RCS on Line - Corriere della Sera

Venerdì, 20 giugno 1997


Pasticcio al salmone
di Paolo Franchi

Con tutta la migliore volontà, e con tutto il rispetto, è un po' difficile considerare la sala da pranzo di casa Letta come la sede piú indicata per stipulare un compromesso istituzionale "alto e nobile". E un po' arduo è anche raffigurare i convitati (D'Alema, Salvi, Berlusconi, Fini, Marini) nelle vesti dei padri costituenti. D'altronde, lo sanno anche loro: con la sola eccezione del cortese Berlusconi, se la sono tutti filata schivando i giornalisti. Anche Fini, l'unico che in fondo, davanti a una tartina al salmone e a dei fusilli, un risultato lo ha ottenuto, nella forma di un altro passo avanti sull'unica strada che davvero lo interessa, quella della definitiva legittimazione. Seppure all'italiana.

Per carità. Siamo uomini di mondo, abbiamo avuto già modo e tempo di inseguire questo o quel leader in rotta verso qualche convegno segreto con le sue controparti in salotti piú o meno amici. Nonché di registrare un'infinità di patti veri o presunti, ivi compreso quello "del caciocavallo" tra De Mita e Craxi: un nostro simpatico collega celiò financo sull'importanza epocale di una (mai avvenuta) "gran porchettata in casa Gaspari". Nessuno scandalo, dunque. Solo un'ipotesi di lavoro.

Forse non è vero che ci aggiriamo ancora tra i piaceri e i misteri dell'Antico Regime. Piú probabilmente viviamo in una caricatura della Prima Repubblica. E in una caricatura tragicomica: nelle cene segrete dei bei tempi si lottizzavano nomine, ma almeno non si pretendeva di riformare le istituzioni. Magari tenendo sotto scopa in tema di emittenza un commensale di riguardo, sí, ma con qualche problemino di troppo per via del conflitto d'interessi. La Bicamerale, quella Bicamerale che con colpevole ingenuità avevamo sperato potesse cambiare le regole del gioco, si avvia, come suol dirsi, alla stretta finale nella convinzione sempre piú diffusa che stia tornando la Democrazia cristiana: purtroppo, non la Dc di De Gasperi, e neppure quella di Moro. D'altra parte, Casa Letta sorge alla Camilluccia, luogo per antonomasia dedicato ai vertici e ai "caminetti" democristiani: curiosa coincidenza.

Quanto agli aspetti anch'essi simbolici, ma politicamente piú rilevanti, significherà bene qualcosa che la legge elettorale sulla quale si è a un passo dall'accordo sia consegnata alle cronache, e forse anche alla storia, con il nome di Mattarellum Due. Il (deprecato) Mattarellum Uno, attualmente in vigore, fu escogitato quattro anni fa (non solo dal bravo Sergio) nella convinzione (errata) che la Dc fosse ancora una forza del venti-venticinque per cento, capace di guadagnare seggi da sola anche nei collegi uninominali. Chi sa apprezzare i politici tenaci è lieto di sapere che l'onorevole Mattarella (anche stavolta in ottima compagnia) ci riprova, e con ottime possibilità di successo. D'altra parte, Berlusconi, lo stesso Berlusconi che ha manifestato piú di un rimpianto per la proporzionale, ha di recente esibito un significativo sondaggio tra gli elettori di Forza Italia: alla domanda su chi voterebbero se Forza Italia scomparisse, nonostante molti di loro siano di provenienza laica e socialista, si sono equanimemente divisi nella risposta, metà per Casini, metà per Buttiglione.

Curiosamente, ma non troppo, né il leader del Ccd né quello del Cdu sembrano troppo lieti di tanto successo di critica e di pubblico: di questi tempi gli ex democristiani piú soddisfatti sono altri, a cominciare da Marini e De Mita. Che non nascondono la loro esultanza per aver ridimensionato (è un cortese eufemismo) la figura e l'opera di Massimo D'Alema. Giungendo a minare in radice i dogmi della sua onniscienza, della sua onnipotenza e della sua infallibilità.

Si potrebbe continuare a lungo, ma fermiamoci qui. Forse siamo già nel Termidoro, e oltretutto senza avere in realtà vissuto (ghigliottine, teste tagliate e tricoteuses a parte) alcuna rivoluzione. Forse l'unico sbocco realistico è davvero, ovviamente in forme inedite, della Dc, della proporzionale, della consociazione aperta o mascherata. Non da oggi, nel centrodestra come nel centrosinistra, molti ne sono convinti: è bello non voler morire democristiani, ma anche vivere democristiani, senza peraltro essere mai costretti a professarsi tali, non è stata poi cosa da buttar via. Può darsi persino che abbiano ragione.

La tesi secondo la quale non può essere un caso se questo Paese non ha mai conosciuto la democrazia dell'alternanza e si è retto, salvo tragiche eccezioni, sull'equilibrio possibile tra il centro e la sinistra, non è nata in qualche cena, ma ha una fondatezza e una legittimità storica assai piú significative di quanto immaginino certi storditi novisti. Può anche essere, insomma, che l'Italia, incamminatasi sul piú periglioso dei sentieri, abbia di fronte l'ultima possibilità per tornare indietro prima di precipitare nel burrone, e debba coglierla. Sarebbe bene, però, che chi sostiene una tesi siffatta, lo facesse a viso aperto. E di questo apertamente, appunto, si discutesse, e su questo, infine, il popolo italiano fosse chiamato a pronunciarsi. Cosa pessima e pericolosissima, viceversa, è cercare di affermare surrettiziamente, mercanteggiando sui principi e sulle istituzioni, un simile punto di vista. Un esempio per tutti. Nessuna persona di buon senso può immaginare nemmeno alla lontana una Prima Repubblica, o una Prima Repubblica e Mezzo, semipresidenziale. Da noi la si immagina, anzi, si lavora alacremente per realizzarla. E proprio cercando il compromesso i cui rischi sono stati indicati con straordinaria lucidità da Maurice Duverger: "Vorrei mettervi in guardia contro un possibile errore che potrebbe risultare molto grave, un prodotto del genio italiano il quale tende a scartare le soluzioni serie per rincorrere idee brillanti, e cioè la proposta di eleggere un presidente senza poteri. Una scelta completamente folle. Se l'eletto dal popolo è scelto senza un legame con un programma e dei chiari poteri dei quali è responsabile, si crea un sistema perfetto per eleggere dei demagoghi che giocheranno il gioco di moltiplicare promesse elettorali delle quali non saranno obbligati a presentare il conto. Siamo seri: è esattamente il genere di soluzioni che possono creare delle dittature opponendo un demagogo a un Parlamento impotente".

Forse i nostri costituenti al salmone pensano di uscirne indicando agli elettori un candidato presidente espressione di "vasta convergenza democratica"? Oppure dando una rafforzatina ai poteri del premier, secondo la "brillante" teoria del sistema a doppio motore? Meglio dare retta al saggio Duverger: siamo seri.

 

Bicamerale, accordo sulla legge elettorale
Il compromesso raggiunto su una diminuzione dei poteri del presidente
Torna l'ottimismo sulla conclusione dei lavori della Commissione.
Il controvertice tra Bertinotti e Casini. Maroni: "Neanche il Caf avrebbe osato tanto"

di Gianna Fregonara

ROMA - Ognuno lo dice a modo suo. Il pidiessino Cesare Salvi: "Oggi l'aria è piú serena". Franco Marini: "Siamo ad un passo dall'accordo". Domenico Nania di An: "A questo punto il nostro unico nemico è il tempo: potrà l'accordo reggere un anno e mezzo?". Anche gli "esclusi" dal vertice notturno dei "nove" si accodano. Armando Cossutta: "Credo che ci stiamo avvicinando ad una soluzione positiva". Pierferdinando Casini (Ccd), che ieri ha anche organizzato un contro-vertice con Bertinotti nel suo studio: "Noi siamo ben rappresentati da Berlusconi. Ci va bene". Fausto Bertinotti: "Sapevamo il menu. Tutto sonno guadagnato il nostro". Maurizio Pieroni dei verdi: "Ci vuole un buon accordo per frenare i guastatori".

Tutti ottimisti, anche se ci sono ancora molti punti da limare, molte incertezze tecniche. Ma l'accordo di massima che dovrebbe consentire alla Bicamerale di concludere i lavori il 30 giugno con un voto su un testo unico sulla forma di governo c'è. A discutere i problemi piú spinosi ci penserà il Parlamento. È servito a questo il vertice segreto di mercoledí notte a casa di Gianni Letta con Berlusconi, D'Alema, Fini, Marini e i loro quattro "ambasciatori" nella Bicamerale.

Punto di partenza la bozza Salvi. Si è parlato dei poteri del presidente e di legge elettorale: quest'argomento non sarà affrontato in commissione, che non è competente, ma i bicameralisti presenteranno un ordine del giorno "sufficientemente vago" che contenga i principi della legge da far approvare poi al Parlamento: la bozza è già pronta e prevede che si mantengano alcuni principi della legge attuale (scorporo e sbarramento) e di inserire un meccanismo che assicuri la stabilità della maggioranza. "Ci provino, a presentarla - annuncia battaglia Giorgio Rebuffa di Forza Italia - la commissione non può votare ordini del giorno. Lo vieta la legge istitutiva".

Ecco i punti principali della nuova legge elettorale: al primo turno si vota con due schede per eleggere il 55 per cento dei deputati con il sistema maggioritario uninominale e per scegliere un altro 25 per cento di deputati con il sistema proporzionale, resta lo sbarramento per l'accesso in Parlamento al 4 per cento. Dovrebbe rimanere anche il meccanismo dello scorporo (come nel sistema attuale: i voti di chi è eletto con il sistema maggioritario vengono sottratti al momento di contare i consensi per la quota proporzionale), anche se il Pds lo vorrebbe abolire. Al ballottaggio sono ammesse soltanto le due coalizioni che prendono piú voti e si dividono il rimanente 20 per cento: una apre serve alla coalizione che vince per raggiungere almeno il 54 per cento dei seggi, il resto viene ridistribuito.

Sui poteri del presidente si è discusso a lungo. Due i punti piú controversi: il potere di scioglimento delle Camere e il suo rapporto con il presidente del Consiglio. I popolari chiedevano almeno la controfirma del premier per lo scioglimento. Fini voleva la massima discrezionalità del presidente. "Ci siamo accordati che il presidente può sciogliere in caso di crisi di governo". Restano una serie di casi che i popolari e anche Rifondazione vogliono scrivere in Costituzione. Altra certezza è che il presidente della Repubblica continuerà a controfirmare le leggi e i decreti e non presiederà il consiglio dei ministri, ma soltanto un consiglio di sicurezza e difesa ristretto, per i problemi che riguardano appunto la politica estera e la difesa. "Non si è stabilito chi rappresenta invece l'Italia all'estero: forse sia il premier che il presidente", conclude Nania.

Tutto questo dovrà essere inserito da Cesare Salvi nella sua bozza, che verrà rivotata lunedí prossimo. Intanto questa mattina tocca ai leader: in Bicamerale spiegheranno ufficialmente le linee dell'accordo, per il Polo parlerà Fini ma non Berlusconi. Se anche c'è l'accordo non è esclusa la schermaglia in commissione. Gli emendamenti già presentati non verranno ritirati, neppure quello proposto dal Pds di mettere in Costituzione il doppio turno di collegio.

Sono poche le voci discordi. Quella di Achille Occhetto: "Stanno lavorando per peggiorare il semipresidenzialismo". Quella di Maroni della Lega: "Neanche il Caf avrebbe osato tanto". Quella di Famiano Crucianelli (Comunisti unitari): "Un pasticcio brutto". Applaude invece dal governo Walter Veltroni: "È importante che la Bicamerale non fallisca".

 

Occhetto: hanno "copiato" Craxi
I malumori della Quercia
Gli "ulivisti" protestano insieme con la "sinistra".
E i "dalemiani": aspettiamo

di Felice Saulino

ROMA - C'è chi "prende atto" e chi non vuole subire l'inciucio. Chi protesta per il "basso compromesso" accettato da D'Alema per salvare la Bicamerale e chi preferisce affilare le armi in attesa dei testi sul "Mattarellum 2": l'ipotesi di legge elettorale che, in casi estremi, potrebbe portare la quota proporzionale al 45 per cento. Protestano gli ulivisti, che vedono come fumo negli occhi la "frammentazione partitocratica".

Accusano un certo mal di pancia anche gli esponenti della sinistra pidiessina che marciano insieme a Rifondazione anche quando impugnano la bandiera della "rappresentanza" e quindi del proporzionale che pure in questi giorni ha recuperato molto terreno. Subiscono i dalemiani che guardano all'inciucio sulla legge elettorale e sul resto come al solo modo per salvare il salvabile e non far naufragare la Bicamerale.

Va all'attacco Achille Occhetto che in Commissione duella di fioretto con D'Alema e fuori dalla Sala della Regina impugna lo spadone. Basta accennare appena alla cena che doveva rimanere segreta a casa Letta, all'inciucio notturno tra D'Alema, Berlusconi, Fini e Marini e "Akel" diventa una furia: "Piú che ansia costituente, quei quattro mi sono sembrati presi dall'ansia di salvarsi il c… Quello non è un accordo, è un accordino. Non è altro che il vecchio progetto di riforma costituzionale ipotizzato da Craxi. Anzi, è stato peggiorato… D'Alema ha dovuto accettare questa ipotesi di accordo. È stato costretto da Scalfaro. Lui l'ha chiamato e gli ha detto: "firma"…"

D'Alema, che non sa di questa esplosione, risponde all'Occhetto che ha parlato in Commissione: "Io non so se il compromesso è mediocre, alto o basso. Ma voglio tornare a vicende che abbiamo vissuto insieme - dice rivolto al suo predecessore - quando nella Bicamerale De Mita-Iotti la delegazione del Pds, che era guidata dal suo segretario, propose un bicameralismo differenziato, con un'assemblea nazionale di 400 membri e una Camera delle regioni, di 200, che fosse formata da rappresentanti della collettività e delle istituzioni regionali".

Akel non è convinto. E ribadisce che quello che sta uscendo dalla Bicamerale è "un mostro". Con lui affilano le armi anche gli ulivisti. Scuote la testa sconsolata Claudia Mancina: "Le previsioni peggiorano di giorno in giorno". Poi cerca di buttarla sullo scherzo: "Non vorrei che alla fine si finisse per rimpiangere la via maestra di una bella legge proporzionale".

Parte cauto Claudio Petruccioli: "Che questa roba non mi piaccia, l'ho già fatto capire. Ma prima di dare un giudizio vero e proprio voglio vedere le carte e capire". Poi si mette a fare i conti e salta fuori che la riforma della legge elettorale che sta uscendo dalla Bicamerale assomiglia come una goccia d'acqua a una vecchia ipotesi democristiana: "Un'antica idea di Ciriaco De Mita, Parlamento proporzionale con premio di maggioranza".

E i numeri? "Da quello che si legge sui giornali c'è coincidenza nella cifra di quattrocento deputati ai quali dovrebbe essere ridotto Montecitorio". Scuote la testa, Petruccioli: "Sarà una cosa difficile da far digerire al Pds". E ricorda che "al congresso, all'ultimo congresso passò un emendamento che parlava di "doppioturno uninominale maggioritario con piccola, e sottolineo "piccola", correzione proporzionale".

Intanto il costituzionalista pidiessino Augusto Barbera ripete sconsolato che la forma di governo e la legge elettorale studiate dai plenipotenziari di Pds, Ppi, Fi e An e avallate dal vertice politico a casa Letta non gli piacciono e sono "un pasticcio". E i dalemiani? Non vuole polemizzare Giovanna Melandri: "Bisogna aspettare prima di dire se il referendum elettorale è stato tradito. Tutto dipende dai pesi della quota riservata alla maggioranza che devono ancora essere definiti". E Folena cerca di tirarsi su: "Il maggioritario non verrà tradito. Il Pds non ha ancora ritirato il suo emendamento sul doppio turno". Poi ammette: "Certo, c'è tanta confusione in giro. Siamo al punto che Barbera sul Corriere critica una proposta che prevede un mix tra maggioritario, maggioranza di coalizione e proporzionale: una proposta di mediazione simile a quella da lui stesso formulata".

 

Ritorna