Il Sole 24 Ore Online

Domenica, 7 febbraio 1993


Un maggioritario cosí "corretto" serve ai partiti per non cambiare
Conservare una quota di proporzionale rischia di deludere chi vuole novità
di Valerio Zanone

Entrati nella commissione delle Riforme istituzionali per scontrarsi, il Proporzionale e il Maggioritario forse ne usciranno a braccetto.

Il tentativo di conciliazione è affidato ai principi per l'elezione delle due Camere presentati dal nuovo relatore Sergio Mattarella. I "principi" di Mattarella contengono alcune indicazioni finora non raccolte dalla stampa.

Cominciamo dal Senato, sul quale incombe un referendum che si farà e passerà alla grande. Per effetto del referendum, i senatori verranno eletti in ciascun collegio con la maggioritaria pura, in luogo dell'irraggiungibile maggioranza del 65% oggi prescritta. Ma poiché il numero dei collegi copre soltanto il 75% dei seggi, per effetto del referendum il quarto restante dei seggi sarà attribuito con sistema proporzionale in ciascuna regione; e poiché lo scarto fra collegi e seggi varia da regione a regione, dopo il referendum si avranno di fatto 15 differenti quote proporzionali per l'elezione del Senato. Anche i piú strenui sostenitori del referendum dovrebbero dunque convenire in partenza che alla sua approvazione deve seguire una legge perequatrice. Vediamo cosa propone Mattarella.

In primo luogo, i "principi" di Mattarella prevedono la nuova delimitazione dei collegi senatoriali, fissati nel 1948 e ormai disomogenei e sproporzionati.

Nei sistemi uninominali la delimitazione dei collegi è sempre stata un potere governativo di primaria importanza. Con un tratto di penna sulla cartografia è possibile modificare la composizione sociale del collegio, ad esempio, agganciando i quartieri alti con periferie di edilizia popolare a piú alta densità abitativa.

Mattarella strappa quella temibile arma dalle mani del ministro dell'Interno e affida la delimitazione dei collegi a una commissione di esperti nominati dai presidenti delle Camere.

Mattarella propone poi che il numero dei collegi corrisponda a tre quinti dei senatori da eleggere, e che in ciascun collegio risulti eletto il candidato piú votato, all'inglese. Viceversa gli altri due quinti dei seggi saranno attribuiti con il sistema proporzionale, secondo la percentuale ottenuta da ciascun candidato non eletto nel proprio collegio, come attualmente avviene.

Per la presentazione delle candidature si prevede un alto numero di sottoscrittori con esenzione per i partiti già presenti nel Parlamento; ciò mantiene un discutibile privilegio dei "nati" rispetto ai "non nati" che è stato invece rimosso dal nuovo sistema elettorale di Comuni e Province.

In sintesi, il sistema proposto da Mattarella non contrasta con l'indirizzo referendario, pur correggendolo con un margine piú proporzionale. L'obiezione di fondo è ovviamente che il recupero proporzionale di due quinti dei seggi impedisce di chiudere la partita nell'ambito dei singoli collegi, e induce i partiti a presentarsi ciascuno sotto la propria insegna, con evidente beneficio per la posizione democristiana; ciò che peraltro avverrebbe, come si è detto, anche con il referendum.

Alquanto piú complicati sono i "principi" di Mattarella per l'elezione della Camera.

Anch'essa avverrà sulla base di collegi uninominali pari a tre quinti dei seggi, con recupero proporzionale dei due quinti restanti. In luogo dell'ambito regionale tipico del Senato, si prevedono circoscrizioni fino a 30 seggi; se passasse la proposta di ridurre i deputati a 400, si avrebbero otto circoscrizioni o poco piú. L'elettore, a differenza dal Senato, può dividere il voto fra il candidato del proprio collegio e i gruppi di candidati aggregati per il recupero proporzionale: per capirsi, si può dare un voto ad personam al candidato e un voto di bandiera al partito. All'assegnazione della quota proporzionale concorrono i gruppi di candidati, ossia i partiti, che ottengono uno o piú quozienti nelle circoscrizioni e, per il recupero dei resti in sede nazionale, almeno il 3% dei voti. Semplifichiamo e riassumiamo: in una Camera che fosse ridotta a 400 deputati, con la proposta di Mattarella entrerebbero 240 deputati vincitori ciascuno nel proprio collegio, piú 160 deputati eletti in otto circoscrizioni, sulla base di quozienti superiori al 5% (20 deputati recuperati con la proporzionale in ogni circoscrizione); oppure fra i partiti che superino il 3% in media nazionale, per la spartizione dei pochi seggi da assegnare con i resti.

Il sistema non è dunque dei piú semplici, ma si complica ulteriormente con la faccenda dello scomputo. Mattarella ammette, come è giusto, che per l'assegnazione dei due quinti proporzionali si scomputino dal totale dei voti di ciascun partito i voti già utilizzati dai candidati riusciti eletti nei collegi. Ma potrebbe darsi che un candidato fosse eletto con un consenso plebiscitario, e in questo caso sottrarrebbe al proprio partito troppi voti; paradossalmente, i partiti avrebbero allora interesse a presentare nei collegi piú sicuri i candidati piú mediocri, che ce la farebbero per il rotto della cuffia e quindi non costerebbero troppo in detrazione. A evitare che ciò avvenga, l'astuto Mattarella prevede perciò che si scomputi per ogni elettore nel proprio collegio soltanto "un numero di voti pari a quello del secondo candidato, aumentato di uno": ossia il minimo sufficiente a battere il secondo candidato.

Vale ovviamente per la Camera l'osservazione già fatta per il Senato: la combinazione di maggioritario e proporzionale sposta la scelta dall'ambito del collegio uninominale, e dei singoli personaggi in esso concorrenti, alla scelta di gruppo e quindi di partito. La mia rinuncia al proporzionalismo è troppo recente per consentirmi recriminazioni in proposito.

Tuttavia, una volta stabilito il gran salto dal proporzionale al maggioritario, non si dovrebbe indulgere alla tentazione di storpiare anche il maggioritario a servizio del vecchio sistema. Gli elettori del prossimo referendum, e gli stessi pazienti lettori di questo articolo, non credo vadano pazzi per le cabale dei sistemi elettorali. Essi sanno soltanto che il proporzionale è il sistema dei vecchi partiti, e ritengono che il maggioritario possa essere il sistema per trasformarli.

Se si vuole il maggioritario per trasformare i partiti, occorre allora un maggioritario che imponga la trasformazione di tutti i partiti a cominciare dai piú grandi, e non un maggioritario che imponga ad alcuni partiti di scomparire per consentire ad altri di avvantaggiarsi; diversamente, il passaggio al maggioritario anziché aprire la strada alla novità, diventerà il baluardo della conservazione.

 

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