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“Secondo se stessi, in un mondo di donne e uomini” |
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Nella grande pozzanghera che Gian Luca all’uscita di scuola indica
a Rosa Maria sono iscritte le ragioni del titolo dell’ultimo romanzo di Marina
Jarre, Un altro pezzo di
mondo (Bollati Boringhieri, pp. 218, £. 35.000): in essa,
limpidissima, si rispecchia il cielo, i rami degli alberi, gli alti finestroni
illuminati della scuola. E, osserva il bambino abbassandosi fino quasi a
toccare con la fronte l’acqua, “più guardi in là e più vedi. Non finisce mai”.
Non si tratta di un sovvertimento della visione, della scoperta di un nuovo
squarcio prospettico, quanto di un allargamento dei confini del mondo
conosciuto: simile ad un animale marino che timidamente saggia con i tentacoli
il terreno limitrofo per accertarsi di pericoli ignoti acquattati nell’ombra,
il vivere in questo romanzo di Marina Jarre assume i connotati pacati di un
faticoso e incerto processo di conoscenza che saggia continuamente i propri
limiti, i propri perché. Così come pacata ma ferma risulta essere la voce di
Marina Jarre, scrittrice forse appartata nel panorama della letteratura
italiana contemporanea ma non per questo meno salde sono le coordinate che la
guidano e l’hanno condotta sugli impervi sentieri della scrittura.
Le scrittrici italiane, infatti, vivono attualmente un periodo
che ha tutti i tratti della transizione: per un verso sono spesso le
protagoniste anche se discusse di un mercato editoriale che cavalca un successo
di pubblico che solo oggi esce dal sommerso per approdare alle pagine culturali
dei quotidiani, ma i cui esiti non sempre risultano essere soddisfacenti in
modo pieno; per un altro molte di esse lavorano (come da sempre per altro,
viene da osservare) in modo sommesso ma determinato ad una scrittura che apra
prospettive su un altro pezzo di mondo. Che non vuole essere però semplicemente
aggiuntivo, come non lo è in questo romanzo di Marina Jarre, tutto teso a
scavare il saper vivere secondo se stessi, secondo le ragioni di un mondo fatto
di uomini e donne. Un romanzo a più voci, dove si intrecciano le storie di Rosa
Maria e Marianna, sorelle gemelle identiche ma dissimili, insieme a quelle dei
loro figli, dei loro uomini, delle loro ave, in una contemporaneità fortemente
intessuta di un passato dal peso specifico eccessivo, ingombrante: l’ebraismo e
i campi di sterminio, ma anche gli indiani d’America specularmente
rappresentanti di un mondo senza memoria di cui sono rimasti solo i sogni, così
come le oscure trame marginali di fascisti sconfitti all’indomani della seconda
guerra mondiale e il passato prossimo del terrorismo vissuto tramite la
clandestinità di un figlio in esilio che forse non si vedrà mai più; e, ancora,
la guerra nella ex-Iugoslavia, il confronto/conflitto città-campagna, nord-sud
del mondo. Un passato presente anche troppo affollato, verrebbe da dire, ma che
si pone come obiettivo la rappresentazione di una vita quotidiana quale è
quella di ognuno, intessuta di tutto questo e di molto altro ancora, difficile
da sceverare, da rendere nella sua complessità senza perderne le fila
essenziali.
Marina Jarre mette così in campo una sorta di grandangolo che
parte dal passato ma si apre sul futuro: il gesto del bambino che fa vedere
alla zia un altro pezzo di mondo è infatti metafora conclusiva di una
narrazione svolta metonimicamente, in cui ogni storia è parte di un tutto le
cui possibilità di conoscenza, e di felicità, sono incognite ma non disperanti.
La storia, osserva Marianna, una delle voci narranti, “è in realtà un plurale,
un insieme fittissimo e intrecciato di fatti piccoli, grandi, momentanei o
prolungati, fatti in cui si sceglie”. In cui si sceglie: la possibilità di
scelta per la propria vita, la possibilità di accesso alla felicità sono
strettamente irrelate alla nitidezza della propria visione interiore. E non si
può quindi, a conclusione del romanzo, che consentire con la frase di Isaac
Newton posta dall’autrice in calce al volume: “Il Paradiso, la felicità, non
sono un luogo, ma una condizione”. Tutta da conquistare, come i protagonisti,
le protagoniste di “Un altro pezzo di mondo” provano e riprovano incessantemente,
caparbiamente presi dall’oscuro mestiere di vivere.
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03/01/01
[ 1]Laura Fortini: “Secondo se stessi, in un mondo di donne e uomini”, La talpa libri (Il Manifesto), 24/7/97