La Cimice                                                                Vita della scuola                                                                W il 2000

Lasciate ogni speranza voi che entrate...

... in mensa

di Veronica Clarin

L’incessante brontolio nello stomaco si accentua, diventa sempre più forte, insopportabile e dall’una all’una e mezza i minuti scorrono con una lentezza esasperante.

- “Driiiiiiiiin!”- lo stesso suono odioso che ci obbliga ad entrare a scuola diventa il suono misericordioso che ci annuncia l’ora del pranzo.

Il corridoio si affolla: spinte, sgambetti, urla, insulti...

Dopo enormi fatiche si riesce a scendere (o meglio a ruzzolare per le scale) e ad arrivare, non sempre illesi, in mensa.

Qui inizia una vera e propria gara che non conosce vincitori ma soprattutto vinti, ovvero coloro che arrivano per ultimi “all’isola del dolce forno” e “all’isola della freschezza” e restano senza pane e frutta.

Quando tutti si sono seduti (dico “si sono” e non “ci siamo” perché io sono una delle poche altruiste che serve i compagni), ci si accorge che lo sforzo della gara appena terminata ci ha resi ancora più affamati. Molti cominciano a battere i pugni, i bicchieri, le posate, le teste dei compagni sui tavoli: non vi preoccupate, è tutto normale, è un modo per dire che si sta morendo di fame e si vuole da mangiare.

Quando entrano i carrelli con le vivande tutti balzano in piedi e vi corrono incontro, ognuno senza preoccuparsi di chi sta calpestando.

A questo punto intervengono i “vigili”: esemplari la prof. Cressi e la prof. Sena, che selezionano (stranamente sempre gli stessi tra cui ci sono anch’io) due “camerieri” e dirigono il traffico del refettorio.

Per i primi piatti non è poi una tragedia, ma quando si tratta di portare il secondo...

Ecco un tipico dialogo tra il cameriere e il compagno da servire:

Cameriere: - “Tu cosa vuoi? Oh, dico a te!”

primo compagno: - “CHIHIHIHIHIHIHIHI? Io? Cosa? Cosa c’è da mangiare?”

cameriere: - “Prosciutto, fagiolini e formaggio.”

primo compagno: - “Non ti sento, urla più forte!”

cameriere: - “Prosciutto fagiolini e formaggioooo!”

primo compagno: - “Ehm, boh? Fagiolini e formaggio. Anzi, no, prosciutto e fagioliniii!”

cameriere: - “O.K. e tu?”

secondo compagno: - “Io? Boh?! Cosa c’è? Ah, sì, tuttoooo!”

primo comagno: - “Veronica, Veronica, aspettaaaa! Anch’io tuttooo...Tanti fagiolini peroooò!”

Il percorso tra il carrello e il compagno da servire è uno slalom tra gli acini d’uva, le arance, i panini che ci sono per terra, un continuo evitare i pezzetti di pane che “volano”, i compagni che ti chiamano implorandoti di portar loro il piatto.

In tutta questa confusione i prof. strillano ma nessuno riesce a sentire i loro ordini.

Ciò che succede è indescrivibile: c’è chi rovescia l’acqua sul tavolo e tenta di asciugare con le tovagliette altrui e le strizza in testa al compagno a fianco, chi gioca a calcetto con la frutta usando come porte i piatti e i bicchieri, chi lava la frutta nella brocca (dell’acqua da bere), chi lancia interi panini ai compagni, chi si prende a pedate e calci sotto il tavolo…

Ma ecco che compare sulla porta la figura imponente e severa del Preside e il refettorio, da terribile inferno, si trasforma in un vero e proprio paradiso. Il silenzio che regna improvviso, frutto del terrore suscitato dall’imprevista visita, è assoluto e nessuno osa spezzarlo con il minimo sospiro. Sul volto delle proff. Si possono leggere il sollievo e la gratitudine verso il Preside, mentre su quello degli alunni sono inconfondibili la paura e il desiderio che se ne vada il più presto possibile, e quando ciò avviene, ritorna tutto come prima e non si può più godere di quegli stupendi, ma troppo fugaci, attimi di pace.

Appena la prof. dà il permesso di uscire e talvolta prima che questo avvenga, tutti corrono all’esterno ed occupano i vari campi.

Solo allora in mensa c’è meno rumore (non si può ancora dire silenzio) ma la scena che si presenta ai nostri occhi è desolante: il refettorio sembra un campo di battaglia abbandonato, le zone del Messico dov’è passato l’uragano, o una di Napoli dopo il carnevale...

Piuttosto che rimanere a pattinare sugli acini d’uva e le arance per terra, uno esce in cortile anche se ci sono - 30°.

E anche qui la baraonda non manca: alcuni si prendono a sassate, altri si picchiano, c’è chi fa lotta libera, chi gioca a calcio facendo volontariamente un gioco molto falloso (si vede dai compagni sanguinanti, dagli stinchi gonfi e lividi, che ritornano in classe trascinandosi sui gomiti), chi infine accende un falò per riscaldarsi ma soprattutto per fare un tentativo di incendiare la scuola...

Quando suona la campana delle 14.25, i prof. cercano di richiamare la nostra attenzione (distraendoci dai nostri “giochi ricreativi”) con urla, fischi, sbracciate, minacce di compiti in più, canti e danze folcloristici, frustate, colpi di fucile...

Le risposte degli alunni a questi “vari” richiami sono: “Aspetti prof., l’ultima azione!”; “Prof., ancora un pò,si fumi un’altra sigaretta!” oppure “Un attimo che do l’ultimo pugno al mio amico..”, e ancora: “Aspetti prof. che purtroppo dobbiamo spegnere il falò...”

Quando torno in classe e trovo i compagni che sono andati a casa a mangiare, li guardo con invidia e dico: “Beati voi!”, tutte le volte loro mi guardano perplessi ed io, provata da un altro pranzo in mensa, rispondo: “Chi non c’è mai stato non può capire...”

Forse per rassegnazione, o forse perché è veramente impossibile pensare di poter pranzare umanamente, io metterei un cartello all’entrata del refettorio:

“lasciate ogni speranza, voi che entrate...”

(Un sentito grazie a Dante per avermi dato il finale e il titolo che non riuscivo a trovare...) 

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