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Polvere, auscultabile

di Franco Basso

 

Sul suo tavolo venne posato un animale di polvere, immobile e silenzioso, attento al minimo gesto. "E' curioso" pensò "che si possa dire: venne posato, come se di un oggetto si dicesse: salì sul tavolo." In questo modo le veniva posto il problema.

"Posso dire: poso il gatto sul tavolo; ma il gatto non vi rimane."

Sentendosi insicura, veniva dissuasa dal suo proposito- (dal portarlo a termine).

"E' possibile costruire una macchina pensante che superi il test di Turing."

"Abbiamo posato un animale di polvere sul tuo tavolo."

Non era un gesto sgarbato, ma lavorando al suo tavolo lo avrebbe ucciso. "Non il movimento," pensò "ma il mio lavoro."

"Naturalmente, mi viene chiesto se questo è un vero animale di polvere: non si possono distinguere. Se non lo fosse, lo spazzerei via? No, in quanto non li distinguo."

"E' perché non posso distinguere, è per questo che non posso costruire?" Osservò la macchina e sorrise, incerta. Non aveva previsto questa separazione. Tuttavia si sentì fortunata, perché veniva dissuasa dal portare a termine il suo progetto, cioè l'aveva portato a buon punto; veniva persuasa a una rinuncia, ma il progetto stesso consisteva in una rinuncia. Il mondo non si limita a mostrarsi: piuttosto "mostra che", "mostra come".

"Prova ad ascoltare, adesso." Provò ad ascoltare, ma non sentì nulla, immobile e confuso in sé stesso, percependo l'immobilità.

A volte sentiva. La donna esprimere un dubbio dal quale dipendeva la sua vita.

Poi ricordava, ma molte cose doveva immaginarle. "Perché mi si chiede sempre che cosa provi, mai che cosa pensi? Come se con il dire d'avermi posato, mi si possa escludere dalla discussione, mentre il nocciolo è proprio in questo." Una forma d'inesistenza, come una macchina.

Pensò: "Se si costruisce ciò che pensa, si può prevederne il pensiero. Così è più umano, un difetto di percezione, sembrerebbe. In quanto, o si costruisce il pensiero, o ciò che pensa."

"Questo segno mi ricorda le cose." Quando capisci che è possibile, smetti di volerlo dimostrare; eppure, quando capisci che è possibile, diviene vera l'intuizione delle sua esistenza, dunque, se è vero, il segno non rappresenta la cosa, ma una cosa, è una cosa.

Come si propose poi di pensarci, comprese; benché non avesse previsto una separazione, era preparata a vedere ostacolato il suo lavoro. No, pensò, se mi vedessero chiusa in una gabbia, cercherebbero di liberarmi. (Falso.) In qualunque caso, comprendere, o, se è preferibile, dover comprendere, le loro azioni, mi consente un'ammissione di solitudine che forse in precedenza non avrei potuto fare. "E' bello che io dica: mi consente. Così non la respingo. Poi vedrò."

E' importante che si dica: "Poi vedrò," cioè, ora penso a me stessa in questi termini (non respingo la solitudine), poi davvero vedrò, cioè vedrò effettivamente, accadrà e io vedrò. Vedrò ciò che accade- (fin qui si annida l'io).

Cioè, non "io vedrò", ma verrà visto.

Le si fecero vicini.

"Cos'hai?" Non capì a che cosa si riferissero.

"Non parli con nessuno. Sembri pensierosa."

"Non ho nulla," disse, per dire: non ne siete responsabili.

"Hai interrotto il tuo lavoro."

"Non lo si può continuare. Non oggi. Forse domani."

"E' ingiusto che tu abbia preso questa decisione."

Uno dopo l'altro, tornarono ai loro posti di lavoro. Ora si chiese: "Perché non sono rimasti? Perché sono così restii?" Le sembrò triste. In fondo ognuno di loro poteva dire: come credere che esista? Come ingannarsi? Lei però non si inganna, ha già spazzato via la polvere dal suo tavolo, la polvere, non l'animale.


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