Identificazione dei confini

 

La definizione dei confini delle Aree Marine Protette risulta spesso di estrema importanza per la riuscita del progetto. I criteri di scelta non dovrebbero basarsi esclusivamente su divisioni amministrative o su considerazioni economico-sociali, ma  devono assicurare la massima protezione, tenendo conto dell’impossibilità , nell’ambiente marino, della creazione di barriere che impediscano gli scambi con l’ambiente circostante.

Salm e Clark (1989) propongono che la dimensione minima per un Parco Marino Nazionale sia di 1.000 ettari. Pare evidente, a questo punto, la difficoltà di applicazione di questo principio nella realtà delle coste ed acque italiane. Le dimensioni delle attuali riserve nel mondo sono molto varie, andando, per esempio, dal Parco Nazionale Marino di Malindi-Wantamu in Kenya, che occupa 19.000 ettari, al Parco di Miramare , che ricopre soli 30 ettari.

La superficie di un' Area Marina Protetta non può comprendere esclusivamente componenti acquatiche, ma deve includere aree terrestri, sia che queste influenzino l'ambiente marino (inquinamento, sedimentazione, ecc.), sia che ne siano influenzate (spiagge, dune, scogliere, ecc.). Nelle aree terrestri la protezione deve mirare alla proibizione di tutte le attività che si ripercuotono sull'ambiente litoraneo marino, come lo scarico nei fiumi che sfociano direttamente o per trasporto di corrente nell'area da proteggere, l'urbanizzazione o la costruzione di strade costiere, ecc.

Per quanto riguarda i confini in mare aperto, generalmente la protezione si spinge fino alla batimetrica dei 200 metri, riconosciuta come limite della piattaforma continentale. Tale limite, comunque, può notevolmente variare in funzione della realtà geografica di ogni singola area. In Italia viene generalmente considerato come limite esterno delle Aree Marine Protette la batimetrica dei 50 metri o il limite di tre miglia dalla costa, in modo da permettere una completa fruibilità della zona ed un miglior controllo.