Esistono i vampiri?
Dei vampiri si trovano testimonianze nella prima
storia dell'uomo: in antichi testi sacri, nella Bibbia, in
rappresentazioni grafiche della mitologia europea e copta. Si
sale attraverso i secoli e il vampiro è sempre presente a tutte
le latitudini.
Cortés, il conquistatore delle Antille, chiamò il Desmodus
rotundus (un chirottero ematofago che aveva individuato
nell'America Centrale) " pipistrello-vampiro ". I
'Conquistadores' segnalarono i "mostri volanti"
descrivendoli in leggende varie: quelli stessi che menzionano le
enciclopedie degli animali, aggiungendo al nome scientifico la
denominazione di 'vampiri propriamente detti', e precisando che
provocano sull'uomo e sull'animale piccolissime ferite,
succhiando poche gocce di sangue, senza che il salassato se ne
renda conto, ma con un danno collettivo enorme per il contagio
delle malattie e per le epidemie, "cosa usuale del Vampiro
slavo e del Nachzehrer tedesco". Gli aborigeni australiani
di oggi, come i primitivi di ieri, incidono sulle cortecce degli
alberi la figura degli spiriti-vampiri, simili a pipistrelli, ed
esseri umani altissimi, muniti di clava e con mazzi di penne. Il
vampiro incarna, con la paura della morte e quella che i morti
possano tornare tra i vivi, anche il desiderio più profondo:
esistere per sempre. L'impossibile che diventa possibile. L'umano
e il disumano uniti indissolubilmente. Elemento base: il sangue,
con le sue peculiarità fisiche e invisibili, quindi magiche.
Ma il vampiro esiste realmente?
Per risposta abbiamo ipotesi e credenze, ma anche molte
testimonianze. Esiste, inoltre, una lista nutrita di nomi che gli
uomini hanno dato ai vampiri, secondo le aree geografiche in cui
operano, ciascuno secondo le proprie caratteristiche, a volte
limitate a un'unica regione. Ecco qualche tipico vampiro:
- il Dhampiro, che è il figlio non-vampiro di una zingara e di
un vampiro. Vede i vampiri e sa distruggerli, o con il fucile, o
con formule magiche. Dopo la morte, diventerà vampiro. Agisce in
Serbia;
- il Navalli, il vampiro delle culture precolombiane del Messico;
- il Nosferat, il bambino nato morto da genitori illegittimi.
Questa credenza è molto diffusa in Romania;
- il Kiang-si, il terribile vampiro cinese che in pochi istanti
dissangua un uomo;
- i Sa-bdag, i mostri-vampiri della religione autoctona Bo
(Tibet).
Ci sono poi due categorie importanti per radicalità e diffusione
geografica e temporale:
- il Blood-sucker, il vampiro medievale inglese, presente prima
che si infiltrasse nei paesi anglosassoni la tradizione
pan-slava;
- il Nachzehrer, che è il masticatore di sudari, causa di tante
epidemie (Germania e Francia orientale).
C'è il vampiro del Romanticismo tede-sco, chiamato Vieszcy
('colui che sa'), poiché una caratteristica del vampiro è
quella di accompagnare l'evoluzione uma-na nelle strutture del
pensiero. Non è stato pronunciato, ancora, un verdetto preciso,
ma sembra che il vampiro sia e resti un uomo. I grossi problemi
futuri della scien-za, in questo campo, restano due: docu-mentare
l'esistenza del vampiro e rispon-dere al quesito: il vampiro è
un uomo?
C'è poi l'arcivampiro, un termine conia-to dall'esperto abate
Dom Calmet nella Dissertazione sui Redivivi del 1756, per
in-dicare un vampiro così potente da avviare un'epidemia.
Si è vampiri per infamia, apostasia, anatema, quando si è figli
della colpa, per demonismo di tipo animistico. E' il vampi-ro a
provocare la siccità. I vampiri sono in grado di coprirsi di
piume per potersi muovere agilmente. Ci sono, poi, i
malin-conici, spietati, soldati morti in guerra, di-ventati
vampiri per un'individuata forma detta 'della nostalgia del
ritorno'.
Se le credenze hanno creato l'atmosfera, i fatti realmente
accaduti hanno fornito una documentazione ricca e spaventevole.
I 'casi' sono distribuiti un po' dapper-tutto, anche se la loro
presenza è predo-minante nell'Est europeo. Possiamo solo
accennare a una certa casistica; per una comprensione maggiore
occorrerebbe presentare un volume con tutti i particolari fisici
e psichici emersi dai fatti.
John George Haigh, ad esempio, fu un mostro' in generale o più
specificatamen-te un 'vampiro'? Gli vennero affibbiati en-trambi
gli appellativi. La stampa del 1949 (anno della sua cattura) non
commentò specificatamente il personaggio, ma pubblicò le
'memorie' che il detenuto ave-va affidato ai secondini della
prigione di Wans-Wort, il giorno precedente l'esecu-zione. Un
caso 'aperto' di vampirismo, or-rendo da pensare, più a misura
umana però, perché verificatosi in un uomo vivo. Arrestato dopo
avere fatto la sua nona vit-tima e con prove inconfutabili, il
'vampiro di Londra' confessò che uccideva per un'irresistibile
sete di sangue. Aveva assaggiato la prima volta il proprio sangue
in seguito a una ferita alla mano: "Questa cosa vischiosa,
calda e salata che io sorbi-vo a fior di pelle, era la vita
stessa ... ". In seguito si tagliuzzò le mani per riprovare
quelle "ineffabili sensazioni". Poi, sempre più
ossessionato dalla sete di sangue, in-cominciò a uccidere:
"Il caso mi aveva fatto tornare a quei tempi favolosi in cui
gli esseri traevano forza dal sangue umano. Scoprii di
appartenere alla razza dei vam-piri... Ora non credo più in Dio,
ma in una forza superiore che dirige misteriosamente il nostro
destino, ignara del bene e del ma-le". Haigh beveva sangue
da una cannuc-cia direttamente al collo delle vittime, che poi
faceva sparire in bidoni di acido solfo-rico. La motivazione data
dal tribunale di Horsham per la condanna fu che il vam-piro aveva
contravvenuto alle leggi britan-niche e non altra.
Lo impiccarono il 10 agosto 1949. Con il tipico humour inglese
disse: "Non mi rincresce di lasciare l'Inghilterra, ha
troppi pregiudizi! ". Ma le sue ultime parole furono più
gravi: "I miei nove delitti devono avere una spiegazione in
qualche luogo che esula dal nostro mondo terreno. C'è dunque una
vita eterna? Lo saprò presto. In attesa, addio".
Anche per il 'vampiro' di Venezia si trattò di
un uomo vivo. Ne parlò la stampa italiana a lungo, nella
primavera del 1963. Un pittore (di cui si tace il nome) aggredì
una donna a Cannaregio, poi un poliziotto che era accorso alle
grida della vittima, poi un'altra donna: assomigliavano alla
Maria che amava, aveva confidato a un amico, a cui aveva detto di
stare attraversando un periodo di confusione riguardo alle
identificazioni. Fu definito schizofrenico, per non impressionare
l'opinione pubblica, dato che in questo caso non ci furono
decessi. Ma il modo di aggredire e i 'morsi' sul collo erano
inequivocabilmente di tipo vampiresco.
Questo, comunque, fu un esile vampiro a confronto del 'mostro' di
Norimberga, che attingeva sangue dai cimiteri tra le ultime
sepolte, e che poi passò a uccidere perché le donne incontrate
"erano più belle di quelle dei cimiteri". In mancanza
di donne belle per uso immediato, si accontentò di dissanguare
un uomo incontrato su un ponte, ossessionato dalla fretta di bere
sangue. Storie che sembrano leggende, credenze, panico si
diffondono e propagano piuttosto quando il vampiro è apparente
mente morto nella sua bara da mesi o da anni. Epoche e località
non cambiano i fatti. Tra le relazioni riportate da Dom Calmet
c'è quella che si riferisce all'allucinante storia del vampiro
Giure Grando e dei sedici anni di terrore vissuti dalla cittadina
di Coridigo, in Iugoslavia.
Muore un certo Giure Grando, il parroco legge sulla tomba, dopo
l'ufficio funebre, un bel discorsetto, elogiando il defunto che,
la sera stessa, si presenta già davanti alla porta di casa,
supplicando la moglie Ivana di farlo entrare a scaldarsi. Ma
que-sta, giustamente spaventata, non gli ri-sponderà mai, né
quella sera né in seguito, impedendo così l'accesso al vampiro.
Giu-re implora allora gli amici, i conoscenti e ha inizio la
serie dei decessi. Evidente-mente qualcuno, pietoso o ignorante
delle regole, risponde. Dopo sedici anni il paese è in pieno
decadimento: per i morti, i fug-giaschi e quei pochi che ancora
si aggira-no, terrorizzati, in mezzo a rami di biancospino e
croci che segnano le loro case.
E' allora che l'inchiesta del valvassore locale pone fine all'incredibile storia: si interrogano gli impauriti superstiti, si pro-cede al disseppellimento del corpo del Grando, che viene trovato intatto come quello di un vivo, dotato di un normale flusso sanguigno, addormentato. La peri-zia necroscopica conferma le dichiarazio-ni. Inaudito! Quel corpo giaceva in quella bara da ben sedici anni. Era un presunto morto, con le caratteristiche di un vivo, che faceva strage notturna di vivi. Si proce-dette secondo la prassi d'uso: si conficcò un paletto di rosa selvatica nel cuore del vampiro, poi lo si decapitò. Le disgrazie di Coridigo cessarono. Era il 1656. Molti fatti vampirici vennero riferiti da missioni militari austro-ungariche, negli intervalli tra una guerra e l'altra. Tra queste commissioni si distingue, per esattezza di documentazione, la 'Missione Cabreras', che ebbe un soldato austriaco come testimone principale. Poco prima della pace di Passarowitz, nel 1718, tra Impero ottomano, Austria e Venezia, i soldati austriaci avevano fraternizzato con gli Heiduci, i temuti 'uomini delle montagne' ai confini ungheresi, e abitavano con loro in rozze capanne. Data l'atmosfera fumosa prodotta dal camino centrale e dall'assenza di finestre, la porta era sempre spalancata. Una sera, un uomo si stagliò sulla soglia di una di queste capanne: silenziosamente entrò, si sedette con gli altri in mezzo al bue e alla mucca a mangiare il cacio fresco e, sempre in silenzio, seguito dalla curiosità del soldato che si sentiva impotente a fare qualsiasi gesto, usci. Il giorno dopo, il padrone dell'abitacolo era morto. Il soldato austriaco riferì la notizia, che passò allo stato maggiore e poi al consiglio di guerra di Vienna. L'inchiesta fu affidata al capitano Cabreras del reggimento Alandetti e si mise in movimento una macchina che doveva condurre a brillanti ma orrendi risultati. Si stabilì un sopralluogo, al cimitero, tra i parenti del morto, alla presenza di chirurghi celebri e di un magistrato; si trovò un uomo dall'aspetto di morto ap-parente, sul quale si compì la perizia ne-croscopica: il sangue era quello fluido di un vivo. Era il padre del montanaro ucciso nella capanna, morto da dieci anni. Alla presenza della missione d'inchiesta venne decapitato. Ma le cose non dovevano fer-marsi lì, evidentemente, anche se a noi non sono giunti i dettagli: perché si indagò an-cora e si risalì all'origine del fenomeno che doveva essere stato avviato da un ignoto 'arcivampiro'. Si procedette alla riesuma-zione di altri tre cadaveri. Alla terza salma (si dovrebbe usare chissà quale altra defi-nizione), si trovò il vampiro che era la causa di tutto e che avrebbe continuato a mietere vittime: era deceduto trent'anni prima; si era presentato una sera allora di cena pretendendo sangue, prima dal collo del fratello, poi dal figlio e infine dal servo. All'arcivampiro fu riservata una fine de-gna della sua autorità: il capitano Cabreras fece ricorso a un espediente in uso in Rus-sia, quello di infiggere un grosso chiodo nella testa del vampiro e poi di interrarlo nuovamente: il sangue sgorgò abbondan-temente. Si eliminarono con sistemi diver-si altri due vampiri, dopo una lunga, mi-nuziosa ricerca. Poi si stilò la relazione, riconfermata da Cabreras a Friburgo nel 1730, con l'autorizzazione a Dom Calmet di farne uso nella pubblicazione del suo libro I Resurgenti di Moravia, che stava per far stampare.
Fu una grossa impresa, che mobilitò intere
regioni. L'imperatore Carlo VI stabili commissioni specializzate
in tale tipo di indagine, per analizzare in loco il fenomeno del
vampirismo, che stava assumendo dimensioni gravissime. La Chiesa
venne sollecitata a inviare un proprio esperto nelle commissioni,
ma cercò sempre di evadere tale richiesta, per non dover
avallare o negare: essa non ammise mai esplicitamente l'esistenza
del fenomeno, impossibile da spiegare scientificamente.
Un'altra inchiesta militare scatenò un 'classico' della storia
del vampirismo, la 'crisi di Belgrado': la vicenda della
delegazione diretta dal comandante delle forze armate
austro-ungariche Botta d'Adorno, incaricata delle indagini, in
Serbia, su un presunto vampiro, che si diceva colpisse
sistematicamente una famiglia. Ne scaturì una verità
allucinante: Arnoldo Polo, sep-pellito da tre giorni, si era
alzato dalla sua tomba ed erano morte quattro persone. Era
avvenuta la trasformazione. Il vampiro colpiva uomini e animali,
aveva una potenza straordinaria. In tre mesi moriro-no
diciassette persone senza apparente motivazione, alcune
contagiate da animali domestici che erano stati precedentemen-te
morsicati. I membri della commissione procedettero alla ricerca
del vampiro, aprendo più di una tomba. Quando si ar-rivò a
'quella' sepoltura, trovarono un uo-mo tranquillamente
addormentato. Aveva unghie e capelli lunghi e il cuore batteva
ancora. Rispettando la tradizione, gli tra-passarono il cuore con
una robusta asta di ferro. Ne sgorgò un'orrenda miscela di
li-quido bianco e di qualcosa che sembrava sangue fresco. Ma, per
ottenere una com-pleta neutralizzazione, dovettero spaccar-gli la
testa con un'ascia e seppellire i resti nella calce viva. Ecco i
risultati della perizia sul cadavere riesumato: "Sangue
fre-sco nella cavitate pectoris, vasi arteriosi e venosi in
prossimità del ventricolo non occupati da sangue coagulato. Idem
per i visceri".
Il rapporto era segreto, ma trapelò per l'enormità del caso.
Solo da poco tempo le inchieste governative risolvevano il
pro-blema; prima tutto si svolgeva nel vil-laggio, tra panico e
superstizione, e si rin-focolavano credenze e leggende popolari.
Ne scrisse un giornale francese, Le Gla-neur de Hollande,
invitando gli uomini di scienza a pronunciarsi. Giorni dopo, la
pubblicazione riferì di altre 'epidemie' av-venute in Moravia.
Il centro fu però considerato Belgrado, per la molteplicità deicasi identificati. La relazione di
Botta d'Adorno è un eccezionale documento per l'autenticità
assoluta. Era il 1732.
Il vampiro non è sempre maschio. Quella della vampira è una figura altrettaneto diffusa . In questo caso le vittime sono quasi sempre uomini o neonati, in ossequio al bisogno d'amore oltre che di sangue del vampiro stesso. La prima vampira cinematografica fu l'attrice Thera Bara mentre Carmilla fu la prima vampira letteraria.
A più riprese si parlò, dopo l'ultima guerra, di 'bacilli vampirici' e, più tardi, di un eredità cromosomica legata al vampirismo (vi è al proposito un'illustrazione fantastica sui 'bacilli vampirici' di Jean Martin-Bontoux). Si parlò del vampirismo come transito obbligatorio per tutti i gruppi etnici con caratteri somatici rari e caratteristiche pressoché comuni. Il riproporsi del fenomeno a ogni latitudine suggerisce all'antropologo Faivre due ipotesi: che nel patrimonio genetico dell'uomo sussista l'archetipo del vampiro, che si svilupperà secondo le vicende e gli ambienti; che da punti diversi si siano mossi fenomeni convergenti (T. Faivre, Les Vampires, 1962). Vedremo, poi, come il vampirismo si colleghi a tutto un mondo di antiche mitologie, di tradizioni, di credenze radicate nell'idea di popoli e di ambienti congeniali (perché?) a contenere il fenomeno.
Il vampirismo ed il suo mito
I vampiri hanno sconvolto il XVIII secolo,
insieme ai grandi filosofi che operarono in senso opposto,
rovesciando le superstizio-ni popolari.
In effetti, i tempi che hanno proposto l'uomo come centro
dell'universo hanno trascinato con sé "un massiccio
rigurgito di esoterismo e di paranormale" (Rossi-O-smida).
Così l'età moderna, così il Sette-cento, il 'secolo dei lumi'.
L'uomo non sfugge al suo destino. Più si sforza di essere
evoluto e preciso nella determinazione scientifica, più deve
fare i conti con l'inde-cifrabile che continua a essere il suo
mi-stero di ieri e di oggi. Forse è la Natura a riproporre le
vecchie paure.
Voltaire era stupefatto delle proporzioni che
stava assumendo il fenomeno del vampirismo: "On n'entendit
plus parler que de vampires! ".
Jean-Jacques Rousseau, filosofo laico per eccellenza, concluse il
suo pensiero sul vampirismo con queste parole: "Se è mai
esistita al mondo una documentazione storica provata e attestata,
questa è relati-va ai vampiri. Non manca nessun elemento:
documenti ufficiali, testimonianze di persone di tutta
reputazione (medici, ec-clesiastici, giudici). Le prove sono
evidenti e obiettive".
Fu il grande naturalista Georges Buffon contemporaneo dei
clamorosi eventi del XVIII secolo, a battezzare nella sua
Historia Naturalis i 'revenenti' con il nome di 'vampiri',
collegando il comportamento dei mammiferi volanti delle Americhe
(i De-smodontidi) con i 'revenenti' dell'Est. Così il vampiro
penetrò ufficialmente nella scienza.
Per secoli i vampiri erano stati chiamati
'revenenti'. Il concetto della 'nostalgia del ritorno' è anche
alla base dell'animismo di tutti i tempi. In Polinesia l'anima
dei de-funti abbandona le tombe per entrare di notte nelle case a
divorare il cuore e a suc-chiare il sangue dei dormienti, nel
tentati-vo di ripristinare le forze vitali. Perché, per i
primitivi, la morte non è mai un fatto naturale, bensì
procurato. A 'esecuzione' avvenuta, il morto torna per vendicarsi
dei familiari che non sono stati capaci di di-fenderlo. Nei miti
pagani, la figura del morto che torna è una situazione ambigua,
uno stato da non confondersi con quello delle 'larve' e dei
'fantasmi', in quanto nei vampiri la vitalità del morto è sia
spirituale che fisica, ed è l'esasperazione del deside-rio di
continuare a esistere procurandosi una 'riserva' a spese del
vivo. L'esaspera-zione di questa manifestazione è data dal 'mai
nato'. Anche i bambini morti sono ri-tenuti dei probabili
'revenenti': di qui il fiorire di usanze per tenerli lontani. A
Coggiola di Vercelli, per esempio, essi ve-nivano seppelliti con
un fiore rosso in bocca. Oggi si è passati all'uso
generaliz-zato del rosario tra le mani, anche se l'atto si è
trasformato in gesto di cristiana pietà (i grani del rosario
sostituiscono le spine dei rami di rosa e i chiodi che servivano
per neutralizzare il cuore e la testa dei vampiri nella tomba).
Ecco la ragione del culto dei morti. "Il culto dei morti è
ispirato al desiderio di impedire il loro sgradito ritorno",
ammette senza mezzi termini P. W. Schmidt in Ori-gine e storia
delle religioni. E se non basta accattivarsi i morti con pratiche
religiose, si prosegue con i sistemi pratici: un tempo usava
molto legare o impacchettare il morto. Tra i sistemi antichi è
rimasta vali-da la' tradizione dell'incinerazione.
Un tipo di 'prevenzione immotivata' per scongiurare il vampirismo
consiste nel-l'antico cannibalismo rituale sul parente defunto,
affinché non possa tornare più, sostituito dall'odierno
banchetto funebre, tuttora praticato in varie regioni.
Sappiamo da Tertulliano che "presso alcune tribù degli
Sciti, qualche defunto veniva mangiato dai parenti". La
faccenda era ancora in uso verso il Mille, come testimonia Carlo
Magno nel Capitolare per i Sassoni, dove vieta, da re cristiano
quale egli era, di mangiare carne umana.
Un'altra pratica consiste nell'obolo al defunto: dall'obolo a
Caronte, che tra-sportava con la sua barca i trapassati,
al-l'astuzia cristiana di lasciare nella bara la moneta girata
dalla parte della croce (per cui si impedisce l'accesso sia al
corpo sia all'anima), all'infinità di croci di carta, di cera,
di terracotta, poste a scopo di immunizzazione.
Si cosparge un cadavere 'sospetto' di rami di
rosa selvatica, quindi spinosi, o di semplici spine, oppure di
biancospino: è una buona prevenzione. La spina si collega alla
primitiva infissione del morto nella bara tramite, appunto, una
spina, che non è altro che un piolo o un chiodo in minia-tura.
Dopo la prevenzione, si passa all'in-dividuazione del vampiro,
con il dissep-pellimento e con la perizia necroscopica, e poi
all'eliminazione. L'eliminazione più classica e più diffusa
consiste nel colpire il cuore del vampiro con un paletto di rosa
selvatica o con un piolo. Per la diversità delle prassi bisogna
tener conto del perso-naggio e dell'area in cui muove. Un
esem-pio: la croce non avrà certamente alcun effetto nei paesi
musulmani. Esisteva per-fino un tariffario: 1000 dinari a Pirano
e 1800 a Lesavi, in Iugoslavia (l'equivalente di 10 agnelli) per
'sistemare' un vampiro, ancora poco prima della seconda guerra
mondiale.
Poi seguirà la decapitazione, o l'incine-razione. Occorre anche
un sistema di dife-sa: circondare la propria casa di un fossato
d'acqua, appendere la croce sulla porta, o l'aglio in fiore.
Ovvio l'ibridismo dei siste-mi, nei passaggi da luogo a luogo, da
tem-po a tempo, anche per la naturale evolu-zione del pensiero
metafisico il quale, pro-ponendo nuove cause per la 'revenenza',
suggerisce l'impiego di una metodologia diversa.
Nella storia ebraica vi è la grande dea-vampiro Lilith, la
demoniaca potenza femminile superbamente illustrata nel mi-to e
nella letteratura, che strega l'uomo succhiandogli il sangue.
Secondo una leggenda, Lilith sarebbe stata la moglie di Adamo
prima di Eva, fuggita in cielo per non dover subire le
insaziabili voglie dello sposo: proprio per questo è stato
battezzato con il suo nome un asteroide che avrebbe una
rivoluzione sinodica di 177 giorni e che sarebbe invisibile (la
'Luna nera') perché vicino al cono d'ombra tra Terra e Sole.
Secondo gli astrologi avrebbe un influsso negativo e si
collegherebbe alla 'Luna infernale' del XVII secolo, compagna di
Satana e regina dei sabba.
Per l'ebraismo, il vampiro è figlio della sterilità di Adamo:
ci riallacciamo, così, ai bambini nati morti.
Tre sono le grandi categorie storiche di vampiri che hanno
sconvolto l'Europa: il Blood-sucker inglese medievale
(=san-guisuga); il Nachzehrer tedesco (masti-catore di sudari);
il Licantropo universale.
Come nella preistoria il dinosauro do-vette
cedere ad animali più evoluti, così il vampiro inglese fu
costretto a lasciare il campo al vampiro slavo, più maturo nel
segnare il passo coi tempi. Anche il vam-piro, dunque, uomo o
mostro che sia, ha una sistematica evoluzione.
Il vampiro tedesco è presentato dal pa-store Georg Róhrer a
Martin Lutero e alla storia nel XVI secolo. Si tratta di
'revenenti' causa di grosse epidemie storiche, come quella della
Slesia nel 1533. Per neutraliz-zarli, ci si diede a seppellirli
con il lenzuolo, per impedire loro così di trasformarsi in
vampiri. Il Nachzehrer tedesco cederà in seguito al vampiro
dell'Est, che dominerà i secoli futuri. Il clero ordinava
apposite ronde notturne nei cimiteri, per sorpren-dere i morti
'che masticavano'.
Il Licantropo, o uomo-lupo, è conside-rato oggi dagli studiosi
un diretto progeni-tore del vampiro. Dal punto di vista della
progressione della specie, se così possiamo esprimerci, il
vampiro starebbe soppian-tando il Licantropo, che avrebbe
iniziato il suo decadimento.
Gerard Van Swieten vuole invece dimo-strare che questo essere o
credersi lupo è una psicopatia dovuta alla melancholiae speciem.
Il Licantropo ulula di notte, nel mese di febbraio, e preferisce
i cimiteri per violare i sepolcri. Secondo un'altra tesi,
l'aggancio con un vampiro è successivo: quando l'uomo-lupo
muore, si trasforma in vampiro (fenomeno presente nell'Im-pero
Romano e confluito nel mondo slavo verso il Cinquecento).
Queste tre categorie sarebbero state causa di epidemie, colpendo
uomini e ani-mali con la peste, la peste bovina, la siccità.
Il personaggio del lupo ricorre frequen-temente nei racconti di
vampirismo, dal famoso Der Werwolf di W. Hertz a tutta la
favolistica occidentale e orientale.
La Romania ha mantenuto la tradizione poetica delle Doinas con i
lupi mannari, delle Basme, o fiabe, con il personaggio del
pipistrello, delle Legende, ballate popolari. In queste ultime il
vampiro è un essere soprannaturale di origine demoniaca, in
lotta contro Fat-Frumos, il principe fiabe-sco tipizzato come un
drago-serpente-mo-stro, un motivo molto ripetuto e rappre-sentato
anche sugli stendardi degli antichi Daci.
Le ballate romene pullulano di eroi; sol-tanto Dracula è assente
dalla produzione letteraria della Romania, come uomo e come
vampiro. Fa scorrere brividi ai turisti quando entrano nella
regione di Borgo Pàss, che fu il centro irradiante del princi-pe
Dracula, ma si tratta di una farsa insce-nata ad uso dei
visitatori, visto che gli oc-cidentali impazziscono per il conte
di Bram Stoker. Per gli ospiti occasionali della Transilvania
ecco un vampiro in più, con tutti quelli della storia romena!
Perché, come abbiamo appurato, lo stori-co proprietario di
Castel Dracula non fu un vampiro.
Nell'Ottocento con il genere 'gotico' (fi-lone
che ritornerà nelle arti e soprattutto nel cinema dei nostri
Anni Venti e Trenta) si ha l'esplosione del vampirismo
roman-tico, molto seguito dalle letterature inglese e tedesca,
che culminerà con il capolavoro di Stoker. Si riprende il tema
delle 'danze macabre'. Questo argomento era stato av-viato dal
poeta provenzale Macrobius (di qui il nome), il quale aveva
commentato in versi, a metà del XV secolo, le allegorie
pit-toriche delle 'revenenze', che costituiscono una delle
componenti delle Danze macabre stesse.
Per la cultura germanica, il fenomeno del vampirismo è spesso
legato al mondo delle saghe e possiede una coreografia di
maniera: il tetro castello semidiroccato, cieli plumbei, la
nebbia sul fossato da cui sorge, per diabolico prodigio, il
mostro.
In letteratura il vampiro fa la sua com-parsa ufficiale nel 1813
con Il vampiro per bene di Charles Nodier, seguito a brevissi-ma
distanza dal classico Il vampiro di Polidori nel 1816, che fece
dire a Leonard Wolf nel suo libro Appunti su Dracula (1975):
"Polidori ci ha dato il prototipo del vampiro... vale a dire
la figura di un nobiluomo solitario, brillante, gelido,
ammaliatore di donne e freddamente maligno".
Siamo lontani dal vampirismo popolare che si ricollega piuttosto
alle convinzioni precristiane. Siamo nell'arca romantica di La
famiglia del Vurdolako di Tolstoi (1847) e di La bella
vampirizzata di Alexandre Dumas.
Romantico o no, il vampiro ha le palme coperte da peli. Per gli slavi ha gli occhi simili a carboni ardenti, per i greci azzurri e di ghiaccio. Le unghie sono artigli, tutti i denti (e non soltanto i canini come qualcuno ha scritto) sono lunghissimi. Il corpo è incorruttibile e quindi è privo di odori. Il vampiro entra in casa, se vi è invitato una prima volta, o se si accetta la sua richiesta di entrare, ed è addirittura sclerotico nelle sue abitudini. E' soggetto alle metamorfosi, che organizza a suo piacere: serpente cane, bue, cavallo, nevischio, grosso ragno, bianca farfalla notturna. Ma è preferibilmente lupo o pipistrello: lupo, per i suoi antecedenti di licantropo; pipistrello, per le somiglianze con la sua struttura fisica abituale. Secondo certe dicerie, lo specchio non riflette la sua immagine. La scrittrice Anne Raice ne ha fatto un nobile bellissimo: affiscinante e furbo, molto umano, il più famoso porta il nome di Lestat.
Ovviamente le credenze nel vampirismo
presuppongono che il defunto abbia ancora un corpo fisico e
bisogno di alimentarsi. Stando alle leggende orientali, il corpo
di chi è stato maledetto non può più decomporsi: ecco perché
è ritenuto più facilmente un 'revenente' il traditore, lo
scomunicato, l'apostata. Ed ecco una possibile spiegazione della
diffusione di tali sinistre favole nei paesi slavi.
I Romeni credono, in generale, che la vita dell'aldilà sia
un'esistenza corporea come questa terrena. I loro cimiteri
presentano, oggi, una selva di abeti ornamentali a segnare le
tombe, come un tempo si conficcava l'abete nel corpo del vampiro.
Ancora oggi, nelle isole dell'Egeo, è radicata la credenza nei
vricolaci, vampiri che si ricollegano alla mitologia greca
arcaica. Ma esistono vampiri un po' dappertutto, quelli che lo
sono già in vita (abbiamo visto una certa casistica) e quelli
che agiscono dopo la morte, sui quali le notizie sono
frammentarie e non contemporaneo agli eventi. Tra le ultime
massicce manifestazioni, vi fu la 'crisi vampirica' del 1930, a
dimensione europea. Vicende credute reali e cinema si sono
reciprocamente influenzati?
Per la parapsicologia, il vampirismo è
una psicopatia dell'individuo ossessionato dal sangue. Il sangue,
del resto, è sempre stato sinonimo di vita. Alcuni nostri
progenitori si cospargevano il volto e il corpo di sangue, a
volte lo bevevano, altri dipingevano, sin dalla preistoria, le
ossa dei defunti. Ancora oggi, nel 'terzo mondo', esistono gruppi
che bevono sangue di animali per rinforzarsi. "Si chiama
vampirismo tutta una serie di fenomeni consistenti nella
sottrazione involontaria
di energia fisica e/o psichica da parte di un soggetto ad altri
soggetti con una casistica che varia dal vampirismo collettivo ai
cosiddetti 'crimini terapeutici da non confondersi con la
sottrazione dell'aura vitalis da parte di un morto, o di un
morente, o di un anziano che tenti di ringiovanire assorbendo
energia vitale da un altro essere per radiazione e osmosi ".
Così si pronuncia lo studioso R. Villeneuve. La scienza deve
convenire che certi fenomeni relativi allo stato di conservazione
sono inspiegabili. Tanto non si riferisce a fenomeni che hanno un
minimo di razionalità: la pelle elastica, ad esempio,
riscontrata in certe salme, è tale perché ha subito un processo
di saponificazione; così è naturale l'abnorme crescita dei
denti,
dovuta al ritiro delle gengive per il processo di degenerazione.
Ma nessuno è mai riuscito a chiarire il fenomeno della
trasudazione emorragica, consistente in quella specie di siero
che, data la posizione del cadavere, si verserebbe nelle cavità
pleuriche e che non dovrebbe subire modificazioni, oltre la punta
massima d'accumulo che si raggiunge a quindici ore dal decesso.
Impossibile raggiungere in un tempo posteriore altri livelli:
figuriamoci i quantitativi osservati dopo mesi e dopo anni!
Qui la scienza si è fermata, di fronte al fatto paranormale.
Nessuno ha saputo di più, nonostante la serietà dei controlli,
la continuità e l'approfondimento della ri-cerca. Può essere
che qualcuno abbia visto oltre, ma a noi non è dato saperlo.
La gente, a volte, ride quando si parla di vampiri. Va a teatro o
al cinema a godersi la comparsa del sinistro personaggio, è
presa da stupore, paura, orrore. Si è cer-cato di demitizzare il
fenomeno, metten-dolo in burletta. Un esempio clamoroso per la
portata e le ripercussioni è rappre-sentato dall'etichetta di
vámp. In linguag-gio cinematografico, la vamp incarna un tipo di
donna misteriosa, eccezionalmente affascinante e fatale.
Facilmente conduce l'uomo alla perdizione, come il vampiro da cui
deriva l'appellativo.