Il fusillo felittese


Siamo alla metà circa del Seicento, e tal Felippo Sgruttendio de Scafato (o de Scasato) canta con enfasi la gioia per aver avuto in dono dall'amata Cecca un piatto di saporitissimi maccheroni. L'enfasi è pienamente giustificata: i maccheroni, in quell'epoca, stavano soppiantando nell'alimentazione dei "napoletani" i piatti a base di verdure (cfr. Emilio Sereni, I napoletani da "mangiafoglia" a "mangiamaccheroni", Einaudi 1958-1981; ristampato da Argo nel 1998).

Il fusillo è capace di destare nei felittesi sentimenti simili a quelli che il nostro autore, celatosi dietro lo scurrile pseudonimo, ci ha esposto. Il fusillo è il primo piatto della festa, quello che ogni felittese di ritorno in paese mangia sempre volentieri. E la cosa che più fa piacere è che questo fenomeno sembra accentuarsi col passare degli anni. In effetti, grazie al forte impulso promozionale che ha rappresentato ormai da più di vent'anni la Sagra del Fusillo Felittese, questo prodotto si è fatto un nome ed una dignità tale da mettere in moto una microeconomia che, benché difficilmente quantificabile, assume un sicuro rilievo nel bilancio di molte famiglie. I fusilli di Felitto si  trovano in molti ristoranti, spesso nei pranzi nuziali anche in altri paesi, si regalano certi di non fare una cattiva figura. E da tante parti sono sorte altre sagre spesso fatte con fusilli felittesi.

La loro particolarità, il loro segreto, sta nella diversità che ogni mano gli trasferisce; nella loro irregolarità che contrasta e ci ricorda i prodotti massificati dell'era moderna; nella fatica che richiede la loro preparazione: una giornata di lavoro di una donna produce appena pochi chili di pasta (circa tre).

Il fusillo felittese non è il tipico fusillo cilentano, molto più spesso e piùcorto. Con esso ha in comune il nome, ma sono due prodotti completamente diversi, per cui ritengo sciocca la disputa sul vero fusillo. Entrambi sono veri, e degni di essere gustati.