"L'amore
coniugale santuario della vita"
(Caltagirone - Marzo 1995) |
Iniziamo oggi la nostra Catechesi con una bella affermazione fatta dal
Concilio Vaticano IL: "Il Matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati per loro
natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli, infatti, sono il
preziosissimo dono del Matrimonio". Parleremo, dunque, oggi dell'amore coniugale in
quanto luogo in cui viene concepita ed educata la nuova persona umana. Prima, tuttavia e
purtroppo, dobbiamo fare quello che fece Mosè, prima di avvicinarsi al roveto ardente
dove era presente il fuoco della Gloria di Dio. Egli, su ordine del Signore, si levò i
calzari, perchè stava per entrare in un luogo santo. Anche noi stiamo per entrare in un
luogo santo, l'amore coniugale. Anche noi dobbiamo prima toglierci i calzari, cioè
liberarci da idee sbagliate, i pregiudizi che oggi circolano sull'amore coniugale e
che più o meno tutti respiriamo.
1. Il primo pregiudizio, il più tremendo, da cui dobbiamo liberarci se vogliamo penetrare
nel grande
mistero dell'amore coniugale, è quello di pensare che la libertà consista nel non
prendere mai impegni definitivi. È di pensare che essere liberi significa non essere
legati a nessuno. E di pensare che la forza più grande della nostra libertà consista nel
dire "no", piuttosto che nel dire "si". Ho detto che questo
pregiudizio è tremendo. Non è una esagerazione. Chi, infatti, si lascia dominare da
questo pregiudizio, può veramente giungere fino alla distruzione spirituale di se stesso
e dell'altra persona. Mi spiego con un esempio. Quando noi compriamo una cosa, normalmente
ci viene data con un certo periodo di garanzia. Che cosa significa «periodo di
garanzia»? Significa che tu da subito entri in possesso della cosa, tuttavia non intendi
dare un consenso a tenerla per sempre, se non a condizione che tutto funzioni bene.
Se l'esperimento non ha un buon risultato, ciascuno si riprende ciò che è suo.
Proviamo ora a trasferire questo «contratto con garanzia» al rapporto uomo-donna nel
matrimonio. I due non si uniscono se non «a condizione che» tutto funzioni bene; se il
risultato non è soddisfacente, ciascuno si riprende il suo. Ecco, vedete: si ha qui una
sorta di contratto di uso reciproco, nel quale ciascuno non intende impegnarsi per sempre.
Ciascuno prova ad usare l'altro. C'è qualcosa di tremendo in tutto questo, perchè si
riduce la persona propria e dell'altro ad una cosa di cui fare uso. «Usa e getta», dice
chi si lascia dominare dal pregiudizio che essere liberi significhi non assumersi mai
impegni definitivi.
Chi si lascia prendere da questo pregiudizio, solitamente apre il suo cuore ad un secondo
pregiudizio, ugualmente molto pericoloso. Vorrei spiegarvelo partendo da alcuni esempi
molto semplici.
Se noi in una giornata molto calda passiamo davanti ad un banco di gelati ed abbiamo molta
sete, subito sentiamo un grande desiderio di comperarne uno e mangiarlo. Se, al contrario,
non abbiamo sete, il gelato non esercita su di noi nessuna attrattiva. Proviamo a
riflettere un poco su questa esperienza. Notiamo subito che l'oggetto che attira la nostra
attenzione, non ha in se stesso un suo proprio valore: interessa in quanto è capace
di spegnere la nostra sete. Se non ho sete, esso non esercita più nessun interesse. E la
mia sete che rende cosi interessante il gelato. Vale, insomma, perchè ne ho bisogno.
Ecco, tenete ben presente nella mente questo esempio. Il secondo pregiudizio sull'amore
coniugale consiste nel confondere l'amore coll'attrazione, col bisogno che sento di
un'altra persona per la mia felicità. L'altra persona vale perchè mi soddisfa, perchè
ne ho bisogno. Perchè si tratta di una tremenda confusione? Facciamo un altro esempio.
Sulle case deve essere costruito un tetto: ovviamente perchè non vi piova dentro.
Lo stesso problema valeva anche per la basilica di S. Pietro: quando fu costruita doveva
essere completata col tetto. Era necessario, a questo scopo, perchè non piovesse dentro
la basilica, costruire la cupola? Non solo non era necessario ma era molto più difficile
e molto più costoso. Allora perchè Michelangelo volle e costrui la cupola e non un
semplice tetto? Perchè la cupola è bella. Essa cioè meritava di essere voluta (=
costruita) a causa della sua intrinseca bellezza. Ecco, vedete: si può volere una cosa,
ed anche una persona, in due modi profondamente diversi puoi volere qualcuno o qualcosa
perchè ne senti il bisogno; puoi volere... perchè semplicemente merita di essere voluto,
amato. Nel primo caso, è il tuo desiderio che conferisce valore all'oggetto voluto; nel
secondo caso, è l'oggetto che, a causa del suo valore, suscita in te il desiderio.
Finalmente, possiamo ora dire brevemente in che cosa consiste il secondo pregiudizio
sull'amore coniugale: confondere l'amore coniugale coll'attrazione, col bisogno che sento
di possedere l'altra persona per la mia felicità.
Potete anche vedere facilmente come questi due pregiudizi sono legati fra loro. Se vuoi
una persona per il bisogno che ne senti, la vuoi solo se e solo fino a quando ella è in
grado di soddisfare il tuo desiderio di essa. L'amore coniugale diventa un contratto a
rischio. Esiste, infine, un terzo pregiudizio sul quale vorrei attirare la vostra
attenzione. È il pregiudizio che sia possibile un amore vero senza una profonda unità
spirituale, che cioè l'amore si possa ridurre ad un unione fisica-sessuale. Come vedremo,
l'amore coniugale è anche profonda intimità sessuale. Il pregiudizio oggi molto diffuso
è che sia possibile separare la sessualità dall'amore; che «amare» significhi
semplicemente «avere rapporti sessuali». In una parola: ridurre il rapporto uomo-donna
alla sessualità, separandola dall'unione spirituale e chiamare questo «amore».
Sono tre pregiudizi. Di essi dobbiamo completamente liberarci, se vogliamo comprendere il
mistero dell'amore coniugale. Essi infatti, riducono ed impoveriscono la nostra libertà,
e l'amore coniugale è la suprema manifestazione della libertà. Riducono ed impoveriscono
la nostra capacità di desiderare, e l'amore coniugale è la suprema manifestazione della
capacità del dono. Riducono ed impoveriscono la sessualità umana, e l'amore coniugale è
la rivelazione della ricchezza integrale della sessualità umana.
2. Se ci siamo liberati da questi pregiudizi, se ci siamo levati come Mosè i calzari,
possiamo ora entrare nel mistero dell'amore coniugale. La caratteristica con cui
immediatamente ci si presenta
l'amore coniugale è che esso esiste solamente fra un uomo e una donna e non può esistere
fra persone dello stesso sesso (come altre forme di amore). Se consideriamo la
differenza fra l'uomo e la donna, una differenza puramente biologica, siamo dei
superficiali. Partiamo, dunque, dalla riflessione su questo punto: è la porta d'ingresso
nel mistero dell'amore coniugale. Vi ricordate come la S. Scrittura racconta la creazione
dell'uomo e della donna?
L'uomo (maschio) si sente solo ed in questa solitudine soffre. Mentre dopo che il Signore,
creato ogni cosa, vedeva che tutto era ben fatto, ora vedendo l'uomo in questa condizione,
dice: «Non è bene che l'uomo sia solo». Non è bene: l'uomo in questa condizione di
solitudine, non ha raggiunto la pienezza del suo essere umano. In realtà, sembrava che
l'uomo non fosse solo: c erano gli animali e le piante. Ma essi non erano persone: erano
qualcosa, non qualcuno, Ora, che cosa fa il Signore? Crea un altro uomo? Crea la donna.
Nella comunione reciproca fra l'uomo e la donna, la persona raggiunge la sua pienezza. Ed
Adamo canta la sua prima canzone di amore: «questa si che è carne della mia carne...».
Ecco abbiamo pronunciato la parola «chiave» che ci apre il mistero dell'amore coniugale:
comunione interpersonale. Che cosa è? Quando noi siamo di fronte ad una persona possiamo
avere tre attitudini fondamentali. Possiamo pensare (e dire): «come è utile che tu
esista!». E l'attitudine di chi guarda l'altra persona, pensando quali vantaggi
eventualmente possono derivargli dalla sua conoscenza, dalla sua amicizia. E l'attitudine
utilitarista. Possiamo pensare (e dire): «come mi piace che tu esista!». È l'attitudine
di chi guarda l'altra persona come fonte possibile di piacere, come qualcosa che può
procurargli piacere. È l'attitudine edonista. Possiamo pensare (e dire): «come è
bello che tu esista».
1»= l'attitudine di chi guarda l'altra persona, vedendone la sua dignità, la sua
preziosità che la rende degna di esistere. Il suo valore in se stessa e per se stessa. E
l'attitudine amorosa: è l'amore.
Facciamo ora un passo avanti, nella scoperta dell'amore coniugale. Questa terza attitudine
è propria
dell'amore come tale, non solo dell'amore coniugale. Come è presente nell'amore
coniugale? Approfondiamo quell'attitudine amorosa. L'amore che vede la dignità, la
preziosità infinita della
persona suscita un sentimento di venerazione per essa che prende corpo nel desiderio di
dono all'altro. Ora possiamo donare all'altro ciò che possediamo, ciò che abbiamo: il
nostro tempo, per esempio, il nostro denaro, l'esercizio della propria professione. Oppure
possiamo donare se stessi, la propria persona: semplicemente non il nostro avere, ma il
nostro essere. C'è una diversità fra i due doni? Una diversità abissale. Il dono di
ciò che hai, può essere misurato...; il dono di se stesso, non può essere misurato: o
è totale o non esiste per niente. Il dono di ciò che hai può essere misurato nel
tempo...; il dono di se stesso, proprio perchè totale, non può essere limitato nel
tempo: è definitivo, è eternamente fedele. L'amore coniugale è dono totale, definitivo
di se stesso all'altra persona, perchè si è vista in essa una tale preziosità da non
meritare niente di meno che non la propria persona. Fra
le migliaia di persone che ha visto, questa è stata vista in una luce assolutamente
singolare. «Questa è unica e merita il dono totale e definitivo non di tutto ciò che
ho, ma di ciò che sono: di me stesso»: dice l'amore coniugale. Ecco perché, quando
questo dono è accaduto, la persona non appartiene più a se stessa: si è donata
per sempre. Ma questo non è tutto il mistero dell'amore coniugale. Dobbiamo ora
chiederci: come accade questo dono? Esso avviene, nella sua forma più alta, attraverso
l'atto con cui i due sposi diventano fisicamente e spiritualmente una sola persona. La
sessualità coniugale è il linguaggio dell'amore coniugale: è la sua realizzazione più
alta. Vi ricordate che avevamo detto: la comunione interpersonale è l'essenza stessa
dell'amore coniugale. E ci siamo chiesti: ma in che cosa consiste? È la comunione che
consiste nel dono di se stessi che reciprocamente gli sposi si fanno, un dono totale e
definitivo, che si realizza e si esprime nella sua forma più alta nel divenire una sola
carne nell'unione sessuale. In conseguenza di questo dono, essi si appartengono
reciprocamente per sempre.
3. Dopo questa riflessione sull'amore coniugale, possiamo ora parlare del suo frutto più
prezioso, il figlio. Ne parliamo iniziando da quella parola, piena di bellezza e di
mistero, che il Concilio, la Chiesa usa parlando della nuova persona: è un «dono», anzi
un dono «preziosissimo». Un dono fatto da chi? un dono fatto a chi? che cosa significa
che una persona è «in se stessa un dono»? Il figlio è un dono fatto dal Signore. È
questo uno dei misteri più profondi della nostra esistenza. Nessuno di noi è venuto
all'esistenza per caso o per necessità. Ciascuno di noi è venuto all'esistenza perchè
è stato singolarmente voluto dal Signore: ciascuno di noi, prima di essere concepito
sotto il cuore di una donna, è stato concepito nel cuore di Dio. Dio ha pensato a
ciascuno di noi e ci ha voluti. Tuttavia, qui noi ci imbattiamo in un grande evento. Il
Signore Iddio non ha voluto collaboratori quando ha creato l'universo materiale, ma quando
decide di creare la sua creatura più preziosa, la persona umana, vuole avere cooperatori
in questa sua opera, cioè gli sposi. Possiamo tentare di capire un po' questo grande
mistero. Se ci sono madri che mi ascoltano sono sicuro che saranno d'accordo su quanto
dirò. Quando la prima donna della storia, Eva, si rese conto per la prima volta di essere
diventata madre, disse: «Ho acquistato un uomo dal Signore» (Gen 4,1). Perchè non
disse: «Ho generato un figlio»? Possiamo avere una qualche esperienza che nel suo corpo
è accaduto un atto creativo di Dio? Si, con la seguente semplice riflessione. Quando due
sposi vogliono diventare genitori e vogliono un bambino, non possono decidere che sia
questi piuttosto che un altro. Chi sia in realtà il bambino/a da loro generato, lo vedono
e lo sanno solo al momento della nascita e durante poi tutto il suo sviluppo. Chi ha
deciso che sia questi? Chi ha fatto essere questa persona piuttosto che un'altra? «Ho
acquistato un uomo dal Signore» dice Eva. Cioè: il Signore mi ha donato questa persona.
Dunque: all'origine di ogni persona sta un atto creativo di Dio. Ecco perchè la persona
umana non ha altro Signore all'infuori di Dio; ecco perchè nessuno può disporre di se
stesso e degli altri, come fossero nostra proprietà: ecco perchè distruggere fisicamente
o moralmente una persona umana, anche la più piccola, è un abominevole delitto contro
Dio Creatore: un peccato che grida vendetta al suo cospetto. Ma ritorniamo al nostro tema.
Dunque, quando una nuova persona viene all'esistenza, Dio compie un atto di creazione: fa
essere questa persona. Tuttavia, perchè questo atto creativo possa accadere, è
necessario che gli sposi, diventino una sola carne, pongano le condizioni dell'atto
creativo divino. Qui noi scopriamo la suprema grandezza dell'amore coniugale. Ascoltiamo
quanto dice il Concilio Vaticano Il: «Nel compito di trasmettere la vita umana e di
educarla... i coniugi sanno di essere cooperatori dell'amore di Dio Creatore e come suoi
interpreti». Cooperatori dell'amore di Dio Creatore! Coll'atto del loro amore coniugale,
gli sposi aprono lo spazio a Dio perchè, se lo vuole, crei una nuova persona umana. Anzi,
l'atto dell'amore coniugale, mediante cui gli sposi diventano una sola carne, è il tempio
santo in cui Dio celebra la liturgia del Suo amore creatore. Se la Chiesa prende tanta
cura per il tempio in cui celebriamo la liturgia eucaristica dell'amore redentore, come
non deve prendersi cura del tempio in cui si celebra la liturgia dell'amore creatore,
l'amore coniugale, perchè sia bello? Ascoltiamo quanto dice il S. Padre. Nella Nuova
Alleanza, lo testimonia anche San Paolo parlando di Cristo come nuovo Adamo (cfr. i Cor
15,45): Cristo non viene a condannare il primo Adamo e la prima Eva, ma a redimerli; viene
a rinnovare ciò che nell'uomo è dono di Dio, quanto in lui è eternamente buono e bello
e che costituisce il substrato del bell'amore. La storia del «hell'amore» è, in certo
senso, la storia
della salvezza dell'uomo. Il «bell'amore» prende sempre inizio dalla autorivelazione
della persona. Nella creazione Eva si rivela ad Adamo, come Adamo si rivela ad Eva. Nel
corso della storia le nuove coppie umane si dicono reciprocamente: «Cammineremo insieme
nella vita». Così ha inizio la
famiglia come unione dei due e, in forza del Sacramento, come nuova comunità in Cristo.
L'amore, perché sia realmente bello, deve essere dono di Dio, innestando dallo Spirito
Santo nei cuori umani ed in essi continuamente alimentato (cfr. Rm 5,5). Ben consapevole
di ciò, la Chiesa nel sacramento del matrimonio domanda allo Spirito Santo di visitare i
cuori umani. Perchè sia veramente il «bell'amore», dono cioè della persona alla
persona, deve provenire da Colui che è Dono Egli stesso
e fonte di ogni dono. Così avviene nel Vangelo per quanto concerne Maria e Giuseppe, che,
alle soglie della Nuova Alleanza, rivivono l'esperienza del «bell'amore» descritto nel
Cantico dei Cantici. Giuseppe pensa e dice di Maria: «Sorella mia, Sposa» (cfr. Ct 4,9).
Maria, Madre di Dio, concepisce per opera dello Spirito Santo, dal quale proviene il
«bell'amore», che il Vangelo delicatamente colloca nel contesto del «grande mistero».
Quando parliamo del «bell'amore», parliamo per ciò stesso della bellezza: bellezza
dell'amore e bellezza dell'essere umano che, in virtù dello Spirito Santo, e capace
ditale amore. Parliamo della bellezza dell'uomo e della donna: della loro bellezza come
fratelli e sorelle, come fidanzati, come coniugi. Il Vangelo chiarisce non soltanto il
mistero del «bell'amore», ma anche quello non meno profondo della bellezza, che è da
Dio come l'amore. Sono da Dio l'uomo e la donna, persone chiamate a diventare un dono
reciproco. Dal dono originario dello Spirito «che dà la vita» scaturisce il dono
vicendevole di essere marito o moglie, non meno del dono di essere fratello o sorella.
Tutto questo trova conferma nel mistero della Incarnazione, divenuto, nella storia degli
uominifonte di una bellezza nuova che ha ispirato innumerevoli capolavori
artistici. (Lettera alle Famiglie 20, pag. 84-85).
4. Vorrei ora precisamente riflettere con voi su due insegnamenti che la Chiesa ha dato
proprio perchè l'amore coniugale non cessi di essere il bell'amore, nello splendore della
sua verità più profonda: cooperazione con Dio Creatore. Si tratta di due insegnamenti
molto contestati, ma molto veri. Il primo dice che il ricorso alla contraccezione è
sempre un atto ingiusto. Ascoltiamo ancora una volta quanto dice il 5. Padre nella già
citata lettera. I coniugi possono, in quel momento, diventare padre e madre dando inizio
al processo di una nuova esistenza umana, che poi si svilupperà nel grembo della donna.
Se è la donna a rendersi conto per prima di essere diventata madre, l'uomo con il quale
si è unita in «una sola carne» prende a sua volta coscienza, attraverso la sua
testimonianza, di essere diventato padre. Della potenziale, e in seguito effettiva,
paternità e maternità sono entrambi responsabili. L `uomo non può non riconoscere, o
non accettare, il risultato di una decisione che è stata anche sua. Non può nascondersi
dietro espressioni quali: «non so», «non volevo», «sei stata tu a volere». L `unione
coniugale comporta in ogni caso la responsabilità dell'uomo e della donna,
responsabilità potenziale che diventa effettiva quando le circostanze lo impongono. Ciò
vale soprattutto per l'uomo che, pur essendo anch `egli artefice dell'avvio del processo
generativo, ne resta biologicamente distante: è infatti nella donna che esso si sviluppa.
Come potrebbe l'uomo non farsene carico! Occorre éhe entrambi, l'uomo e la donna, si
assumano insieme, di fronte a se stessi e agli altri, la responsabilità della nuova vita
da loro suscitata. È conclusione, questa, che viene condivisa dalle stesse scienze umane.
Occorre, però, andare più a fondo, analizzando il significato dell'atto coniugale alla
luce degli accennati valori della «persona» e del «dono». E quanto fa la Chiesa con il
suo costante insegnamento, in particolare nel Concilio Vaticano II Al momento
dell'atto coniugale, l'uomo e la donna sono chiamati a confermare in modo responsabile il
reciproco dono che hanno fatto di sè nel patto matrimoniale. Ora, la logica del dono di
sè all'altro in totalità comporta la potenziale apertura alla procreazione: il
matrimonio è chiamato così a realizzarsi ancora pìu pienamente come famiglia. Certo, il
dono reciproco dell'uomo e della donna non ha come fine solo la nascita dei figli, ma è
in se stesso mutua comunione di amore e di vita. Sempre dev `essere garantita l'intima
verità di tale dono». «Intima» non è sinonimo di «soggettiva». Significa piuttosto
essenzialmente coerente con l'oggettiva verità di colui e di colei che si donano. La
persona non può mai essere considerata un mezzo per raggiungere uno scopo: mai,
soprattutto, un mezzo di «godimento». Essa è e dev `essere solo il fine di ogni atto.
Soltanto allora l'azione corrisponde alla vera dignità della persona» (Lettera n. 12,
pag. 38-39). Qui noi troviamo la prima, profonda ragione di questo insegnamento della
Chiesa. Noi possiamo comprenderlo pienamente e spiegarlo, solo ricorrendo ai valori di
persona e di dono. Ogni uomo e ogni donna si realizzano pienamente solo quando fanno della
loro vita un dono. Questo è vero di ogni persona, sposata o non. Ma per gli sposi, il
momento dell'unione coniugale costituisce un'esperienza singolarissima di quella verità,
della verità del dono. E allora che l'uomo e la donna, nella verità della loro
mascolinità e femminilità, diventano reciproco dono. Certo, tutta la vita nel matrimonio
è dono; ma ciò si rende singolarmente evidente quando i coniugi, offrendosi
reciprocamente nell'amore, realizzano quella reciproca comunione che fa dei due «una sola
carne». Ora, in alcuni periodi entra a far parte della reciproca
donazione anche la capacità di donare la vita. Notiamolo bene. La fertilità umana non è
un fatto puramente biologico: è una dimensione della persona. Essa può essere capita
nella logica del dono. La fertilità della sposa è la capacità che ella ha di donare la
paternità al suo sposo; la fertilità dello sposo è la capacità che egli ha di donare
la maternità alla sua sposa. Quando gli sposi, ricorrendo alla contraccezione, escludono
positivamente questa dimensione della loro persona, essi alterano il valore di donazione
insito nell'atto dell'unione coniugale. In questo modo, al linguaggio naturale che esprime
la reciproca donazione degli sposi, la contraccezione impone un linguaggio obiettivamente
contraddittorio, cioè il non donarsi totalmente all'altro. Si produce una falsità nel
linguaggio dell'amore. Da una parte, questo è un linguaggio che in se stesso e per se
stesso dice totalità di dono reciproco; dall'altra, in questo linguaggio si introduce una
limitazione. Non si rispetta più l'intima verità del dono, perchè e nel senso, che la
contraccezione non è coerente con la verità oggettiva di colui e di colei che si donano.
E questa una delle ragioni più profonde per cui la Chiesa insegna che la contraccezione
è sempre ingiusta. Mi rendo conto bene che si tratta di una visione molto grande
dell'amore coniugale e della fecondità umana. Non è un «no» che la Chiesa dice, è un
grande «si»
alla bellezza, alla grandezza, alla dignità dell'amore coniugale e degli sposi. Sempre
per aiutarvi a capire questo stupendo «si», vorrei concludere con alcune riflessioni
che, spero, renderanno più chiara la nostra catechesi su questo punto. La prima. Il
concepimento di una persona è il più grande evento che può accadere nella storia
dell'universo. là quindi un atto che impegna al massimo le responsabilità dei coniugi.
La procreazione deve essere responsabile. Questa responsabilità può anche esigere di non
concepire per un certo periodo o di non procreare più. Può essere questo anche un
obbligo grave davanti al Signore. In queste situazioni è lecito, allora, ricorrere alla
contraccezione? Il Signore è mirabile nella Sua Sapienza: Egli ha disposto dei periodi di
non fertilità nella sposa. Quando ci sono gravi ragioni per non procreare, quando esiste
il dovere di non procreare, gli sposi devono astenersi nel periodo in cui la sposa è
fertile, dall'avere rapporti coniugali. Non si comprenda tutto questo come una sorta... di
tecnica. È qualcosa di molto profondo, un'attitudine dettata dall'amore. La scelta dei
ritmi naturali comporta l'accettazione dei tempi della persona della sposa, e quindi del
dialogo, del rispetto reciproco, della responsabilità comune, del dominio di se stesso.
Si approfondisce l'affezione coniugale, perchè la sessualità è rispettata ed arricchita
nella sua vera dimensione e non usata. La seconda riflessione non è meno importante.
Alcuni accusano la Chiesa di essere troppo dura, di non capire gli sposi, di allontanarli
colla sua severità. Vorrei che gli sposi che mi stanno ascoltando, fossero
particolarmente attenti ora a ciò che sto dicendo. La Chiesa dice la verità sull'amore
coniugale, una verità che essa non inventa, non scopre: riceve dal Signore. Questa
verità suona come rimprovero solo a chi ha già deciso di vivere contro essa. Per queste
persone essa è dura, rigorosa, severa. Ma alle persone che non hanno deciso di vivere
contro essa, ma che semplicemente sentono come essa sia difficile da vivere, la Chiesa
dice: «non ti preoccupare, non avere paura! Il Signore ti da la forza di vivere in
pienezza la gioia della verità del tuo amore; ti perdona sempre, settanta volte sette, se
tu ogni giorno cadessi settanta volte sette». Brevemente altro è dire: «questo non è
vero»; altro è dire: «è vero, ma è difficile».
5. Esiste anche un altro insegnamento della Chiesa, che si inscrive in una visione molto
profonda e in una stima molto grande dell'amore coniugale e che, tuttavia, oggi è molto
contestata. Si tratta del problema di ciò che oggi è chiamata «procreazione
artificiale». Ogni giorno, quasi, leggiamo sui giornali notizie di interventi sempre più
invasivi nel processo del concepimento della persona: il concepimento in provetta, la
maternità in età ormai avanzata e così via. Riflettiamo con serenità, con
profondità su tutto questo. E ripartiamo precisamente dall'insegnamento del Concilio
Vaticano Il che ha dato inizio alla nostra Catechesi di oggi: «i figli sono il
preziosissimo dono del matrimonio» cosa significa? Significa che non solo non si deve
separare, mediante la contraccezione, l'amore coniugale dalla procreazione, ma anche che
non si deve separare la procreazione dall'amore coniugale. Esiste una sola culla degna di
concepire una nuova persona umana: l'atto dell'amore coniugale. Perchè? Sono molte le
ragioni. Riflettiamo su alcune. Sostituire l'espressione dell'amore coniugale, come atto
che sta all'origine del concepimento di una persona, con un'attività di carattere
tecnico, un'attività di laboratorio equivale ad una sorta di «produzione» della
persona. Ora si producono le cose, non le persone. Si possono fare le protesi di tutto:
dei denti, dei reni, del cuore. Non si può fare la protesi dell'amore coniugale. Che cosa
significhi introdurre la logica della produzione tecnica in un evento che deve essere
dominato solo della logica dell'amore, possiamo vederlo da molti punti di vista.
Solitamente chi produce, si sente poi in diritto di dare un giudizio sulla riuscita del
prodotto. Ed infatti, se l'embrione ottenuto in laboratorio non è giudicato sano, viene
buttato. Ecco, vedete? E la logica della produzione che è entrata nei rapporti delle
persone, prendendo il posto della logica dell'amore. Spesso nella «produzione della
persona», poichè è di questo che si tratta, intervengono varie sostituzioni. Non è
sempre la stessa donna che biologicamente ha concepito, ha portato in grembo la nuova
creatura, e divenuta madre legale: ciascuno può prendere il posto dell'altra. Come è
possibile pensare tutto questo? Solo se si pensa che concepire, portare in grembo sia una
funzione puramente biologica, senza che necessariamente vi sia profondamente coinvolta la
persona della donna, nella sua irripetibile unicità. La logica della «produzione della
persona» è una distruzione della dignità della persona, perchè implica la negazione
che ogni e singola persona sia di una irripetibile preziosità. La conferma di ciò che
sto dicendo è data da un fatto di cui a volte hanno parlato i giornali. Donne che hanno
accettato di portare in grembo una creatura, per conto di un'altra donna, al momento della
nascita non hanno più voluto darla. Ecco, vedete? L'intima verità della persona della
donna si ribella. Ma qualcuno potrebbe dire: «ma avere un bambino è un diritto degli
sposi» oppure «ma avere un bambino è per me necessario, per la mia felicità».
Dobbiamo fare al riguardo due osservazioni. La prima. Non si ha mai diritto ad una
persona; si può avere diritto ad una cosa. Essere qualcuno è infinitamente più che
essere qualcosa: i miei diritti sono sempre diritti a qualcosa, non a qualcuno. Il figlio
è affidato ai genitori come qualcuno, non come qualcosa. La seconda. Non si può
impostare il rapporto alla maternità e paternità nei termini di ciò di cui ho bisogno
per la propria felicità o realizzazione. Nessuna persona è al servizio della felicità
di un'altra; ciascuna persona ha una dignità infinita in se stessa e per se stessa. La
persona non può mai essere considerata un mezzo per raggiungere uno scopo: mai,
soprattutto, un mezzo per la propria realizzazione. Essa è e dev'essere solo il fine di
ogni atto. Soltanto allora l'azione corrisponde alla verità della persona. Come vedete,
anche in questo insegnamento della Chiesa si manifesta semplicemente la grandezza e la
bellezza dell'amore coniugale, del dono della vita. In una parola: della persona umana.
Non posso però terminare questa riflessione senza rivolgermi in modo particolare agli
sposi che vivono la sofferenza della sterilità. Il dono reciproco degli sposi non ha come
fine solo il concepimento di una persona, ma è in se stesso mutua comunione di vita e di
amore. L'amore non ha bisogno sofferenza di una donna partoriente: «La donna, quando
partorisce, è afflitta (cioè, soffre), perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato
alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al
mondo un uomo» (Gv 16,21). L'«ora» della morte di Cristo (cfr. Cv 13,1) è qui
paragonata all'«ora» della donna in travaglio; la nascita di un nuovo uomo trova il suo
pieno riscontro nella vittoria della vita sulla morte operata dalla risurrezione del
Signore. Questo raffronto si presta a diverse riflessioni. Come la risurrezione di Cristo
è la manifestazione della Vita oltre la soglia della morte, così anche la nascita di un
bambino è
manifestazione della vita, sempre destinata, per mezzo di Cristo, alla «pienezza della
vita» che è in Dio stesso»: «Io sono venuto perché abbiamo la vita e l'abbiano in
abbondanza» (Cv 10,10). Ecco svelato nel suo valore più profondo il vero significato
dell'espressione di Sant'Ireneo: «Gloria Dei vivens homo». Come è stato annunciato
all'uomo che la salvezza era accaduta?.., troverete un «bambino». E' il grande evento
che ci riempie di stupore: Dio non ha chiuso le ue viscere di misericordia, perchè
continua la celebrazione del suo amore creatore.
|
|