La sconfitta in aula della legge Rebuffa
Il sistema elettorale non cambia il Paese
di Paolo Cirino Pomicino [il Giornale, domenica 16 febbraio 1997]

Sappiamo di essere una voce fuori del coro, ma la liberalità di questo giornale ci offre la possibilità di spiegarne le ragioni. Tutta la grande stampa ha bollato con il dispregiativo nome di franchi tiratori quei deputati che con il loro voto hanno fossato la legge Rebuffa vedendo, tra l'altro, in quell'atteggiamento la rivincita dei proporzionalisti contro il Santo Graal del maggioritario. E' innanzitutto difficile, per non dire impossibile, definire franchi tiratori la maggioranza di una Camera che liberamente esprime sul delicato tema della legge elettorale il proprio orientamento.

Quelli che un giorno sì e l'altro pure tuonano contro la risorgente partitocrazia, sono i primi, poi, a urlare contro ogni voto libero dai ferrei vincoli della disciplina di partito. Non vorremmo, insomma, che per questi strani uomini liberi la partitocrazia andasse bene solo quando tutela i loro desideri. Ma le ragioni che ci fanno stare fuori del coro sono, però, ben altre. Sulla riforma del sistema politico italiano, infatti, da anni sentiamo dotte analisi di autorevoli politologi che tentando di spiegare al colto e all'inclita la bontà del sistema maggioritario, del bipolarismo e, in prospettiva, del bipartitismo. Un'analisi quasi sempre virtuale che non tiene conto di alcuni fattori incomprensibili presenti nella società italiana e che fin qui, nel nuovo sistema, hanno solo fatto diminuire i votanti e aumentare il numero dei partiti.

L'errore di fondo sta nel fatto di ritenere che una riforma in senso maggioritario e bipolare possa essere il frutto di una legge elettorale.

L'evoluzione del sistema in questa direzione, al contrario, non può che essere affidata a processi politici veri, capaci di attraversare la società italiana nel suo profondo, riaggregando valori, programmi, orientamenti intorno a poche forze politiche. Solo dinanzi a una tendenza forte e visibile di questo tipo una legge elettorale potrebbe favorire o rallentare un processo politico le cui radici affonderebbero nel profondo della vita culturale e politica del Paese.

Se questa tendenza, invece, non c'è, illudersi di piegare le scelte politiche di un Paese con il solo strumento della legge elettorale è un velleitarismo da salotto. E in Italia questa tendenza non c'è.

Non c'è innanzitutto tra i partiti, il cui numero è esploso contestualmente al varo della riforma maggioritaria.

In quattro anni di vita di questo sistema, infatti, quale forza politica ha deciso il proprio "dissolvimento" in un altro partito o quali partiti hanno deciso di fondersi tra loro? Nessuno. Neanche quelli che più inseguono un sistema maggioritario secco hanno ritenuto di testimoniare il proprio orientamento confluendo in altre forze politiche, semplificando così lo scenario parlamentare. Ma questa tendenza, oltre a non esserci tra i partiti, continua a non esserci nel Paese.

Quando ciascuna delle due maggiori forze politiche aggrega poco più di un quinto dei votanti (il Pds il 22% circa e Forza Italia poco più del 20%) è segno che manca a oggi nella vita politica italiana chi sappia riaggregare una consistente fetta di popolo come è avvenuto nei primi cinquant'anni della nostra esperienza repubblicana.

E fino a quando resteranno nella coscienza politica e culturale del paese almeno sei opzioni diverse in cui la gente si riconosce e per cui vota (An, Rifondazione comunista, il Pds, la Lega e almeno due partiti di area moderata) sarà illusorio immaginare una evoluzione bipolare del sistema politico italiano. Chi l'ha immaginata e perseguita ha solo fatto i pasticci che sono sotto gli occhi di tutti, il più sconcertante dei quali è una maggioranza di governo che mette insieme Dini, Ciampi e Bertinotti. D'altro canto sistemi non maggioritari come quelli tedesco e spagnolo garantiscono governi più stabili e omogenei di quelli che abbiano visto in questi anni in Italia, mentre nella patria del maggioritario secco, l'Inghilterra, si discute ormai da tempo sulla necessità di superare quel sistema elettorale.

Molti, fin qui, si sono illusi di poter fare a meno della politica o di prendere scorciatoie che saltassero a piè pari le tappe d'un faticoso processo politico del quale, in verità, non si vede neanche l'inizio. E se questo errore che ha guidato fin qui i riformatori a vario titolo non verrà corretto in tempo, prendendo atto della storia e della evoluzione politica del Paese, la stessa commissione Bicamerale approderà inevitabilmente alla costruzione di una nuova forma di Stato e di governo che faranno a pugni col modo di sentire del nostro popolo. E a quel punto sarebbe veramente difficile evitare il disastro.

 

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