L’incessante
brontolio nello stomaco si accentua, diventa
sempre più forte, insopportabile e dall’una
all’una e mezza i minuti scorrono con una
lentezza esasperante.
-
“Driiiiiiiiin!”- lo stesso suono odioso
che ci obbliga ad entrare a scuola diventa
il suono misericordioso che ci annuncia l’ora
del pranzo.
Il
corridoio si affolla: spinte, sgambetti,
urla, insulti...
Dopo
enormi fatiche si riesce a scendere (o
meglio a ruzzolare per le scale) e ad
arrivare, non sempre illesi, in mensa.
Qui
inizia una vera e propria gara che non
conosce vincitori ma soprattutto vinti,
ovvero coloro che arrivano per ultimi “all’isola
del dolce forno” e “all’isola della
freschezza” e restano senza pane e frutta.
Quando
tutti si sono seduti (dico “si sono” e
non “ci siamo” perché io sono una delle
poche altruiste che serve i compagni), ci si
accorge che lo sforzo della gara appena
terminata ci ha resi ancora più affamati.
Molti cominciano a battere i pugni, i
bicchieri, le posate, le teste dei compagni
sui tavoli: non vi preoccupate, è tutto
normale, è un modo per dire che si sta
morendo di fame e si vuole da mangiare.
Quando
entrano i carrelli con le vivande tutti
balzano in piedi e vi corrono incontro,
ognuno senza preoccuparsi di chi sta
calpestando.
A
questo punto intervengono i “vigili”:
esemplari la prof. Cressi e la prof. Sena,
che selezionano (stranamente sempre gli
stessi tra cui ci sono anch’io) due “camerieri”
e dirigono il traffico del refettorio.
Per
i primi piatti non è poi una tragedia, ma
quando si tratta di portare il secondo...
Ecco
un tipico dialogo tra il cameriere e il
compagno da servire:
Cameriere:
- “Tu cosa vuoi? Oh, dico a te!”
primo
compagno: - “CHIHIHIHIHIHIHIHI? Io? Cosa?
Cosa c’è da mangiare?”
cameriere:
- “Prosciutto, fagiolini e formaggio.”
primo
compagno: - “Non ti sento, urla più
forte!”
cameriere:
- “Prosciutto fagiolini e formaggioooo!”
primo
compagno: - “Ehm, boh? Fagiolini e
formaggio. Anzi, no, prosciutto e
fagioliniii!”
cameriere:
- “O.K. e tu?”
secondo
compagno: - “Io? Boh?! Cosa c’è? Ah,
sì, tuttoooo!”
primo
comagno: - “Veronica, Veronica, aspettaaaa!
Anch’io tuttooo...Tanti fagiolini peroooò!”
Il
percorso tra il carrello e il compagno da
servire è uno slalom tra gli acini d’uva,
le arance, i panini che ci sono per terra,
un continuo evitare i pezzetti di pane che
“volano”, i compagni che ti chiamano
implorandoti di portar loro il piatto.
In
tutta questa confusione i prof. strillano ma
nessuno riesce a sentire i loro ordini.
Ciò
che succede è indescrivibile: c’è chi
rovescia l’acqua sul tavolo e tenta di
asciugare con le tovagliette altrui e le
strizza in testa al compagno a fianco, chi
gioca a calcetto con la frutta usando come
porte i piatti e i bicchieri, chi lava la
frutta nella brocca (dell’acqua da bere),
chi lancia interi panini ai compagni, chi si
prende a pedate e calci sotto il tavolo…
Ma
ecco che compare sulla porta la figura
imponente e severa del Preside e il
refettorio, da terribile inferno, si
trasforma in un vero e proprio paradiso. Il
silenzio che regna improvviso, frutto del
terrore suscitato dall’imprevista visita,
è assoluto e nessuno osa spezzarlo con il
minimo sospiro. Sul volto delle proff. Si
possono leggere il sollievo e la gratitudine
verso il Preside, mentre su quello degli
alunni sono inconfondibili la paura e il
desiderio che se ne vada il più presto
possibile, e quando ciò avviene, ritorna
tutto come prima e non si può più godere
di quegli stupendi, ma troppo fugaci, attimi
di pace.
Appena
la prof. dà il permesso di uscire e
talvolta prima che questo avvenga, tutti
corrono all’esterno ed occupano i vari
campi.
Solo
allora in mensa c’è meno rumore (non si
può ancora dire silenzio) ma la scena che
si presenta ai nostri occhi è desolante: il
refettorio sembra un campo di battaglia
abbandonato, le zone del Messico dov’è
passato l’uragano, o una di Napoli dopo il
carnevale...
Piuttosto
che rimanere a pattinare sugli acini d’uva
e le arance per terra, uno esce in cortile
anche se ci sono - 30°.
E
anche qui la baraonda non manca: alcuni si
prendono a sassate, altri si picchiano, c’è
chi fa lotta libera, chi gioca a calcio
facendo volontariamente un gioco molto
falloso (si vede dai compagni sanguinanti,
dagli stinchi gonfi e lividi, che ritornano
in classe trascinandosi sui gomiti), chi
infine accende un falò per riscaldarsi ma
soprattutto per fare un tentativo di
incendiare la scuola...
Quando
suona la campana delle 14.25, i prof.
cercano di richiamare la nostra attenzione
(distraendoci dai nostri “giochi
ricreativi”) con urla, fischi, sbracciate,
minacce di compiti in più, canti e danze
folcloristici, frustate, colpi di fucile...
Le
risposte degli alunni a questi “vari”
richiami sono: “Aspetti prof., l’ultima
azione!”; “Prof., ancora un pò,si fumi
un’altra sigaretta!” oppure “Un attimo
che do l’ultimo pugno al mio amico..”, e
ancora: “Aspetti prof. che purtroppo
dobbiamo spegnere il falò...”
Quando
torno in classe e trovo i compagni che sono
andati a casa a mangiare, li guardo con
invidia e dico: “Beati voi!”, tutte le
volte loro mi guardano perplessi ed io,
provata da un altro pranzo in mensa,
rispondo: “Chi non c’è mai stato non
può capire...”
Forse
per rassegnazione, o forse perché è
veramente impossibile pensare di poter
pranzare umanamente, io metterei un cartello
all’entrata del refettorio:
“lasciate
ogni speranza, voi che entrate...”
(Un
sentito grazie a Dante per avermi dato il
finale e il titolo che non riuscivo a
trovare...)