ALBERTO CAVAGLION [ 1] 

“Guardando mamma che tanto aspetta un meritato divorzio”

Il referendum sul divorzio (1974) non aveva fino a oggi stimolato i narratori. Si è consapevoli che quella giornata, e “quel” risultato, rappresentino la sola nota rasserenante per chi s’è formato in quel decennio, ma i testi che normalmente si evocano sono i discorsi di un fronte abrogazionista dubbioso della vittoria, foto sbiadite di un’Italia lontanissima da quella attuale. Sul clima sospeso della vigilia ha costruito un avvincente racconto lungo Marina Jarre, “La principessa della luna vecchia” (Bollati Boringhieri pagg. 118, lire 22 mila), in un libro che si candida a essere un libro-testimonianza di indubbio valore, un “come eravamo” senza gli infingimenti ideologici di tanti libri-verità sulla generazione del ’68, privo degli estetismi un po’ decadenti supponiamo di un “Porci con le ali”.

Un ragazzino ingenuo, ultimogenito di una donna separata, ma non ancora divorziata - lo potrà essere solo dopo la “radiosa” primavera del 1974 - osserva il mondo che gli sta attorno con disincanto, talora con spietatezza. Ha due fratelli maggiori, di cui uno, per reazione edipica finito nei gruppuscoli dei cattolici di sinistra rispetto al divorzio piuttosto freddini (“sinistri cattolici”, a sentire il piccolo Paolo), s’oppone alla vena di suffragista della mamma, che tutte le notti esce con pennello e vernice per andare a scrivere il suo “NO” sulle mura di una Torino di periferia grigia, ma non ancora del tutto ammaliata dalla televisione come è oggi.

Caterina (Catte, la madre) è una via di mezzo fra la mamma suffragista di Mary Poppins e la donna emancipata di un racconto della Ginzburg. Paolo frequenta la scuola, tollera con affettuosa bonomia le apparizioni saltuarie del padre, che ogni tanto ritorna da Roma. Un catartico morbillo impedirà a Paolo - per sua fortuna - di assistere all’apoteosi della vittoria, alla festa popolare dei divorzisti, al tripudio della madre e del suo nuovo compagno, un comunista tutto d’un pezzo che finalmente s’ubriaca.

La Jarre si conferma qui abilissima nella descrizione d’interni familiari. Il suo è però un “lessico familiare” che possiede una forza dissacrante, a tratti anche crudele, che non si trova nei dialoghi talora un po’ dolciastri della Ginzburg. La Jarre sa annullare ogni tentazione ideologica, la sua è una “impoliticità” autentica, per questo più vera: non esistono i buoni (i divorzisti) e i cattivi (gli antidivorzisti), esistono individui che si agitano sulla scena come in una pellicola di Buster Keaton. La loro umanità affiora dal fondo delle viscere, dai loro difetti, dalle loro debolezze. Un’umana pietà sfiora con una carezza persino il padrone di casa, cui i tre monelli addobbano il davanzale con un gigantesco “MAO” tratteggiato con la vernice della madre. S’arrabbia lì per lì, il padrone, ma poi con il tempo s’addolcisce e forse si convince anche lui del lapsus involontario: nulla di cinese, per carità, a Torino, né tanto meno di rivoluzionario, ma un banalissimo miagolio in rosso.

La “principessa della luna vecchia” altro non è se non Paola, la fidanzatina di uno dei due fratelli grandi, che il piccolo Paolo osserva con ammirazione e un pizzico d’invidia. In casa la giudicano un po’ ritardata, una ragazza con “molte lune in ritardo”. Per Paolo è una Principessa, sia pure “della luna vecchia”, e così la difende dalla crudeltà dei suoi familiari.

La Jarre conferma con questo libro la sua vocazione a farsi testimone vivace dei tic e delle manie dei nostri tempi. Il libro ha una “verve” umoristica straordinaria. Si ride volentieri, a un ritmo quasi cinematografico. Un’unica osservazione a margine: la quarta di copertina, strizzando un occhio alla moda degli ultimi tempi, ci presenta come “un giovane Holden” degli anni Settanta il protagonista di questa storia. Niente di più falso, e di fuorviante. Se mai il modello è il Marcovaldo di Calvino, per quel tono svagato con cui si descrivono le sconfitte della vita. Che sono più utili a crescere delle vittorie della politica.

 

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03/01/01


 [ 1]Alberto Cavaglion: Guardando mamma che tanto aspetta un meritato divorzio”, Il Piccolo di Trieste, 11/4/96