applicano alle successioni per le quali il termine di presentazione delle relative dichiarazioni scade successivamente al 31 dicembre 2000 e alle donazioni fatte a decorrere dal 1° gennaio 2001.

    Ciò significa che il nuovo regime tributario deve essere applicato a tutte le dichiarazioni di successione che possono essere regolarmente presentate dopo il 31 dicembre 2000 nel rispetto dei termini previsti dall’articolo 31, commi 1 e 2 del testo unico ma altresì a quelle presentate prima di tale data, in anticipo rispetto al termine di decadenza.

    Con riferimento alle donazioni, il nuovo regime è applicato agli atti stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2001.

    - L’ultima parte del Collegato disciplina in materia di accertamento -

    Art. 74 - Attribuzione o modifiche delle rendite catastali

    L’articolo 74 del "collegato" dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2000, gli atti che attribuiscono o modificano le rendite catastali per i terreni e i fabbricati hanno efficacia dalla loro notificazione, da parte del competente l’Ufficio del territorio, ai soggetti interessati.

    Dalla data della notifica decorrono i termini ordinari, pari a sessanta giorni, previsti dall’articolo 21, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, per proporre il ricorso di cui all’articolo 2, comma 3, dello stesso decreto legislativo.

    Gli uffici del territorio competenti sono tenuti a comunicare tempestivamente ai Comuni interessati l’avvenuta notificazione.

    Il comma 2 dispone che non sono dovuti sanzioni ed interessi – relativamente al periodo compreso tra la data di attribuzione o modificazione della rendita e quella di scadenza del termine per la presentazione del ricorso, come prorogato dall'ultimo periodo dello stesso comma – per gli atti impositivi dell’Amministrazione finanziaria e degli enti locali, non ancora divenuti definitivi, emanati sulla base di accertamenti catastali effettuati entro il 31 dicembre 1999. E' da ritenere che la disposizione appena richiamata non si applica agli atti impositivi riferiti alle rendite proposte dai soggetti obbligati ai sensi del decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701, iscritte in catasto, come è noto, sulla base di dichiarazioni di parte non annoverabili nella categoria degli "atti che abbiano comportato attribuzione o modificazione della rendita". La legge inoltre precisa che non si fa luogo alla ripetizione di quanto eventualmente già pagato dal contribuente.

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