Per parlare di "In fondo a destra", in scena allo
spazio Zazie di Via Lomazzo (uno spazio che sta diventando progressivamente
sempre più importante a Milano), bisogna prima di tutto ricordare
chi è Raffaello Baldini. Un poeta di lingua romagnola, pluripremiato
e amico di Tonino Guerra. Quello che molti forse non sanno è che
Raffaello Baldini, oltre ad essere appunto un grande poeta, ha scritto
tre monologhi teatrali, uno dei quali è appunto "In fondo a destra",
l'unico scritto in italiano e non in romagnolo. Questo ha spinto
Gaddo Bagnoli, toscano, e Lorenzo Anelli, lombardo, rispettivamente
regista e interprete, a metterlo in scena. Di cosa parla "In fondo
a destra"? E' la storia di Renato, un mezzo intellettuale che potrebbe
vivere in qualunque epoca, adesso come nell'epoca della gioventù
di Baldini, che si perde in un labirinto forse creato dalla sua
mente e che, apparentemente, non ha senso: potrebbe essere la vita,
potrebbe essere la morte, potrebbero essere i sotterranei della
storia d'Italia, insomma ci sono mille ipotesi; ma la scoperta più
interessante che fa Renato è di non essere solo in questo labirinto,
perché con lui ci sono decine di altri personaggi che anche loro
sono finiti lì dentro per caso o piuttosto per destino. Renato infatti
ci fa notare che tutti ormai fanno tutto per caso, e il destino
nessuno ha più il coraggio di affrontarlo. I personaggi si trovano
ad affrontare questo percorso, di cui non conoscono esattamente
la mappa, attraverso una serie di oggetti e di situazioni assolutamente
quotidiane riprodotte in una situazione semi-surreale. Il problema
è uno solo: dove si esce? Perché se è un labirinto un'uscita ci
dovrebbe essere. E Renato, almeno in questo spettacolo, l'uscita
non la trova, però, forse, trova l'amore, il che tutto sommato non
guasta. Bagnoli e Anelli per mettere in scena questo testo hanno
fatto un grosso lavoro di drammaturgia: il lavoro dura circa un'ora
da due originali e ne esce veramente benissimo. Un'altra scelta
interessante riguarda il percorso fisico dell'attore, nel senso
che il monologo, che di per sé crea sempre il problema dell'eccessiva
immobilità del personaggio, viene reso attraverso un continuo percorso:
l'attore cammina ininterrottamente per tutto lo spettacolo alla
ricerca dell'uscita e ci aiuta a camminare con lui. Infatti questo
monologo è piuttosto faticoso per l'interprete, ma ne valeva la
pena. A livello scenografico il labirinto è reso con dei pannelli
rettangolari di policarbonato trasparente che pendono dal soffitto
e che diventano le pareti di questo infinito percorso. Questi pannelli
hanno il vantaggio, movendosi e ruotando su se stessi, di cambiare
angolazione e così da poter tracciare infinitii percorsi possibili.
Oltre a questo solo qualche oggetto di scena: biciclette, telefoni,
qualche cubo dove sedersi, ecc. Il grande merito dell'operazione
è che non si crea neanche per un attimo quella stanchezza che si
potrebbe, soprattutto con un testo che è molto filosofico, che gioca
sulla surrealtà e che quindi potrebbe rischiare in qualche momento
di essere un po' distante dal pubblico. Una prova coraggiosa, promettente,
un testo veramente impegnativo da vedere e sostenere, anche per
i molti debutti più pubblicizzati che gli fanno concorrenza.
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