Comitato per la Difesa dei Referendum Elettorali e del Collegio Uninominale

Editoriale del 12 marzo 1998

Referendum elettorali: nessuna delega in bianco ai partiti, anzi...

L'accusa principale mossa contro i nuovi referendum elettorali è di aumentare il recupero proporzionale, rispetto alla legge Mattarella. Quest'opinabile giudizio proviene dai piú accaniti difensori del sistema elettorale proporzionale. Gran parte di costoro, neanche un anno fa, plaudivano al pasticcio elettorale (o crostata che dir si voglia) di casa Letta, spacciato invece per maggioritario.

Verrebbe quasi da pensare che il primo risultato dell'annuncio della raccolta delle firme sia stato la scomparsa dei proporzionalisti. Ma sarà poi vero?

Cominciamo dal patto della crostata, che prevede un sistema elettorale articolato in tre fasi: uninominale maggioritaria; proporzionale (per neutralizzare gli effetti del maggioritario uninominale); infine, premio di maggioranza di lista, da assegnare in un secondo turno aperto alle due maggiori coalizioni di partiti. In realtà, a casa Letta non si è inventato un gran che. Il premio di maggioranza di lista ha diversi illustri (si fa per dire) precedenti. Le ultime elezioni del regno d'Italia, nel 1924, si tennero in base alla legge Acerbo del '23 che, precisamente, aveva istituito il premio di maggioranza di lista. Trent'anni dopo, nel 1953, fu la volta della cd. legge truffa, che differiva dalla legge Acerbo soltanto per la previsione di una soglia superiore (50% contro 25%) per far scattare il premio di maggioranza di lista.

Il referendum elettorale sulla Camera, per contro, sostituisce il sistema d'attribuzione proporzionale del 25% dei seggi con un meccanismo di recupero dei candidati uninominali non eletti, ma che abbiano conseguito i migliori piazzamenti in un terzo dei collegi di ogni circoscrizione.

Perché, allora, i proporzionalisti difendono la crostata di casa Letta e contestano il referendum elettorale? Il mistero non è tale. Il sistema di casa Letta, con un netto peggioramento rispetto ai suoi modelli precursori (Acerbo e truffa), prevede che ben il 45 per cento dei deputati sia scelto direttamente ed esclusivamente dai partiti, a prescindere dagli elettori. Infatti, il 25 per cento di quota proporzionale e il 20 per cento di quota "maggioritaria" sarebbero ripartiti tra liste di candidati bloccate. Gli elettori, si limiterebbero quindi a conferire ai partiti una delega in bianco, i candidati inclusi nella lista essendo predestinati all'elezione. Evviva la democrazia, dunque.

Il cd. maggioritario di lista ha inoltre un'implicazione paradossale, ma solo a prima vista: permette la distribuzione di seggi a micropartiti che non otterrebbero eletti neppure con la proporzionale pura. Il trucco? Allearsi con la coalizione vincente. La legge elettorale per le Regioni, anch'essa ispirata ai prototipi Acerbo e truffa, dimostra peraltro ampiamente le degenerazioni del cd. maggioritario di lista.

Con il sistema referendario di recupero dei migliori perdenti, invece, gli elettori avrebbero in ogni modo l'ultima parola, su tutti gli eletti. In ogni collegio uninominale si svolgerebbero delle leali competizioni tra candidati (leali, in quanto non ci sarebbero predestinati all'elezione, contrariamente al sistema di lista). Un quarto dei seggi sarebbe attribuito non a caso, ma tra i candidati non eletti, che abbiano perso con le migliori cifre individuali. Non esistendo piú il voto di lista, sarebbe impossibile qualsiasi forma di scorporo. Chi sostiene che il 25% dei seggi verrebbe assegnato a caso, non riesce a concepire che i deputati possano essere eletti per meriti propri e non di partito.

Secondo le proiezioni sul funzionamento del recupero di collegio, elaborate sulla base dei risultati elettorali del 1996 per la Camera dei deputati, le cifre elettorali individuali dei 155 cd. migliori perdenti recuperati oscillerebbero tra il 49,9% e il 34,20% dei voti. Il che, per qualcuno, può anche essere inaccettabile. Ma dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che i cd. partitini non avrebbero alcuna possibilità di ricattare i partiti maggiori presentando candidature di disturbo nei collegi uninominali. A meno che i candidati di disturbo ottengano oltre 1/3 dei voti e, comunque, abbastanza per classificarsi tra i recuperandi a livello circoscrizionale. Ma, in quel caso, non si tratterebbe evidentemente di candidati di disturbo.

Qualcuno ha obiettato che l'abolizione delle liste proporzionali possa provocare la proliferazione di candidature kamikaze nei collegi. L'obiezione è facilmente confutabile. Per l'elezione del Senato, l'elettore dispone già oggi di una sola scheda e di un solo voto. Il vigente sistema elettorale (scaturito dal referendum del 1993) mantiene il riparto proporzionale del 25% dei seggi tra i gruppi di candidati presentati nei collegi della Regione; i seggi sono attribuiti, partito per partito, ai candidati con i migliori quozienti. Nelle Regioni maggiori, dove sono in palio piú seggi e quindi i partiti minori possono sperare di ottenere dei recuperi, c'erano, nel 1996, fino a otto candidati per collegio.

Questi i risultati del recupero proporzionale al Senato nel 1996 (83 seggi): Ulivo: 23; Polo; 49; Lega Nord: 9; Pannella: 1; MS: 1. Ecco invece come avrebbe funzionato il sistema di recupero referendario: Ulivo: 26 (+3); Rifondazione: 1 (+1); Polo: 56 (+7). Nel 1996, la cifra elettorale individuale piú bassa tra i non eletti recuperati fu del 16,41%; applicando il sistema referendario agli stessi risultati, il candidato recuperato con la cifra elettorale piú bassa avrebbe comunque ottenuto il 31,86%.

E veniamo al punto: è la quota proporzionale della legge Mattarella, e non quella maggioritaria uninominale, ad aver favorito la parcellizzazione dei partiti. Il referendum abroga precisamente la quota proporzionale. E i proporzionalisti lo contestano con l'argomento che la quota proporzionale aumenterebbe. Ma, se ciò che dicono fosse vero, sarebbero loro a promuovere questo referendum.

Due parole sul cd. abbinamento di lista, che dovrebbe impedire le candidature uninominali indipendenti per la Camera (divieto che il referendum intende abolire): la legge Mattarella consente in via di fatto di eludere l'obbligo di collegamento e il conseguente meccanismo di scorporo. Tant'è vero che diversi sono stati i casi di candidati uninominali privi del collegamento di lista (e che, se eletti, avrebbero fatto cadere il meccanismo dello scorporo). In proposito, cfr. l'illuminante decisione dell'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di Cassazione, del 27 febbraio 1994.

I meccanismi diabolici della legge Mattarella furono inventati prima che si tenesse il referendum elettorale sul Senato (cfr. "Un maggioritario cosí corretto..." di Valerio Zanone, in Riforma e controriforma). È quindi fuor di luogo sostenere che gli italiani abbiano voluto la legge Mattarella. Anche perché, se cosí fosse, gli stessi italiani respingerebbero i nuovi referendum elettorali.

Doppio turno o turno unico? Se in Parlamento ci fossero le condizioni politiche e la volontà di realizzare un doppio turno di collegio serio, vale a dire con una soglia alta per l'accesso al secondo turno (in Francia è del 12,5%), si sarebbe già fatto. È pura utopia sperare che il sistema dei partiti si riformi da sé. E chi cerca di confondere le idee ai cittadini lo sa molto bene.

Viva la Repubblica e i collegi uninominali.

Milano, li giovedí 12 marzo 1998

Emilio Colombo
Marco Nardinocchi

 

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