La
croce,
la
spada,
l'avventura.
Introduzione
alla
Crociata.
Franco
Cardini
Con
esercizi
per
l'analisi
e
l'approfondimento
del
testo
a
cura
di
Fabrizio
Foschi
La
crociata
è
una
e
al
tempo
stesso
molteplice;
conosce
una
legislazione
coerente
e
rigorosa,
ma
si
articola
in
una
pluralità
di
casi
diversi
fra
loro
e
muta
volta
per
volta
sia
nei
differenti
obiettivi,
sia
nel
tempo
e
nel
contesto
in
cui
viene
bandita.
È
una
realtà
proteiforme,
una
sorta
di
balena
bianca
all'interno
della
Cristianità:
uno
strumento
giuridico-politico
e
un'idea-forza,
una
fonte
inesauribile,
di
polemiche
e
di
malintesi
capace
di
riproporsi
in
situazioni
diverse
e
soggetta
a
impensati
revivals.
Di
questo
evento
il
volume
esamina
le
cause,
gli
sviluppi
e
la
lunga
memoria
consegnando
al
nostro
tempo
spesso
così
uniforme
la
suggestione
di
un
periodo
di
drammatici
scontri
che
furono
anche
grandi
incontri.
Da
poco
trascorso
ormai
il
"fatidico"
Capodanno
del
2000,
entrati
quindi
-
o
secondo
altri,
alla
vigilia
di
entrare
-
nel
III
millennio
e
nel
XXI
secolo,
molti
fanno
collezione
di
"segni
dei
tempi".
Fra
gli
altri,
potremmo
porre
anche
questo:
il
novecentesimo
anniversario
d'un
evento
epocale
come
la
presa
di
Gerusalemme,
nel
1099,
da
parte
dei
crociati.
Parlar
delle
crociate
a
livello
massmediale
è
quasi
impossibile.
Prima
di
farlo,
è
difatti
ormai
diventato
necessario
attraversare
un
lunghissimo
tunnel
di
accuse,
di
recriminazioni,
di
sospetti.
La
moda
dello
"scusismo"
-
cui
qualcuno
ha
pretestuosamente
voluto
avvicinare
il
solenne
atto
di
riconciliazione
compiuto
dal
papa
e
dalla
Chiesa
attraverso
vari
atti
e
documenti
nella
primavera
del
2000
-
ha
radici
profonde
e
trova
appunto
nelle
crociate
un
suo
privilegiato
campo
di
manovra.
Chi
si
deve
scusare
delle
crociate?
La
Chiesa
cattolica?
La
società
cristiana,
che
tale
non
è
più
almeno
da
due
secoli?
L'Europa?
L'Occidente?
E
chi
dev'esser
l'oggetto
delle
scuse?
Il
mondo
islamico?
Gli
ebrei?
Gli
eredi
degli
eretici
medievali,
ammesso
che
ve
ne
siano
(dal
momento
che
è
discutibile
che
le
Chiese
cristiane
riformate
possano
esser
considerate
tali)?
E
-
dal
momento
che
le
scuse
per
essere
efficaci
debbono
essere
non
solo
sincere,
ma
anche
reciproche
-
saranno
seguite
da
controscuse?
I
musulmani
si
scuseranno
per
il
jihad
nel
Mediterraneo
tra
VIII
e
XVII
secolo?
I
presbiteriani
chiederanno
scusa
a
Santa
Romana
Chiesa
per
i
cattolici
massacrati
da
Oliver
Cromwell?
I
laici
si
addosseranno
le
responsabilità
per
gli
orrori
perpetrati
dai
loro
fratelli
maggiori
tra
Rivoluzione
francese,
guerre
colonialistiche,
regimi
totalitari
del
Novecento,
o
preferiranno
scaricare
unilateralmente
la
pesante
eredità?
I
trionfalistici
fautori
della
globalizzazione
faranno
un
po'
di
mea
culpa
per
l'aggravarsi
delle
condizioni
economiche
di
oltre
l'80%
della
popolazione
mondiale,
che
il
processo
di
concentrazione
della
gestione
di
risorse
e
ricchezze
sta
determinando?
E
non
parliamo
d'Israele,
dove
una
coraggiosa
pattuglia
di
"nuovi
storici"
ha
intrapreso
uno
spregiudicato
lavoro
di
ricostruzione
delle
violenze
commesse
a
danno
dei
palestinesi
all'indomani
della
guerra
del
'48,
documentato
dal
libro
Il
peccato
originale
di
Israele
di
Dominique
Vidal
con
la
collaborazione
di
Joseph
Algazy
(Firenze,
Edizioni
Cultura
della
Pace,
1998).
Per
fortuna,
comunque,
l'intollerabile
e
noioso
tormentone
delle
polemiche
si
arresta
ai
pur
prepotenti
e
petulanti
piani
bassi
dei
mass
media.
A
un
livello
più
propriamente
storico,
ci
si
trova
subito
in
un'atmosfera
più
respirabile.
A
metà
luglio
del
2000,
a
Gerusalemme,
si
sono
dati
appuntamento
tutti
i
migliori
specialisti
del
mondo
di
storia
delle
crociate:
un
grande
convegno
internazionale,
promosso
dall'Università
Ebraica
e
dalla
Society
for
the
Study
of
the
Crusades
and
the
Latin
East
(il
sodalizio
internazionale
che
riunisce
gli
addetti
ai
lavori)
ha
fatto
il
punto
della
situazione
relativa
agli
studi
sulle
crociate
sotto
il
profilo
scientifico,
esattamente
a
nove
secoli
dal
15
luglio
del
1099,
quando
i
crociati
entrarono
nella
Città
Santa.
Ma
che
cosa
sono
sotto
il
profilo
storiografico,
ormai,
le
crociate,
tramontati
gli
schemi
interpretativi
illuministi,
idealisti
o
marxisti
che
le
volevano
ora
l'espressione
d'un
cristianesimo
barbarico
e
fanatico,
ora
il
frutto
dell'espansione
occidentale
della
quale
la
fede
cristiana
sarebbe
stata
l'alibi
o
la
sovrastruttura?
Qualche
anno
fa
uno
studioso
franco-svizzero,
Paul
Rousset,
aveva
proposto
in
un
suo
libro,
La
croisade.
Histoire
d'une
idéologie,
una
visione
"di
lungo
periodo"
della
crociata.
Se
nel
corso
del
Novecento
non
era
mancato
chi
le
aveva
interpretate
in
senso
geopolitico,
come
la
fase
medievale
dell'eterno
e
insopprimibile
scontro
fra
Oriente
e
Occidente,
fra
Asia
ed
Europa
(una
storia
di
lunghissimo
periodo,
che
aveva
preso
l'avvìo
dalle
guerre
persiane
del
V
secolo
a.C.
e
l'ultima
tappa
della
quale
era
stata
la
tensione
tra
mondo
liberaldemocratico
e
mondo
sovietico),
o
chi
le
aveva
collegate
alla
sacralizzazione
della
guerra
emersa
nel
corso
dell'alto
medioevo
in
area
tanto
bizantina
quanto
romano-germanica,
il
Rousset
prolungava
l'indagine
fino
ai
nostri
giorni
studiando
anche
aspetti
e
motivi
dell'uso
della
parola
"crociata"
nella
propaganda
politica
e
nell'uso
della
storia
degli
ultimi
decenni.
Ma
ormai,
dopo
la
pubblicazione
postuma
della
fondamentale
thèse
di
Alphonse
Dupront,
Le
mythe
de
croisade
(voll.4,
Paris
1997)
dovremo
abituarci
a
servirci
ormai
con
parsimonia
della
parola
"crociata":
e
si
dovrà
forse
evitare
il
più
possibile
di
pensarle
come
un
fenomeno
esclusivamente
medievale,
anzi
confinate
ai
secoli
XI-XIII,
e
accompagnarle
con
il
consueto
progressivo
aggettivo
numerale.
Il
Dupront
ha
dimostrato
come
il
diritto
canonico
inerente
alla
crociata
sia
sistemazione
tardiva,
risalente
alla
metà
del
Duecento,
quindi
ben
posteriore
all'avvìo
del
movimento
che
data
dall'XI
secolo
e
che
ebbe
precedenti
immediati
nella
penisola
iberica
e
nel
Mediterraneo.
E
ha
chiarito
come
la
parola
"crociata"
ha
un
iter
storiografico
recentissimo,
che
non
data
sostanzialmente
da
prima
del
Settecento.
Peraltro,
il
campo
d'applicazione
di
quello
che
nel
medioevo
si
definiva
iter,
peregrinatio,
Via
Hierosolymitana,
passagium
e
via
discorrendo
era
molto
più
ampio.
Esso
comprendeva
le
spedizioni
dirette
alla
riconquista
della
Terrasanta
o
comunque
quelle
contro
i
musulmani
e
i
pagani
(comprensive
quindi
delle
crociate
in
Spagna
e
di
quelle
nel
nordest
europeo
contro
slavi
e
balti)
e
quelle
indirizzate
invece
contro
gli
eretici
-
caso
tipico
e
paradigmatico
la
cosiddetta
"crociata
degli
albigesi";
più
tardi,
nel
primo
Quattrocento,
quella
contro
gli
hussiti
-
o
contro
i
nemici
politici
del
papato
-
come
gli
Svevi
o
gli
Aragonesi
nel
Duecento,
i
ghibellini
italici
nel
secolo
successivo
-
,
o
addirittura
contro
forze
considerate
asociali
e
pericolose
per
la
Cristianità
tutta
(così
gli
Stedinger,
i
contadini
ribelli
all'arcivescovo
di
Brema
contro
i
quali
papa
Gregorio
IX
emanò
nel
1233
la
bolla
Vox
in
Rama;
o,
nel
Trecento,
le
Compagnie
di
Ventura).
Le
spedizioni
crociate,
che
nel
XII
secolo
erano
state
patrimonio
dell'iniziativa
dei
sovrani
europei,
da
quando
i
papi
a
cominciare
da
Innocenzo
III
se
ne
arrogarono
con
sistematica
energia
la
guida
rivendicando
a
se
stessi
l'esclusiva
del
diritto
di
bandirle
-
anche
perché
ai
crociati
andava
appunto
attribuita
l'indulgenza
plenaria
-
divennero
una
straordinaria
macchina
di
pressione
e
di
gestione
giuridica,
militare
e
finanziaria
della
Cristianità,
soprattutto
a
causa
di
un
formidabile
strumento:
la
"dottrina
del
voto"
messa
a
punto
dai
canonisti,
che
da
un
lato
consentiva
di
comminar
la
scomunica
-
con
risultati
ch'erano
in
pratica
la
perdita
dei
diritti
civili
-
a
chi
una
volta
proferita
solenne
promessa
di
partir
in
crociata
ne
ritardasse
o
evitasse
l'adempimento,
dall'altro
permetteva
di
commutarne
l'obiettivo
disponendo
che
il
voto
di
partecipare
a
una
certa
impresa
potesse
venir
cambiato
nel
versamento
d'una
certa
somma
di
danaro
o
nella
partecipazione
a
una
spedizione
canonicamente
dichiarata
di
pari
valore.
Gli
abusi
e
le
distorsioni
cui
questa
pratica
giuridica
dette
adito,
collegati
anche
con
la
petulanza
e
l'arroganza
della
predicazione
crociata
affidata
soprattutto,
a
partire
dal
Duecento,
agli
Ordini
mendicanti,
suscitarono
voci
di
stanchezza,
d'opposizione,
addirittura
di
scandalizzata
denunzia.
Va
tuttavia
notato
che
tali
voci,
salvo
eccezioni
abbastanza
rare,
non
denunziavano
la
crociata
in
quanto
guerra
contro
gli
infedeli:
al
contrario,
inveivano
semmai
contro
la
pratica
di
metter
troppo
spesso
in
secondo
piano
l'originario
autentico
scopo
della
crociata,
la
difesa
o
il
recupero
del
Santo
Sepolcro,
sostituendovi
fini
d'altro
genere
politicamente
o
economicamente
più
convenienti
alla
Curia
pontificia.
Ad
ogni
modo,
le
crociate
-
per
quanto
nel
corso
delle
singole
spedizioni
potessero
verificarsi
episodi
di
massacri
o
di
conversioni
obbligate,
estorte
sotto
la
minaccia
della
morte
-
non
furono
mai
interpretate
alla
stregua
di
guerre
di
missione
e
tanto
meno
di
guerre
di
religione.
Nessun
teologo
e
nessun
canonista
sostenne
mai
formalmente
né
che
il
fine
ultimo
della
crociata
fosse
la
conversione
degli
infedeli,
né
che
fosse
legittimo
sopprimere
l'infedele
in
quanto
tale.
La
crociata
è
insomma
una
e
al
tempo
stesso
molteplice;
conosce
una
legislazione
coerente
e
rigorosa,
ma
si
articola
in
una
pluralità
di
casi
fenomenologicamente
parlando
diversi
fra
loro
e
muta
sia
nei
differenti
obiettivi
volta
per
volta
propostile,
sia
nel
tempo
e
nel
contesto
in
cui
viene
bandita.
È
una
realtà
proteiforme,
una
sorta
di
balena
bianca
all'interno
della
Cristianità:
uno
strumento
giuridico-politico
e
un'idea-forza,
una
fonte
inesauribile
di
metafore,
un
mito,
un
oggetto
infinito
di
apologie,
di
condanne,
di
polemiche
e
di
malintesi
capace
di
riproporsi
in
situazioni
diverse
e
soggetta
a
impensati
revivals.
Di
solito
si
considerano
le
estensioni
della
crociata
rispetto
al
suo
originario
scopo,
la
liberazione
della
Terrasanta,
come
tardive
"deviazioni"
dovute
all'opportunismo
politico,
alla
speculazione
finanziaria,
ai
cavilli
canonistici.
In
realtà,
quanto
meno
in
nuce,
tutto
era
già
presente
negli
anni
convulsi
che
dalle
"leghe
di
pace"
avevano
visto
svilupparsi
in
Europa
il
concetto
di
miles
Christi
e
di
miles
sancti
Petri
come
nuovo
modo
d'intendere
lo
scopo
del
servizio
guerriero
dei
cavalieri,
mentre
dalla
Spagna
al
Mediterraneo
si
andava
affermando
-
con
la
riforma
della
Chiesa
-
un
nuovo
sistema
di
valori
alla
luce
del
quale
la
sottomissione
dei
fedeli
alla
Chiesa
di
Roma
e
la
dilatatio
tentorii
Sponsae
Christi
-
l'esaltazione
e
la
dilatazione
della
Cristianità
di
fronte
ai
"pagani"
della
quale
parlavano
anche
le
chansons
de
geste
-
erano
una
cosa
sola.
Il
Giubileo
bandito
da
Bonifacio
VIII
per
l'anno
1300,
anche
se
provvisto
d'una
sua
complessa
tematica,
sembra
sottintendere
una
sostituzione
sia
pur
parziale
del
pellegrinaggio
gerosolimitano,
con
le
relative
indulgenze
-
una
pratica
che
pur
rimase
solida
-,
con
il
pellegrinaggio
romano,
del
Sepolcro
del
Salvatore
con
la
Tomba
dell'Apostolo:
eppure,
proprio
in
quel
fatidico
1300,
mentre
il
pellegrinaggio
a
Roma
era
al
culmine,
si
diffuse
la
falsa
notizia
che
i
mongoli,
muovendo
dalla
Persia,
avessero
conquistato
Gerusalemme
e
si
apprestassero
a
restituirla
alla
Cristianità.
Per
alcune
settimane,
forse
per
qualche
mese,
in
Europa
si
prestò
fede
a
questo
miraggio.
Ma
la
soppressione
dell'Ordine
templare,
nel
corso
delle
note
eppur
tutto
sommato
ancor
oscure
vicende
che
la
caratterizzarono
fra
1307
e
1312,
ha
un
significato
epocale
che
va
oltre
le
contingenze.
Dopo
la
caduta
di
Acri,
l'Ordine
era
sopravvissuto
a
se
stesso:
a
differenza
di
quello
di
San
Giovanni
che
si
era
insediato
a
Rodi
e
andava
scoprendo
una
sua
funzionalità
alla
nuova
situazione,
esso
non
aveva
saputo
adattarsi.
Al
di
là
delle
ragioni
che
spinsero
il
re
di
Francia
ad
avviare
la
soppressione
e
la
Curia
pontificia
ad
assecondarlo,
l'Ordine
appariva
come
un
sopravvissuto
ai
suoi
tempi:
salvo
beninteso
nella
penisola
iberica,
dove
i
Templari
avevano
mantenuto
una
loro
importanza
in
Aragona
e
in
Portogallo
e
dove
difatti
la
"soppressione"
fu
piuttosto
una
fictio
iuris.
L'irrompere
dei
turchi
ottomani
nel
quadrante
anatolico-balcanico
del
Mediterraneo
mutò
molte
cose:
e
da
allora
in
poi
la
crociata
s'identificò
con
la
difesa
dell'antemurale
europeo.
D'altra
parte,
per
profondamente
religiosi
che
fossero
i
combattenti
tanto
cristiani
quanto
musulmani
(quella
della
crociata
come
guerra
economica
"coperta"
da
un
alibi
religioso
è
una
tesi
storica
insostenibile)
la
crociata
non
fu
mai
una
guerra
di
religione:
mai
-
nonostante
gli
episodi
di
reciproca
ferocia,
che
peraltro
ci
furono
(come
in
tutte
le
guerre)
-
né
crociata
né
jihad
furono
guerre
di
religione,
e
tanto
meno
guerre
ideologiche.
La
crociata
è
una
"Balena
Bianca"
nella
storia
d'Europa:
può
essere
anche
intesa
come
uno
dei
suoi
fattori
di
aggregazione
e
di
definizione
d'identità,
se
non
proprio
d'unità.
Ma
va
tuttavia
sciolta
dal
suo
nesso
unilaterale
con
la
Terrasanta
e
con
i
secoli
XI-XIII
(che
pure
le
conferirono
il
suo
statuto
teologico-giuridico)
e
vista
nella
sua
complessa
dinamica
fino
all'intero
XX
secolo.
Non
è
difatti
da
dimenticare
come,
tra
Rivoluzione
francese
e
XX
secolo,
la
"crociata"
ha
subìto
molteplici
revivals,
almeno
sul
piano
dell'uso
della
parola
che
la
qualifica,
e
ha
riconquistato
attualità
attraverso
un
intensivo
uso
metaforico
e
pubblicistico.
Tutto
ciò
ha
confuso
le
acque
e
creato
molti
equivoci:
ma
non
sarebbe
potuto
accadere
se
non
si
fosse,
in
realtà,
di
fronte
a
una
delle
autentiche
idee-forza
dell'Occidente
europeo.
Il
che
non
può
far
dimenticare
che
la
crociata
"classica",
quella
dei
secoli
XI-XIII,
non
fu
affatto
un
fattore
di
divisione
tra
Cristianità
e
Islam.
Essa
fu
soltanto
il
volto
militare,
per
così
dire
epifenomenico,
d'una
forte
e
viva
amicizia,
che
portò
a
una
serrata
epoca
di
scambi
culturali
e
commerciali.
Il
ritorno
della
cultura
classica
in
Occidente
e
della
prosperità
occidentale,
grazie
ai
commerci
con
l'Oriente,
furono
gli
effetti
autentici
di
questo
forte
rapporto
d'amicizia.
Da
questo
punto
di
vista
Francesco
d'Assisi
e
Federico
II,
con
la
loro
simpatìa
per
l'Islam,
non
furono
affatto
delle
eccezioni:
furono
semmai
delle
personalità
emblematiche.
Questo
"rovesciamento
di
prospettive"
non
è
affatto
un'ennesima
esercitazione
"revisionistica":
nasce
dall'esame
attento
e
spassionato
della
realtà
delle
cose.
D'altronde,
la
problematica
e
se
si
vuole
la
polemica
sulle
crociate,
sono
cose
in
gran
parte
moderne.
Non
c'è
dubbio
che
voci
di
scontento
e
di
contestazione
si
potrebbero
trovare
fin
dal
pieno
medioevo.
Furono
tuttavia
la
scomparsa
del
pericolo
turco
nel
corso
del
Settecento
da
una
parte,
la
stanchezza
per
le
"guerre
di
religione"
dall'altra,
a
far
sorgere
in
Europa
un'ondata
di
scritti
anticrociati
dei
quali
furono
espressione
più
evidente
la
pubblicistica
illuministica
e
soprattutto
il
Voltaire,
il
quale
detestava
la
lezione
retorica
dei
gesuiti
francesi,
storici
di
corte
del
Re
Sole,
i
quali
avevano
costruito
artificiosamente
il
monumento
barocco
alle
glorie
cristiane
del
re
di
Francia
e
del
popolo
francese
per
dissimulare
il
fatto
che
il
cristianissimo
sovrano
di
Versailles
fosse
un
alleato
costante
dei
turchi
contro
tedeschi
e
spagnoli.
Ma
alle
crociate
"barbariche"
e
"fanatiche"
dell'Illuminismo
-
che,
più
che
alle
crociate
storiche,
somigliavano
alle
"guerre
di
religione"
combattute
nella
Francia
del
Cinquecento
o
nell'Inghilterra
del
seicento
-
risposero
le
crociate
tutte
ingenua
e
gioiosa
fede
cavalleresca
del
Romanticismo,
che
nel
contraccolpo
della
Rivoluzione
aveva
riscoperto
la
Cristianità.
Da
allora,
si
può
dire
che
l'opinione
pubblica
occidentale
sia
divisa
in
due:
e
che
l'uso
pubblicistico
steso
della
parola
"crociata"
qualifichi
le
due
Europe.
Ma
lo
studio
del
movimento
crociato
e
della
genesi
della
crociata
è
altra
cosa
che
ormai
riguarda
le
ricerche
interdisciplinari,
il
rapporto
con
le
scienze
umane,
e
che
si
misura
semmai
sulla
dimensione
della
"scoperta
dell'Altro",
che
il
rinnovato
contatto
con
l'Islam
nello
scorcio
del
II
millennio
invita
a
riproporre
su
basi
nuove,
ma
non
dimentiche
della
lezione
della
storia.