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IL CONTROLLO STRATEGICO DI GESTIONE COME EVOLUZIONE DEL CONTROLLO DIREZIONALE. 

“…………… la moderna concezione d’azienda richiede delle conoscenze negli specifici campi applicativi dei sistemi cibernetici ma anche una nuova mentalità di chi li utilizza. E’ necessario concepire la fantasia, la creatività e le idee, come singole parti dell'azienda in quanto elementi costitutivi di un’entità dinamica, nella quale si svolgono continui processi diretti a conseguire una redditività complessiva che ne consenta l’indefinita sopravvivenza”. 

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Sommario: a) Complessità b) Controllo 3) Scopi 4) Progettazione 5) Modifiche 6) Sintesi

 

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1.     La complessità e i nuovi fabbisogni di programmazione e controllo

 

Quest’ultimo periodo del XX secolo si sta caratterizzando come l’epoca dei trade-off difficili. Le imprese, oltre ad operare in un ambiente turbolento, eredità della fine degli anni Settanta, devono anche servire clienti che nel corso degli anni Ottanta si sono evoluti e oggi richiedono:

a)     prodotti a costi sempre più bassi;

b)    di qualità sempre più elevata;

c)     in tempi più brevi;

d)    con una varietà sempre più ampia per avviarsi verso un’offerta personalizzata.

Rispondere contemporaneamente e in modo equilibrato a queste richieste è complesso. Lo è, in primo luogo, poiché le variabili in gioco sono fra loro interrelate, in modo che manovrandone una si determinano modifiche più o meno profonde sulle altre. In secondo luogo, poiché in passato ci si era abituati a gestire tali variabili privilegiandone una a danno delle altre. Così, molte imprese avevano inizialmente privilegiato la riduzione dei costi, altre la qualità, altre ancora la varietà, qualcun’aveva iniziato a puntare sui tempi, ma mai ci si era trovati di fronte alla necessità di coniugare insieme esigenze in parte contrastanti.

Da ultimo, la complessità è legata al contesto ambientale nel quale queste esigenze si manifestano: l’ambiente economico-politico-sociale rimane incerto, caratterizzato da cambiamenti rapidi, imprevedibili e d’elevata intensità, specie nei gusti e nelle tendenze dei consumatori. Tutto ciò rappresenta la “sfida della complessità”.

Saperla cogliere per delineare e realizzare soluzioni gestionali adeguate rappresenta  una sicura fonte di vantaggio competitivo.

L’attenzione del management deve essere indirizzata sull’ambiente esterno e deve focalizzarsi su quattro variabili: costi, qualità, tempi e varietà di prodotto.

Sono queste le variabili sulle quali si gioca il confronto competitivo; variabili  attorno alle quali devono ruotare le attività di programmazione e controllo della gestione operativa. E, infatti, a livello di gestione operativa, che si deve essere capaci di interpolare le variabili strategicamente rilevanti.

Ma come fare?

I “tradizionali” meccanismi di controllo direzionale ( Budget, Reporting, Contabilità dei costi)  sono stati da sempre prevalentemente centrati sui costi, analizzando solo l’interno dell’impresa.

Qualità, tempi e varietà sono variabili raramente monitorate, da questi meccanismi, così come si è seguito poco e in modo non sistematico il posizionamento dell’impresa nell’ambiente esterno. Ma anche i sistemi di valutazione, quelli di ricompensa e, più in generale, i sistemi informativi hanno spesso trascurato queste variabili e l’ambiente esterno.

In passato queste dimensioni non erano rilevanti nel confronto competitivo, oggi però lo sono.

Così è necessario innovare non solo il sistema di controllo, ma  quello che la scuola statunitense qualifica come il sistema di direzione (management system): quell’insieme di meccanismi e di soluzioni organizzative che definiscono le modalità di funzionamento di un’impresa.

Tra i meccanismi caratterizzanti il nuovo sistema di direzione, in questo lavoro ci si occupa del sistema di controllo direzionale. Tale meccanismo nella sua impostazione “tradizionale” è stato messo in discussione in modo così profondo da aver indotto alcuni studiosi a coniare un nuovo termine per definirlo. E’ nato così il controllo strategico.

Un controllo di gestione, attento alle variabili competitive e soprattutto al posizionamento dell’impresa nell’ambiente esterno.

 

2.     Il controllo strategico per il monitoraggio del posizionamento 

dell’impresa nel tempo e nello spazio competitivo

 

Quando per la prima volta Peter Lorange (1977), economista statunitense, presentò l’idea di controllo strategico si fu indotti a pensare che si trattasse di un’attività di monitoraggio della strategia aziendale o, in visione più tecnocratica, di una verifica ex-post del piano strategico.

Purtroppo quest’idea non si è rilevata nel tempo molto utile. Vuoi perché la turbolenza ambientale ha indotto molte imprese ad abbandonare le rigide procedure della pianificazione strategica, vuoi perché il vero problema si è dimostrato essere, usando un’espressione proposta da Achille Del Castillo, tradurre “la strategia in azione” e non semplicemente rimettere in discussione in modo sistematico nel tempo la validità della strategia.

Pertanto si rivela molto più utile pensare a un meccanismo operativo che aiuti a catturare nell’attività di gestione operativa la dimensione strategica. Questo è possibile superando i limiti del controllo direzionale “tradizionale”, che con i suoi parametri-obiettivo monetari (ROE, ROI, saggio di crescita, sintetizzato o dalla variazione del capitale investito o da quella dei ricavi di vendita) ha determinato spesso comportamenti molto diversi da quelli desiderati. 

  Questo controllo direzionale diverso, evoluzione di quello “tradizionale”, deve prioritariamente dare profondità storica alle informazioni economiche e stimolare un continuo confronto con i concorrenti.

La presentazione nei rapporti di gestione (reporting) della serie storica relativa a informazioni come il ROI, il costo di prodotto, i flussi di cassa, i ricavi di vendita dei prodotti, è l’unica soluzione che consente di percepire la relazione esistente tra il ciclo di vita dei prodotti, l’effetto esperienza, il life-cycle costing (ciclo di vita dei costi) e la redditività/liquida di prodotto.

In proposito si evidenzia come per l’impresa:

Ø     la redditività di un business, contenuta o addirittura negativa nelle fasi iniziali del ciclo di vita, tenda a crescere rapidamente per poi ridiscendere su valori più contenuti in fase di maturità;

Ø     la liquidità segua un andamento simile a quello della redditività, ma temporalmente sfalsato; la liquidità diventa positiva solo dopo la fase di forte sviluppo del business e si attesta su livelli elevati in fase di maturità.

Resta che nel reporting mancano le serie storiche e non si riesce a percepire l’evoluzione di questi indicatori nel tempo e non si può poi pretendere che le persone abbiano un approccio al budget attento alla strategia e ai risultati delle scelte operate in termini di risultati nel medio/lungo termine. Non si può pensare che un imprenditore decida ponendosi orizzonti superiori all’anno, se poi riceve informazioni solo sulla sua prestazione annuale effettiva e quella desiderata a budget.

A quest’esigenza di dare profondità temporale all’informazione economica si associa l’esigenza di posizionare l’impresa nell’ambiente esterno. Quest’ultima osservata al di fuori dello spazio competitivo nel quale opera, è difficile da valutare.

I suoi risultati economici dicono solo se si sono o meno rispettati gli obiettivi di economicità della gestione. La loro entità non è apprezzabile se non per un confronto con il passato. Ma queste posizioni autarchiche, in un mondo che diventa sempre più globale, risultano sicuramente anacronistiche e tremendamente pericolose. Spingono verso comportamenti conservativi.

Il successo o l’insuccesso invece vanno sempre misurati in termini relativi, attraverso il confronto con i risultati dei concorrenti, sia quelli diretti che quelli potenziali.

Ciò che si suggerisce proponendo di svolgere un’attività di controllo strategico è di verificare in modo sistematico il posizionamento dell’impresa nel tempo e nello spazio competitivo. I risultati dell’impresa devono essere osservati su archi temporali significativi, confrontati con quelli dei concorrenti.

Si tratta di innovare il sistema tradizionale al fine di caratterizzarlo per una maggiore ampiezza del campo di osservazione unitamente a una profondità di campo ben superiore a quella del singolo anno.

Nel titolo di questo paragrafo ci sono tre termini chiave. Questi tre termini sono: posizionamento, tempo e spazio. Sono termini spesso utilizzati dalla scuola economico-aziendale italiana negli studi di politica aziendale e strategia, che di questa scuola rappresentano un filone ricco di contributi e oggetto di crescente interesse.

  Dell’importanza di questi tre termini per gli studi di strategia ci si rende conto riflettendo su questa definizione: “Così intesa, la strategia definisce l’identità, effettiva o ricercata, dell’impresa evidenziando che cosa essa fa o vuole fare; come lo fa o lo vuole fare; perché lo fa o lo vuole fare.”

Emerge , fra l’altro, da questa definizione la centralità, a livello strategico, dell’analisi dell’ambiente esterno e delle principali forze esogene che lo caratterizzano.

Ne consegue che: “la collocazione spazio temporale dell’impresa; lo studio di quella dal punto di vista quali-quantitativo; l’indagine dei mutamenti che ne sorgono in generale nel tempo” sono il cuore della strategia. E’ da esse che l’impresa deve e cerca di dare risposte efficaci con il cambiamento strategico-organizzativo.

Ciò che è stato sin qui richiamato in tema di strategia aziendale consente di enfatizzare quanto sia rischioso nel governare un’impresa guardare solo all’interno della stessa; ed è proprio questo invece quello che fa il tradizionale controllo direzionale.

Il posizionamento, dunque, viene qui posto al centro del controllo strategico. Posizionamento inteso come risultato delle decisioni/azioni su come competere nel territorio prescelto, come sintesi del peso che un’impresa ha nell’area competitiva.

Dal confronto con i concorrenti si ha poi la possibilità di valutare la portata del successo competitivo conseguito. Pertanto le informazioni sui concorrenti sono indispensabili. Per averle a disposizione si deve attivare una raccolta sia di dati pubblicati (articoli su riviste specializzate del settore, documentazione distribuita ai clienti, bilanci e altri documenti ufficiali, ecc.), sia di informazioni raccolte sul campo della rete di vendita, dai tecnici, dai fornitori, dalle banche o da società specializzate nelle analisi di settore.

Queste informazioni non servono solo per le analisi dei punti di forza e dei punti di debolezza dei concorrenti. Certo quest’analisi rimane un momento centrale nel processo di formulazione della strategia e in particolare della strategia competitiva. Ma le informazioni sui concorrenti devono entrare nella gestione corrente, devono anche essere inserite nei rapporti elaborati in modo continuativo per il controllo di gestione. Pertanto il data base (archivi) sui concorrenti va creato e deve essere poi costantemente aggiornato.

Ma accanto al posizionamento nello spazio è, in secondo luogo, da verificare in modo continuativo il posizionamento dell’impresa nel tempo. Ed è questo il terzo termine, contenuto nel titolo del presente paragrafo, che dà spessore operativo al processo di evoluzione del controllo direzionale verso il controllo strategico.

Questo taglio nella lettura dei risultati di impresa rappresenta una rilevante opportunità per tentare di osservare in modo diffuso e ricorrente l’aspetto dinamico della gestione. Si cerca di avviare una lettura che superi gli angusti e contabili ambiti dell’esercizio. Troppi risultano nella prassi i budget che coprono l’orizzonte temporale dell’anno solare, solo perché questo è l’orizzonte del bilancio d’esercizio; o peggio ancora, è dato di osservare, nella prassi soprattutto di alcune multinazionali americane, l’elaborazione di budget e rapporti di gestione che enfatizzano i risultati trimestrali poiché è su questi che si basa l’apprezzamento delle prestazioni dell’impresa e del vertice aziendale.

Si tratta dunque di decidere l’orizzonte temporale da dare al “dove, perché e come” svolgere un’attività imprenditoriale, alla parte visibile della strategia aziendale.

Nel farlo è opportuno ricordare che:

a) questi tre aspetti sono condizionati da idee, valori e atteggiamenti che caratterizzano l’orientamento strategico di fondo e che, come si può notare in figura 2, concorrono a definire:    

Ø     le coordinate spazio-temporali e quali-quantitative della missione aziendale,

Ø     i fini, il ruolo e i modelli di comportamento aziendali lungo le “dimensioni” del finalismo dell’impresa, rappresentate dalle finalità reddituali, competitive e sociali,

Ø     i concetti di base ispiranti l’impostazione gestionale e organizzativa complessiva;

 

b) ci si deve assicurare che tutti gli strumenti caratterizzanti il sistema di direzione (dal sistema di controllo a quello di incentivazione) siano reale e corretta espressione dell’orientamento strategico di fondo e quindi con esso coerenti.

Pertanto, se l’orientamento con cui l’impresa si vuole muovere nel campo di attività prescelto è il lungo termine, in controllo direzionale è opportuno che diventi strategico.

Il controllo che si deve attuare non si contenta di verificare i risultati effettivi con quelli del budget, al massimo prevedendo, durante l’anno, oltre al dato mensile anche il cumulativo. Il confronto avviene anche con i risultati degli anni precedenti, senza appesantire il reporting, ma dandogli profondità temporale. Ma questo rinnovato controllo direzionale non deve solo storicizzare le prestazioni, deve anche confrontarle con quelle dei concorrenti, relativizzandole.

Deve diventare un controllo del modo di essere di un’impresa, del grado di sintonia fra la sua evoluzione e l’evoluzione dell’ambiente esterno. D’altra parte anche la letteratura in Italia è ricca di esempi e di moniti sui danni creati da separazioni troppo nette tra “strategico” e “operativo”, con sistemi di controllo che diventano ostacoli al cambiamento.

Da quanto sin qui proposto ne consegue la seguente definizione:

Il controllo strategico è il processo attraverso il quale si tenta di indurre comportamenti in grado di facilitare o, quanto meno, di non ostacolare il cambiamento strategico. Questo, attraverso soluzioni strutturali e di processo che, a livello di sistema di controllo, consentono di catturare il posizionamento nel tempo e nello spazio dell’impresa.

Diventa a questo punto legittimo porsi delle domande: quali sono gli scopi del controllo strategico?

Come è possibile realizzare operativamente questo controllo direzionale evoluto? Quali caratteristiche deve avere il sistema chiamato a  facilitare lo svolgersi di questo processo?

 

3. Gli scopi del controllo strategico

 

Come sempre fare chiarezza sugli scopi e gli obiettivi di un cambiamento è fondamentale per assicurare una qualche probabilità di successo al cambiamento stesso. Così, anche per proporre il nuovo controllo direzionale, non basta modificarne il nome e definirlo controllo strategico, anche perché i cambiamenti necessari rispetto al passato non sono pochi né di lieve momento. Basti pensare a una delle conseguenze organizzative della proposta di abbandonare il controllo centrato solo sui risultati economici (financial accountability control): potrebbe essere opportuno che il controller non dipenda più funzionalmente dalla direzione amministrativa.

Il primo obiettivo del rinnovato controllo di gestione deve essere quello di legare il momento di riflessione strategica con le scelte di gestione operativa. E’ questo un legame che spesso manca. Ad esempio poche imprese nell’elaborare il loro budget seguono un processo che muove  da questioni come: qual è stata sino a oggi la strategia aziendale? E’ ancora valida?

Per rispondere a queste domande non è necessario elaborare il piano strategico. Ma in relazione alla risposta data si elaborano budget molto diversi tra loro. Si può elaborare un budget che è un’evoluzione lineare di quello degli anni precedenti o un budget di “rottura”, di cambiamento rispetto al passato. Una cosa è certa: un budget con queste caratteristiche non è una previsione, ma un programma che pone le premesse per tradurre la strategia in azione.

Gli accorgimenti che si devono adottare sia a livello di rinnovamento della strumentazione tecnico-contabile sia a livello di svolgimento del processo non possono prescindere dal macro-obiettivo indicato. Diversamente si continua a praticare il tradizionale controllo direzionale che qualcuno suggerisce essere fonte di miopia manageriale.

Pertanto, scopi del controllo strategico sembrano essere:

v    non creare “miopia manageriale” e forte avversione al rischio;

v    aiutare a creare, mantenere e sviluppare vantaggio competitivo;

v    determinare un costante orientamento al futuro;

v    rendere disponibili al cambiamento;

v    sviluppare e diffondere le capacità di ascolto e di osservazione;

v    aiutare processi di apprendimento;

v    generare commitment.

Sono tutti scopi questi dal forte portato strategico. Normalmente le ricerche sulle imprese di successo o le riflessioni su specifici casi aziendali spingono a suggerire che, laddove sono presenti uno o più di questi ingredienti, il futuro è nel segno della continuità, della capacità dell’impresa di perdurare nel tempo. Sembra essere in grado di creare e sviluppare vantaggio competitivo in presenza di una complessità, spesso endogena oltre che esogena, quell’impresa che è disponibile al cambiamento, è caratterizzata dalla capacità di guardare ai problemi con un orientamento di medio/lungo termine, di ponderare in modo adeguato il rischio, di diffondere capacità di ascolto e di osservazione e quindi di apprendere. In questi contesti generare commitment, come spiega la più recente letteratura, non è un problema. Se esiste una direzione per obiettivi e questi obiettivi sono sia strategici che operativi, se il potere è in parte decentrato e si è creato uno spirito di “squadra”, se vi è diffusione di informazioni sui risultati dell’impresa ed esiste trasparenza, è facile generare nelle persone senso di appartenenza, fiducia sulla qualità della leadership e far percepire il lavoro come stimolante. In un simile clima organizzativo chiedere alle persone di dare il meglio di sé, di impegnarsi comunque a perseguire l’obiettivo anche se questo appare molto difficile da raggiungere, non genera tensioni negative e le risposte sono normalmente costruttive.

D’altra parte in un ambiente dalle dinamiche difficilmente prevedibili, certi obiettivi possono divenire o impossibili da raggiungere o troppo facili da conseguire. Una soluzione può essere quella di modificare gli obiettivi. Ma un’altra soluzione è quella di tenere fermi gli obiettivi e valutare l’impegno che le persone mettono nello svolgere le loro attività. Questo significa non fermarsi allo scostamento obiettivo-risultato effettivo, che è il risultato tangibile di una prestazione, ma controllare e valutare anche il commitment. E’ questo l’aspetto qualitativo, o comunque difficilmente quantificabile, di una prestazione. Ma in un mondo che sta riscoprendo l’importanza dell’intangibile, non si capisce perché il controllo di gestione debba far finta che l’intangibile non esista, che tutta sia perfettamente quantificabile. Nella realtà si vedono troppi dirigenti premiati per obiettivi raggiunti gestendo il loro centro di responsabilità senza essersi impegnati e troppi non premiati per aver fatto registrare uno scostamento obiettivo-risultato effettivo negativo, nonostante l’impegno.

 

4.  La progettazione del sistema di controllo strategico: lo schema di riferimento

 

Per rispondere agli altri interrogativi che ci si è posti e relativi a un’efficace progettazione del sistema di controllo strategico è opportuno sottolineare che con il termine sistema qui si intende quell’insieme di norme, regole, procedure e strumenti a supporto dell’attività di controllo. In particolare tale sistema, come quello “tradizionale”, si caratterizza, per:

v    una struttura tecnico-contabile, che è data dall’insieme degli strumenti prescelti fra quelli disponibili e caratterizzanti la contabilità direzionale (management accounting);

v    una gerarchizzazione  degli obiettivi economico-finanziari, definibile come la distribuzione di responsabilità economiche ai vari livelli della struttura  organizzativa;

v    le modalità di svolgimento del processo di programmazione e controllo della gestione con la definizione di “chi fa, che cosa e quando”; si tratta così di decidere, ad esempio, chi deve definire gli obiettivi e quando lo debba fare, con delicati problemi da risolvere come quelli relativi alla scelta della stile di controllo.

Ciò precisato, è possibile affermare che il sistema di controllo direzionale “evoluto” deve prevedere (figura 3) :

1.     una serie di strumenti focalizzati, in via prioritaria, sulle “aree gestionali critiche”, in grado di fornire indicazioni sistematiche sulle “variabili chiave”, espressione dei risultati  in tale aree;

2.     la disponibilità di informazioni in grado di evidenziare la dimensione diacronica e quella sincronica dei fenomeni;

3.     l’affiancamento o la sostituzione dei parametri economico-finanziari “classici”, come il ROI (return on investment) o il reddito operativo di centro di responsabilità (ad esempio, il divisional operating income), con il ricorso a logiche di feed-forward in luogo del solo feedback, con approcci di tipo euristico (approccio cosiddetto per processo), basati sull’apprendimento “dal fare” (by doing), in sostituzione del controllo algoritmico;

  4.  l’affiancamento al sistema di controllo formale di un controllo fondato e demandato alla cultura specifica di un’impresa, un controllo che tende a non trascurare i potenziali del controllo individuale e del controllo sociale.

 

5.     Le possibili modifiche delle caratteristiche di processo

 

Il primo intervento da attuare per un efficace passaggio dal controllo tradizionale al controllo strategico è la ricerca di un cambiamento  della cultura organizzativa.

Spesso è necessario muoversi in questa direzione, poiché potrebbe essere indispensabile passare da una cultura che:

v    privilegia il breve periodo,

v    trascura il patrimonio aziendale nei suoi aspetti tangibili e intangibili,

v    enfatizza in modo squilibrato alcuni obiettivi (ad esempio quelli economici) a danno di altri,

·        pone al centro delle attenzioni la gestione operativa a una filosofia gestionale che ponga l’enfasi su:

·        medio/ lungo termine,

·        creazione, mantenimento e sviluppo del patrimonio aziendale e in particolare di quello più critico nel lungo andare: quello intangibile,

·        ricerca di equilibrio tra le variabili relative alle tre macro-aree di risultato (risultati economici, sociali, competitivi).

Non ci si può quindi aspettare che nel giro di un anno, in un’impresa dove a stento in passato si è elaborato il budget, si entri nella logica del “budget strategico”. Elaborare un budget strategico, infatti, significa predisporre un piano:

1.     focalizzato sulle aree critiche, alle quali si presta particolare attenzione in fase di stesura del budget stesso;

2.     scorrevole e quindi con un orizzonte temporale aperto, che mantiene sempre l’attenzione estesa sull’arco temporale prescelto;

3.     con un orizzonte temporale solitamente diverso dall’anno e comunque da questo slegato, andando tale orizzonte a collegarsi alla durata del ciclo operativo della gestione e alle caratteristiche del mercato servito (es. stagionalità o altro).

 

 

 

6. Un tentativo di sintesi

 

In conclusione per realizzare un efficace controllo strategico è quindi necessario predisporre soluzioni che consentano di rispondere ai nuovi fabbisogni di controllo indotti dalla turbolenza ambientale e dalla complessità gestionale delle imprese. Tali soluzioni sono sia tecnico-strutturali che di processo. Per questo e per il grado di innovazione richiesta i cambiamenti sono molti e di non lieve momento.

Certo l’aver  optato  per l’alternativa  che vuole il controllo strategico come “evoluzione” del tradizionale controllo direzionale significa non aver avuto la necessità di disegnare un nuovo meccanismo operativo, ma di “rivisitare” quello già esistente. Tale rivisitazione è opportuno che tocchi soprattutto la filosofia di fondo: il controllo come occasione di riflessione e di apprendimento sulla dimensione strategica della gestione oltre che su quella operativa.

Nell’operare in questa direzione è fondamentale sottolineare la necessità di:

Ø     recuperare la serie storica, con riferimento ai fenomeni osservati  e in qualche modo misurati;

Ø     relativizzare i risultati dell’impresa in modo continuativo, attraverso frequenti analisi della concorrenza.

Quindi, controllo strategico, prima di tutto, come momento di recupero della storia e di comprensione della dinamica temporale degli accadimenti dell’azienda. Le informazioni fornite devono creare un’occasione di riflessione per capire il presente e per stimolare, alla luce della “storia”, ragionevoli previsioni sul futuro prossimo venturo.

Inoltre il controllo strategico deve essere anche relativizzazione. L’impresa e i suoi risultati è opportuno che siano confrontati, a vari livelli, con quelli delle imprese concorrenti. Non è facile, ma non è neanche impossibile. Forse il vero ostacolo è che non sempre si crede alla concreta utilità di questo sforzo. D’altra parte la storia stessa insegna che le battaglie si vincono anche senza studiare il nemico, ma se si conosce il “campo di battaglia” e in qualche modo si è studiato preventivamente il nemico, le probabilità di vittoria finale aumentano.

Il controllo strategico quindi viene qui proposto come controllo del posizionamento dell’impresa nel tempo e nello spazio.  

 

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