C'è solo il rispetto della
Costituzione Ora che la tensione si è allentata, dopo che la Corte ha reso noto l'inammissibilità dei due referendum sulla legge elettorale delle Camere, mi sia consentita qualche osservazione sull'articolo del collega Mario A. Cattaneo. Articolo comparso il 3 gennaio scorso su questo quotidiano, sotto il titolo Referendum, diritti da tutelare. Ciò che mi stupiva, nel pur garbato articolo, era il tentativo di distinguere le competenze originarie della Corte da quella sull'ammissibilità del referendum. Quest'ultima, infatti, sarebbe stata attribuita alla Corte successivamente, da una legge che limiterebbe la competenza a mero giudizio di legittimità formale nel contesto del divieto stabilito dal secondo comma dell'articolo 75. In parole semplici, la Corte avrebbe dovuto soltanto stabilire se il richiesto referendum rientri fra quelle leggi (tributarie, bilancio, amnistia e indulto, autorizzazione a ratificare trattati internazionali) per le quali il referendum non è ammesso dal secondo comma dell'articolo 75 della Costituzione. Ogni altra regola, che la giurisprudenza costituzionale avrebbe elaborato in modo abnorme, sarebbe talmente fuori dai compiti tassativamente stabiliti dalla Costituzione da doversi ritenere lecito -come sostenevano gli onorevoli Pannella e Calderisi- un eventuale controllo del Capo dello Stato, garante della Costituzione, volto ad armonizzare tra loro le istituzioni costituzionali. Questa sorprendente tesi era poi in qualche relazione con la precedente, secondo cui se la Corte avesse ammesso i referendum, tutto sarebbe stato regolare, ma se, al contrario, li avesse ritenuti inammissibili, allora avrebbe compiuto un atto politico, perché avrebbe determinato un risultato contrario alla richiesta referendaria senza che i cittadini avessero potuto esprimersi. Se quest'ultima tesi fosse vera, bisognerebbe concludere che la Corte, per restare nell'area della sua competenza istituzionale, non avrebbe altra scelta che ammettere sempre i referendum; altrimenti compirebbe atti invasivi del potere politico. Tanto valeva allora che questo compito, anziché alla Corte costituzionale, fosse affidato direttamente a un organo politico. D'altra parte, questa concezione del giudizio negativo come giudizio a natura diversa da quello positivo sullo stesso quesito, forse sarà rilevante nel campo della filosofia, ma francamente mi sembra estraneo al diritto positivo, e un tantino pericoloso se dovesse prendere piede nell'intero ordinamento, per le sconvolgenti conseguenze che potrebbe comportare. Ma anche da tutto ciò
prescindendo, e tornando alla critica di eccessività
estensiva (non distensiva, come dice il refuso di stampa)
della giurisprudenza costituzionale, vorrei far notare al
collega quanto segue: Mi limito soltanto a riportare questo brano, secondo cui è lo stesso legislatore costituzionale a chiarire che deve comunque trattarsi di richieste presentate a norma dell'articolo 75 della Costituzione. Tale disposizione riconosce alla Corte il potere-dovere di valutare l'ammissibilità dei referendum in via sistematica: per verificare, in particolar modo, sulla base dell'articolo 75, comma I, se le richieste medesime siano realmente destinate a concretare un referendum popolare, e se gli atti che ne formano l'oggetto rientrino fra i tipi di leggi costituzionalmente suscettibili di essere abrogate dal corpo elettorale. La Corte ha cosí ritenuto che esistano valori di ordine costituzionale, riferibili alle strutture o ai temi delle richieste referendarie, da tutelare escludendo i relativi referendum, al di là della lettera dell'articolo 75, comma II, della Costituzione. Da cui conseguono, precisamente, non uno ma quattro distinti complessi di ragioni d'inammissibilità. E, per concludere, non sarà inutile ricordare che le leggi costituzionali definiscono giudizio questa procedura e dispongono che si concluda con sentenza. Che dovrebbe fare il Capo dello Stato? Ordinare o sollecitare o suggerire alla Corte una bella sentenza di opportunità politica? Non lo dico certo per il collega, che conosco dotto e rispettoso di queste regole, ma domando ai vocianti: è questo lo Stato di diritto che preferireste? Ebbene, proprio nell'ambito di quei valori di ordine costituzionale, già con la sentenza n. 29 del 1987 la Corte aveva stabilito, respingendo il referendum proposto per l'abrogazione di tre articoli della legge 195/58, concernente l'elezione dei componenti togati del CSM, che un organo costituzionale (o anche di rilevanza costituzionale come il CSM) non può essere privato di norme che assicurino il suo funzionamento anche in ipotesi di inerzia legislativa se, abrogate le norme secondo proposta, ciò che resta della legge non è immediatamente auto-applicativo. Questo principio giurisprudenziale era stato ripetuto anche nel gennaio 1993, sicché era prevedibile che non potessero essere ammessi i due referendum che proponevano l'abolizione del correttivo proporzionale nelle elezioni delle due Camere. Infatti, per attribuire tutti i seggi di Camera e Senato col sistema maggioritario uninominale, si sarebbe dovuto rifare l'intera mappa dei collegi elettorali; con la conseguenza che la legge non era immediatamente applicabile. E cosí, infatti, la Corte ha deciso. (*) già presidente della Corte costituzionale. |