La Mediazione PedagogicaLiber Liber

Educazione alla legalità: alcune considerazioni generali
di Renzo Remotti

3. Il bambino come soggetto di educazione al diritto

Per iniziare qualsiasi argomento è senza dubbio necessario iniziare a capire il fondamento di una possibile pedagogia legale. Perché insegnare la legalità? Spesso si accusa la scuola elementare di aver introdotto nei suoi programmi troppe materie e ora si vorrebbe proporre una nuova disciplina? Soprattutto quale vantaggi apporterà all’educando un tale argomento? Su un piano psicologico è assodato che il bambino si sviluppi da una fase individuale fino a quella sociale. Attraverso questo sviluppo si incontra necessariamente la dimensione normativa. Per poter interagire con gli altri, bisogna che si conoscano le regole dell’ambiente sociale, in seno a cui nasce l’agire. Se è vero, tuttavia, che la consapevolezza della dimensione normativa, emerge solo molto più tardi, si può affermare che a livello rudimentale questa è presente fin dai primi tempi, da cui il bambino scopre di essere un soggetto diverso e autonomo. 

2. 2. 1 - La giustificazione psicologica: Piaget e il gioco delle biglie.

Nei processi educativi si possono riconoscere due piani educativi l’uno naturale, l’altro per così dire artificiale. Non vi è dubbio che l’educazione sia prima di tutto un processo naturale ovvero, per usare un termine in voga, spontaneo. Non è necessaria alcuna particolare istituzione, perché inizi un processo educativo fin dalle prime fasi dell’esistenza del bambino.  

L’educazione, intesa come processo di apprendimento, è un comportamento naturale, probabilmente lo strumento di sopravvivenza del bambino. Fin dai primi momenti il bambino apprende a vivere e ed interagire con l’ambiente che lo circonda. L’imitazione è il primo mezzo, dove, tuttavia, il neonato non si limita a copiare, ma fin dall’inizio interpreta quanto gli accade. Si instaura in questo modo un forte legame con la madre, imita i suoni che ascolta (lallazione), offre risposte agli stimoli che gli provengono dall’ambiente.  Si pensi al riconoscimento corporeo del bambino attraverso lo specchio. L’educando impara a capire la propria immagine grazie ai movimenti riflessi di se stesso. Alza il braccio, sorride tutto ciò gli permette di capire a poco a poco di essere qualcos’altro dalla propria madre, un entità simile, ma diversa. La base di questo riconoscimento è ontologico. Madre e figlio sono due soggetti differenti e l’apprendimento permette di comprendere la diversità, ovvero la soggettività. Questo della soggettività è la prima fase dello sviluppo. 

In questa sede, tuttavia, interessa soprattutto lo sviluppo etico-giuridico del bambino. Secondo i noti studi di Piaget il bambino passa da una fase egocentrica ad una, che lo studioso ginevrino definisce di reversibilità e reciprocità. [1] Durante l’infanzia, fino almeno ai 5\6 anni, il bambino interpreta il mondo e la propria esistenza se non in funzione di se stesso e della propria famiglia, unico “altro”, con cui ha contatto. Tuttavia ciò non significa che il bambino è un essere a-sociale. Gli studi sul gioco collettivo svolti sempre da Piaget sono estremamente eloquenti.

Durante il gioco iniziano a svilupparsi spontaneamente le idee di responsabilità, reciprocità, rispetto delle norme, che sono peraltro concetti di base del diritto. Questo passaggio, almeno sul piano psicologico, costituisce la transizione da una morale eteronoma, cioè imposta da altri (genitori), a una fase autonoma, dove il soggetto decide da solo di seguire una norma, unico veicolo di coesione sociale. Si scopre che per giocare a una partita di calcio non è sufficiente seguire la propria libera determinazione, ma è necessario adattarsi ad una costellazione di norme, senza le quali non vi potrebbe essere neppure il gioco.

Piaget divide lo sviluppo del bambino per quanto riguarda le regole in quattro fasi distinte. Nella prima detta individuale e che si dispiega tra gli 0 e i 2 anni il bambino percepisce se stesso come un tutto unico rispetto all’ambiente esterno. Non vi è distinzione tra sé e il mondo. Anche durante la seconda fase, denominata dell’egocentrismo tra i 2 e i 5 anni, non si può ancora parlare di una vera e propria consapevolezza nel bambino dell’idea di regola. In questa fase l’infante percepisce tutto il mondo in funzione di se stesso e per se stesso. Tutto, le cose e le persone, esistono e si muovono solo in funzione dei propri bisogni. E’ vero che in quest’età iniziano i primi giochi, anche collettivi, ma il bambino non riconosce una vero e propria dimensione delle regole se non in funzione dei propri bisogni.

Solo nella terza fase tra i 7 e gli 11 anni, chiamata dallo studioso ginevrino “età della cooperazione” il bambino inizia a scoprire la regola, anche se sono molto vaghe e spesso contraddittorie tra di loro. Famosi gli esperimenti di Piaget sul gioco delle biglie, dove si dimostra che i bambini di 8\9 anni sanno che vi sono regole da seguire, perché il gioco possa realizzarsi, ma hanno la tendenza di modificarle, magari a proprio vantaggio.

Finalmente tra gli 11 e i 12 anni il bambino – fase della codificazione – non solo è consapevole dell’esistenza delle regole, ma anche della loro stabilità. In questa fase intuisce che la regola vale per tutta la società. Infatti, chiedendo a classi differenti le regole di un gioco, i bambini di quell’età risponderanno in modo simile. [2] Analizziamo un po’ più a fondo la terza e quarta fase, in quanto più direttamente interessano la pedagogia legale. Verso i 7 anni ciò che attira un bambino al gioco non è solo la competizione, ma il piacere di usare regole comuni per stare insieme e formare una strategia comune.

La fase “critica” inizia quando il soggetto-singolo incontra altri simili. All’asilo o nei primi anni delle elementari il bambino deve iniziare a agire con altri bambini. Questa è la fase “legale” che accompagnerà ciascun uomo nell’avventura della vita. Se è vero che la società si fonda sulle proprie norme giuridiche, è altrettanto vero che apprendere tali norme, o meglio interiorizzarle, significa vivere nella propria società.

Questa dunque è il momento durante cui, si può affermare, nasce il sociale. Non importa ancora rendere esplicite le regole che fondano un gruppo, più semplicemente si riconosce che c’è un qualcosa che lega tutti i coetanei. Naturalmente la tendenza in questa fase è di modificare, manipolare le regole, ma si comprende che in un modo o in un altro non sono evitabili. Mentre nella fase dell’egocentrismo l’altro esisteva, ma doveva agire solo in funzione di se stesso, nella fase della cooperazione l’altro esiste e interagisce con il sé grazie alle regole. Inizia ad apparire il concetto della reciprocità. Perciò Piaget può concludere: “Le jeu est donc devenu social. Nous disons “devenu”, parce que c’est seulement à partir du présent stade qu’une coopération réelle s’établit entre les jouers. Précèdemment chacun jouait pour soi.” [3] Nell’ultima fase il bambino non solo conosce le regole, ma cerca di codificarle e renderle comuni a tutte le situazioni analoghe. L’interesse del bambino è per la regola in quanto regola. […] l’interet, parait etre un interet pour la règle comme telle.” [4]     

Perciò la prima esperienza sociale si trasforma in percezione della dimensione giuridica. Tutto ciò avviene attraverso un processo spontaneo, ma è esattamente questo sviluppo naturale che fonda una pedagogia legale. Naturalmente, soprattutto nei primi anni di vita, quando non si è ancora sviluppato un vero e proprio pensiero astratto, l’approccio educativo dovrà essere esperenziale, magari grazie al gioco che rappresenta il primo incontro con le norme.

Poi man mano si raggiungerà un insegnamento sempre maggiormente astratto.

Un’educazione alla legalità è necessaria, se consideriamo la condizione attuale dell’adolescente. E’ certo che un giovane alle soglie dell’età adulta vive un forte contrasto interiore. Da una parte è ancora attirato dal mondo infantile, dall’altra spesso con forte sofferenza viene trascinato verso la dimensione dell’autonomia e della responsabilità personale. Questo fenomeno, però, è reso più difficile dalla moderna società. L’entrata nella pubertà è molto più precoce, ma non altrettanto l’indipendenza economica. Si assiste a giovani adulti, che vivono volontariamente o involontariamente in una realtà permanentemente semi-infantile. Questa situazione innesca comportamenti di grande irresponsabilità, che, qualora non fossero al più presto guidati, si consolidano in condotte a-sociali e criminali. La legalità si trasforma in un mezzo per guidare il senso naturale alla collaborazione tra gli individui. In una società della comunicazione dove, però, paradossalmente, il senso della solitudine è molto forte, una pedagogia legale può risvegliare il senso dell’altro e di tutti i suoi innumerevoli bisogni, permettendo di far sentire il sentimento di appartenenza del bambino.

 



[1]  Piaget J., Le jugement moral chez l’enfant, Presses Universitares de Frances, 1969.

[2]  Ibidem, pp. 12 ss.

[3]  Ibidem, pp. 27 ss.

[4]  Ibidem, p. 31

 

 

wpeD.jpg (2693 bytes)